Il sentiero luminoso verso le Stelle – Antonio Adriani

 

 

 


 


 

 

 

 

 

 

IL TUFFO NELL’UNIVERSO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 


 

 

antonio adriani

 

 

 

 

 

IL SENTIERO LUMINOSO

VERSO LE STELLE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2023

 


 

PAGINA FILOSOFICA

 

Ma in fondo che cosa vogliamo essere?

 

Siamo nati in una ora e luogo determinati.

Il nostro codice genetico è specifico e esatto. A uno sguardo casuale, sembra che teniamo aperto di fronte a noi un orizzonte di illimitate possibilità. Potremmo fare tutto quello che desideriamo e decidere quello che vogliamo. Con forza di volontà e lavoro assiduo potremmo realizzare qualsiasi cosa.

E’ proprio così que pensiamo!

Quando siamo nati nell’universo, la nostra vita si è aperta con possibilità inimmaginabili. Ma queste possibilità che sembravano infinite sono in parte una illusione.

Il luogo in cui siamo nati, tanto geografico quanto culturale, danno inizio a definire meglio le nostre scelte. Possiamo essere nati in un ambiente di prosperità e cultura o di povertà e privazioni. Il nostro DNA comincia a definire le nostre scelte: saremo comuni o extraordinariamente belli? Mente lucida e forti fisicamente o deboli e malati?

Quindi il karma della nostra impronta astrologica comincia a delineare le finalità. La qualità della posizione del Sole nella mappa astrale comincia a influenzare le nostre necessità, desideri, scelte e predisposizioni. Gli allineamenti planetari mostrano i punti energetici, favorevoli o sfavorevoli, influenzando non appena gli eventi ma anche la personalità inquanto obbligati ad adattarci alle nostre potenzialità positive e negative indicate da quell’allineamento.

Dopo, una parte delle azioni del karma raccolta nelle vite passate, giace nell’attesa di essere liberata con effetti inesorabili allorquando sorgeranno le situazioni appropriate.

Quasi immediatamente, dopo aver attentamente esaminato una quantità quasi indefinita di possibilità, si manifestano una serie di forze limitate.

Differentemente dalle piante, la vita dotata di volontà cosciente include elementi di scelta e decisione. Questa è la grande differenza tra gli esseri razionale e irrazionali. Nonostante non possiamo tralasciare di rispondere alle leggi della fisica che controllano tutto nel nostro corpo, dalla pressione idrostatica dell’attività capillare fino alla necessità del sonno, nessuno dei due possono lasciare di rispondere al nostro karma e necessità di evoluzione. Questa forza ci darà la spinta tanto individualmente quanto come specie umana. Con tutto ciò, l’umanità non ha il potere di scelta.

Siamo obbligati ogni giorno e sarà di tali scelte e della loro conseguenza risultanti che determineranno tutti gli accadimenti della nostra vita.

Le nostre decisioni tessono e colorano il tessuto della nostra esistenza, giorno dopo giorno, vita dopo vita.   

 

 

(estratto da “Mantras que curam” di Thomas Ashley Farrand – Editora Pensamento – Sao Paulo – Brasile)

 


 

 

 

 

Dedica

 

  Ai lettori appassionati dell’ignoto universo, dell’esoterismo e dell’Astrologia. La presente dedica è rivolta altresì a quanti siano anche un poco interessati ai fenomeni che la natura umana definisce incomprensibili.


 


 

 

 

INDICE

 

Pagina filosofica ……………………………………..      pag.    9

Dedica   ……………………………………………….      pag.  11

Introspezione  ………………………………………..      pag.  15

Annotazioni del lettore  …………………………….       pag.  17

Sull’autore  …………………………………………...      pag.  19

Copyright  ……………………………………………      pag.  21

Prefazione  ……………………………………………      pag.  23

L’Universo  …………………………………………...      pag.  25

 

Vera Cruz – Messico  ………………………………..      pag.  29

Casablanca  …………………………………………...      pag.  51

Buenos Aires   …………………………………………     pag.  59

India  …………………………………………………..     pag.  73

Vinci – Toscana  ………………………………………     pag.  89

Irlanda  ………………………………………………...     pag.  97

Popayan – Colombia  ………………………………...     pag. 121

Nel cuore delle Alpi marittime – il potere del pendolo..      pag. 143

Barcellona  …………………………………………….     pag. 151

Nepal  ………………………………………………….     pag. 165

Portogallo – con uno sguardo su Bangkok  …………………      pag. 187

Kuta – un villaggio di Bali  ……………………………………..       pag. 199

Cochoeira – dello Stato di Bahia – Brasile                               pag. 213

Conclusione  …………………………………………..     pag. 225


 

 

 

INTROSPEZIONE

 

Sentire il bisogno di ritrovare se stessi  e non sapere in che modo poterlo fare. Fino a quando in un determinato giorno, di autunno, colpito da un grande fragore provocato da un forte vento sulle onde di un mare senza grandi pretese, mi sono seduto su uno scoglio vicino al bagnoasciuga e perso a guardare l’orizzonte. La lontananza mi ha costretto a cercare un punto difficile da individuare, forse un natante, un peschereccio e rimanere mentalmente fermo a individuare e interpretare quella micro sagoma, perduta nell’oceano.

Noi nasciamo con un destino che ha necessità di distinguere tra il bene e il male, pur con una grande difficoltà. Non dobbiamo avere fretta, oppure adagiarsi sui piccoli passi conseguiti. Dovrà essere incessante la nostra ricerca  sino a quando sorgerà la giusta disposizione, maniera di intendere in quale modo confrontare il piccolo traguardo da sottoporre allo spirito che dalla meditazione potrebbe concedere la serenità e il giusto equilibrio tra corpo e spirito.

I bisogni vengono continuamente accantonati e sostituiti, in alcuni casi anche messi da parte per dare spazio a passioni e istinti che comunque dovrebbero essere soggetti a verifica e controllo, attingendo a quel legale che tutti noi abbiamo con le visioni e destino cosmico, accostando il nostro microcosmo al tentativo di carpire anche in piccolissima parte le grandi leggi che gestiscono e coordinano l’immenso universo.

Questa ricerca non dovrebbe sottovalutare i sentimenti, le passioni, le pulsioni che affiorano e possono sovrastare i limiti che ci siamo dati precedentemente.

L’orizzonte presenta l’inizio del tramonto, il Sole in una palla di fuoco, lancia il solito messaggio di fine di una esperienza umana giornaliera che ci spinge a riflettere con calma a ritroso quello che abbiamo realizzato in quel giorno, di buono, di negativo, rapporti gestiti al meglio oppure in maniera complessa o addirittura distruttivi. Spostiamo le lancette dell’’orologio al contrario, ora dopo ora, rammentiamoci quello che abbiamo realizzato o non fatto per mancanza di tempo, egoismo o indifferenza. Fino ad arrivare all’ora del nostro risveglio. Questo permetterà di assolvere le nostre azioni, almeno dello spirito, preparando un futuro di grande conquista per costituire il salvadanaio delle opere benefiche realizzate giorno dopo giorno.

La meditazione ci dà la possibilità di migliorare se stessi, riflettendo su quello che abbiamo fatto ritroviamo la strada migliore per affrontare il futuro, scartando quelle scelte che ci hanno messo in difficoltà con gli altri e soprattutto con noi stessi.

Con il tempo i giorni che scorreranno di fronte a noi, ci daranno la possibilità di manifestare i frutti della nostra meditazione e ritrovare nel nostro inconscio i principi e valori che ci sono stati donati nel momento in cui gli Spiriti Superiori hanno deciso il tipo di esistenza più opportuna in relazione al programma evolutivo cui dobbiamo riferirci per avanzare nel nostro percorso in questa incarnazione.    

 

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Annotazioni del lettore

 

L’autore ha lasciato, all’inizio del romanzo, dello spazio in bianco che può essere utilizzato per annotazioni, registrazione di stimoli percepiti durante la lettura e quanto altro ritenuto importante. anche dopo aver letto l’intero libro.

Dopo un certo periodo, il lettore, se lo desidera, può riesaminare quanto scritto e verificare se quelle osservazioni siano da confermare o integrare.

Buona lettura


 

 


 

 

SULL’AUTORE

 

Antonio Adriani nasce nel 1944, nel cuore dell’Umbria, in un castello di Todi sulla strada romantica che conduce a Foligno, passando per Montefalco.

Dopo una breve parentesi dedicata al cinema, culminata nel 1971, con la presentazione di un cortometraggio alla cineteca di Milano come regista indipendente, decide di dedicare parte del suo tempo all’astrologia, madre di tutte le scienze.
Nasce così il tempo per approfondire le vaste e complicate tematiche astrologiche con l’obiettivo di scendere nel profondo dei significati sacri che sono giunti fino a noi dall’antichità e ricorrere alla tecnica per raggiungere livelli di previsione sufficientemente accettabili.
L’Autore ritiene che l’Astrologia sia il sentiero maestro della vita di ciascuno di noi e che il percorso assegnato a ogni persona con le varie incarnazioni rientri nella filosofia di responsabilità delle azioni commesse, il cui effetto può superare l’attuale esistenza ed estendere le conseguenze delle stesse persino a quelle successive, di là del Tempo.

Oltre all’Astrologia l’interesse filosofico dell’autore abbraccia anche gli aspetti dell’esistenza, soprattutto quando il destino incomprensibilmente sembra dare il voltafaccia a quanto di buono sia stato praticato e ottenuto nel percorrere il sentiero dell’evoluzione.

 

 

 


 

 

 

 

Copyright © 2022 Antonio Adriani

 

Tutti i diritti letterari di quest’opera sono

di esclusiva proprietà dell’Autore.

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I personaggi e le vicende di questo romanzo sono reali soltanto nella mente dello scrittore, non si riferiscono a persone e a fatti realmente accaduti o che potrebbero accadere nel tempo futuro.

Pur tuttavia gli eventi specifici di attività esoterica, astrologica e quanto altro sono da riferirsi all’attività dell’ Autore

 

 

Si ringrazia

la d.ssa Sandra Alberti Mazzaferro

per la revisione dei testi

 


 

 

Prefazione

 

Ad un certo punto della vita, sentiamo il bisogno di raccogliere i frutti delle semine che abbiamo sempre ritenuto molto produttive. Qualsiasi situazione ci ha rafforzato sempre di più, nel carattere, nella condivisione di progetti e relazioni, nella cessione alla donna amata di tutto il nostro modo di vivere.

Tuttavia quello che riteniamo una reale conquista, lo vogliamo esternare agli altri affinchè possa rimanere parte di una eredità che potrebbe essere di guida a quanti potrebbero essere interessati o solamente curiosi tanto da preparare un terreno fertile al messaggio che l’Autore con molta disponibilità e altruismo, desidera concedere e trasmettere.

Ogni capitolo del presente romanzo, narra una storia accaduta in uno dei tanti Paesi di questo mondo. La vicenda è unica e nasconde un messaggio di pratica esoterica e astrologica. E’ da ritenersi un contributo concreto, da consentire ai lettori di buona volontà di cimentarsi nel mondo delle previsioni astrologiche e non solo, adottando tecniche semplici.    


 

 


 

 

L’universo

 

Dalla mia terrazza, nel cuore di un parco equatoriale, spesso trascorro parte della intensa notte ad ammirare le Stelle e in quella porzione di cielo che sovrasta il territorio in cui vivo, ammirare i pianeti Venere e Giove, sempre più luminosi, uniti in un abbraccio di congiunzione.

Da una parte vorrei intravvedere un piccolo sentiero che mi possa collegare alla immensa e incessante forza che muove nell’universo galassie, stelle e sistemi solari.

Il pensiero vola in fretta verso il completamento della consapevolezza di far parte del grande mistero dei cieli, la certezza di incontrare un futuro pieno di successi e non solo quelli materiali, senza trascurare la propria individualità. Rafforzare il nostro ego per lanciare un messaggio verso gli altri e in questo modo salvare la nostra esistenza. Dedicarsi agli altri per mettere al sicuro nel salvadanaio i talenti da sfruttare nelle future incarnazioni.

 


 

 


 

 

 

 

 

ROMANZO

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

VERA CRUZ

 Messico

 

Ramon era un pilota molto apprezzato dalla compagnia aerea messicana Air Olmega, faceva normalmente la tratta Città del Messico Europa (Roma, Parigi e Londra). Quella di Parigi la preferiva perchè gli dava la possibilità di mantenere i contatti con l'Europa che riteneva un'area sociale molto importante e abbastanza sviluppata, sotto ogni punto di vista, sia per la parte economica sia architettonica in special quella antica pluri millenaria.

 

 

Quel volo che si stava concludendo proveniva da Parigi e come sua abitudine Ramon un'oretta prima dell'arrivo a Città del Messico aveva l'usanza di uscire dalla cabina di comando e di percorrere il corridoio centrale per salutare i passeggeri della executive senza trascurava certo di incontrare anche qualche passeggero di quella turistica. Era un bell’uomo, prestante e poi con quella divisa da comandante faceva battere il cuore a tutti. Mentre stava tornando verso la cabina sentì un qualche cosa che entrava nella tasca della sua giacca, al momento non si rese conto di che cosa fosse ma guardò nella direzione dove riteneva che l'azione velocissima fosse avvenuta e incontrò lo sguardo di una donna giovane, molto elegante, che gli sorrideva e con cordialità, contraccambiò ovviamente. Continuò il ritorno verso la cabina perché era giunto il momento di prepararsi per l’atterraggio. Anche Iuri, assistente capo cabina, si affrettò a vendere l’ultimo profumo. La manovra fu perfetta  e l’aereo lentamente si accostò al gate per la discesa dei passeggeri.

Come da protocollo, l'intero staff attese che tutti i passeggeri fossero scesi e poi insieme uscirono, attraversarono l’aeroporto,  per andare verso il centro della  capitale.

In prossimità delle ore dieci e trenta minuti, Ramon con il suo amico Iuri, assistente di cabina, raggiunse l’hotel convenzionato con le compagnie aeree, si salutarono e ognuno mise piede nella propria stanza. In maniera abitudinaria Ramon svuotò le tasche della giacca e in quella di sinistra trovò un bigliettino scritto rapidamente. C'erano poche parole ma essenziali, sono Jacqueline e questo è il mio numero di cellulare, aspetto con ansia la tua chiamata. Non c’erano dubbi, Jacqueline aveva perso la testa per lui. Orgoglioso di essere ammirato dalle donne, per la verità in ogni occasione e anche in quella mise da parte il grande amore per lui della sua mogliettina, sì, era felicemente sposato. 

Ramon non perse tempo, la chiamò, si salutarono con cordialità e fissarono un incontro presso l’abitazione di lei.

Era pomeriggio tardi, in prossimità del tramonto, giunse con un taxi da Jacqueline, citofonò al suo interno. Jacqueline rispose che sarebbe scesa in pochi minuti.

Qualche attimo dopo, si videro, rimasero per un attimo immobili uno di fronte all’altra, con impeto si abbracciarono come fossero due vecchi amici e salirono su un taxi in attesa che Jacqueline aveva prenotato pochi minuti prima. Andarono verso il centro di Città del Messico e in prossimità della piazza di  Conception scesero dal taxi. Percorsero il viale, sostarono il tempo necessario in un bar molto famoso. Era quasi notte, quella zona era conosciuta molto bene da Jacqueline, presero un aperitivo super alcolico caratteristico del locale. Conversano amichevolmente e parlarono di loro.

 Jacqueline inizio la conversazione, parlò della sua vita frenetica, era modella, aveva ventitre anni e una vitalità esuberante forse eccessiva per la sua attività. Era entrata appena maggiorente in una società abbastanza famosa dove venivano formate modelle professionalmente di un certo livello. In quel momento ne erano state selezionate una ventina e poste al primo grado e ciò voleva significare che il loro cachè era assicurato in almeno cinquemila dollari americani per mezza giornata di lavoro. Il boss della società era di New York, pretendeva una professionalità dalle sue modelle senza la minima incertezza, pena la cessazione dal lavoro. Il suo obiettivo era di formare le modelle secondo lo stile e esigenze di New York, con una impronta super moderna e di prestigio ma soprattutto priva di qualsiasi tabù per il coinvolgimento totale delle sue ragazze, come soleva parlare di loro con importanti clienti e persone altolocate.

 Ramon aveva ascoltato con molto interesse e ammirazione Jacqueline con quella sua cadenza francese della costa azzurra e se ne era già innamorato. Parlò della sua attività di comandante nella compagnia Air Olmeca,  pilota molto apprezzato non solo dai suoi colleghi ma bensì anche da quelli delle altre compagnie aeree più famose della sua. Aveva quaranta tre anni ed era molto soddisfatto del suo lavoro.   Sposato con una bellissima messicana, per lui almeno era la più bella della nazione, si chiamava Mary Cruz Olmecina  in omaggio alla cultura precolombiana Olmeca di cui suo padre era un impegnato studioso. La sua attività di pilota non gli faceva mancare incontri e conseguenti relazioni che molto spesso nascevano in occasione dei suoi lunghi voli, come stava accadendo in quella giornata con Jacqueline.

Continuarono a fare due passi, a volte tenendosi stretti, a volte prendendosi per mano e dopo una decina di minuti giunsero al famoso ristorante ubicato al cinquantesimo piano in una torre girevole, uno sfizio da non perdere secondo i commenti che venivano rilasciati sui vari social.  Nonostante fosse a Città del Messico da un anno per partecipare ai vari incontri e manifestazioni professionali e sociali data la sua carriera di modella prestigiosa, Jacqueline aveva sentito parlare frequentemente di quel ristorante ma per la verità non ebbe mai l'occasione di deliziarsi nel consumare un pasto ricercato con  quella vista meravigliosa dal cinquantesimo piano.

Giunsero dopo un viaggio in ascensore che sembrava non finisse più ed entrarono in quel magnifico locale sicuramente di alto livello. Si avvicinarono due camerieri in divisa impeccabile e li misero a loro agio in un tavolo a loro scelta dal quale potevano ammirare la città anche se il ristorante, con il suo movimento rotatorio molto lento, girava e permetteva una visione praticamente a 360 gradi della capitale.

Non fu da sorprendersi sulla qualità delle portate anche internazionali, dei gustosissimi piatti, delle mille specialità a disposizione e da scegliere ma la decisione fu presa da Ramon per la cucina messicana molto gustosa e saporita. Il loro incontro era spumeggiante e la scelta di quei piatti non era proprio presa a caso. Ramon da messicano del sud spingeva per i piatti ricchi di spezie che avrebbero dovuto portare ad una certa animazione e con quella cucina garantire  il buon risultato della serata. Un eccellente vino della California accompagnava i vari piatti e alla conclusione del pasto cedettero alla tentazione di sorseggiare lo champagne. Nel frattempo il ristorante, nel suo movimento rotatorio, era giunto a  quella parte della città che faceva intravedere il centro storico, l’imponente cattedrale e i palazzi della politica. Con una abbondante porzione di torta, lo champagne giunse al termine e anche l’eccezionale pasto serale. Infine non poteva mancare un perfetto caffè espresso garantito napoletano, preziosissimo in quella parte del globo.

Ramon pago il conto, anche lei tentò di partecipare alla spesa ma fu un tentativo inutile. 

Ripresero l'ascensore, sembrava un locale notturno per la singolare illuminazione, ci volle molto tempo per giungere al piano terra e uscirono dal grattacielo. C’erano diversi taxi in attesa di clienti, presero il primo disponibile per andare a piazza Garibaldi dove moltissimi gruppi musicali di mariachi stavano intrattenendo turisti, passanti e innamorati. Anche Ramon e Jacqueline potevano essere compresi tra questi ultimi, si strinsero più forte per la vita, riuscirono anche a darsi qualche bacetto scambiato in maniera delicata mentre la musica riempiva la piazza. A mezzanotte passata passeggiarono a lungo e in largo nella vasta piazza ascoltando i coinvolgenti brani musicali degli esperti trombettisti e chitarristi, il loro mariachi aveva un qualcosa di sensuale e decisero di andare a  casa di Jacqueline.

Una normale camera di albergo ma abbastanza ben disposta. C’era l’occorrente per una ospitalità anche di qualche amico, a vista l’angolo bar con diverse bottiglie di alcolici e soprattutto di tequila che non poteva mancare in casa di ogni buon messicano. Stuzzichini e biscotti distribuiti in tre vasi di cristallo e argento pronti per essere assaggiati. La temperatura nella camera era abbastanza gradevole calmierata dal solito climatizzatore tenuto conto del notevole caldo anche in piena notte della capitale. Tardarono un poco sul da farsi seduti nel piccolo divano; Jacqueline prese l’iniziativa e con la scusa del grande caldo confidò la necessità di liberarsi della camicetta che nascondeva appena il bel seno. Consigliò di mettersi a proprio agio anche al suo amico Ramon.

Nel frattempo lei comincio a raccontare il ricordo di quanto accaduto all’incirca un anno e mezzo prima in occasione del decennale dell’avvio dell’agenzia delle modelle. Ci fu allora una buona partecipazione di quasi tutti i modelli perché la loro presenza testimoniò la grande sensibilità e riconoscenza per quanto Nico, il fondatore della società di modelli, di origine italiana, avesse fatto nei loro confronti. Riunione inizialmente abbastanza formale ma il primo champagne sciolse quell’atmosfera controllata e l’amicizia e la fraternità prese il sopravvento con le prime risate, le prime battute su vari argomenti e qualche desiderio particolare da inventare per esaudire i loro diversi propositi. Tergiversando, girando lo sguardo a destra e poi a sinistra, l’attenzione si rivolse verso Jacquelinei, ritenuta la più giovane e bellissima modella dello studio. Molto sorpresa degli sguardi di quasi tutti i suoi colleghi, rimase indecisa della loro scelta.  Ci fu un grande applauso a significare il grande consenso riscosso per la modella più adatta alla riuscita di quella festa.

Continuava il racconto Jacqueline. Venne accompagnata nella stanza a fianco per la dovuta sua preparazione alla festa. Con lei andarono anche due modelli di orientamento gay. La partecipazione a quel evento e soprattutto la curiosità di cosa stesse accadendo, portò tutti in grande euforia e quando la porta del locale si apri, tutti concentrarono lo sguardo su di lei, ora vestita all’incirca come una principessa ma proprio all’incirca perché abbondantemente spogliata e ricoperta da un velo rosa pallido molto trasparente. Un modello gay a lato di Jacqueline aveva un cesto pieno di petali di rose mentre l’altro, sempre gay, era vicino ad un tavolino con una bottiglia di champagne già aperta e due coppe di cristallo. Lei venne sdraiata completamente nuda di traverso su un lettino completo di lenzuola finemente ricamata, mentre si  diffondeva una melodia sensuale sullo stile polinesiano. Si sapeva che la Francia aveva sempre nel cuore la Polinesia.

Il primo assistente invitò, a sua scelta, un modello ad avvicinarsi a Jacqueline mentre si spogliava di tutto quanto voleva. Nel frattempo veniva versato champagne in una coppa e il contenuto fatto scivolare sul seno mentre l’invitato, oramai vicino, lo assaporava baciandola e leccando parte del torace. Intanto l’altro gay lanciava in aria petali di rosa. Il bacio continuava fino dove era scivolato lo champagne e in quel momento Jacqueline aprì le gambe e mise in mostra una bella bocca disegnata attorno alla vulva. Il gay invitata il partecipante a continuare nel bacio fino ed arrivare alla bocca disegnata di rosso ardente per appoggiare le sue labbra per un bacio sensuale e profondo, tra gli applausi dei presenti. Il modello scoperse che le labbra disegnate avevano il sapore di un super peperoncino e questo lo portava ad insistere con il bacio sempre più profondo. Jacqueline sorrideva divertita e dimostrava di non essere proprio contrariata di quanto stesse accadendo.

Toccò al secondo invitato per la verità questa volta una modella molto incuriosita di quanto stesse accadendo. Anche lei si spogliò, scelse la nudità totale, si avvicinò al seno di Jacqueline mentre l’assistente gay versava lo champagne nella coppa di cristallo e poi sul corpo della bellissima Jacqueline. Dette grandi baci ai due seni e seguitò fino a dove c’era lo champagne. Poi le sue labbra si stamparono su quelle disegnate attorno ai bordi della vagina di Jacqueline per soffermarsi a lungo anche a causa del forte aroma e stuzzicante bruciore del peperoncino mentre l’altro gay gettava in aria i petali di rosa facendoli cadere sulla coppia. Ad un certo punto, Jacqueline toccò la testa della sua collega modella per farle intendere che era terminata la sua partecipazione.

Intanto la musica continuava.

E così la festa andò avanti fino a quando Jacqueline invitò un modello gay che per la verità non si sentiva a suo agio in quella manifestazione ma lei insistette e lo invitò a rappresentare la sua idea con gli applausi di tutti i presenti. Il gay si approssimò mentre l’assistente versò una coppa di champagne sui seni e dopo sulla testa dell’invitato. Ci mise molta passione, i seni vennero baciati più volte e più volte i baci andarono giù e su e davanti e indietro sul corpo di Jacqueline. Poi si arrivò alla bocca colorata di rosso fuoco che ogni volta veniva ridisegnata attorno alla vulva. Le labbra carnose si accostarono a quelle disegnate e un urlo si diffuse in aria per effetto del peperoncino ma Jacqueline prese il suo capo e lo spinse verso la sua farfallina decidendo di farla toccare e baciare fino a quanto saziò il suo desiderio.

Coperta di champagne e di petali di rose rosse, Jacqueline decise che la festa poteva considerarsi terminata gettando baci a tutti i presenti.

Venne ricordato l’ordine tassativo di non fotografare con il cellulare tutta o in parte la festa e per quelli che lo avessero fatto, di cancellare le foto pena di un salasso economico a danno degli stessi.

Jacqueline aveva appena terminato il suo racconto con quanto entusiasmo possibile di quanto avvenuto nel decennale dello studio di modelli. Ancora oggi nel ricordo di quel momento appariva molto coinvolta ma in modo piacevole si rendeva conto che anche il suo Ramon era rimasto meravigliato ed entusiasta della conclusione di quella goliardia degli amici e colleghi modelli.

Propose a Ramon di avere pazienza e aspettarla per qualche minuto, sarebbe ritornata con una grande novità. Ramon acconsentì e non finiva di meravigliarsi delle sorprese di Jacqueline. Con un velo indossato elegantemente, molto trasparente, invitò Ramon mettersi al suo agio mentre lei si sdraiò sul divano appoggiando la gamba sul poggiatesta. Praticamente nuda, sorridente,  fece segno a Ramon di avvicinarsi mentre lei si versava sul corpo un po' di champagne. Ramon che aveva seguito con molto entusiasmo quella storia raccontata da Jacqueline, cominciò a baciarla dal petto in giù e quando giunse alla farfallina la trovò contornata da un rosso intenso che non aspettava altro di essere sfiorata. Intanto lo champagne era giunto in quella posizione e cominciò a baciarla e quando si rese conto che quel rossetto sapeva di peperoncino la baciò con intensità. Jacqueline se la rideva compiaciuta, ricordava l’indimenticabile teatralità avvenuta in quella festa mentre Ramon si dava da fare per seguire le sue indicazioni fino a quando, nel pieno della passione, riunirono i loro corpi assecondando la grande voglia reciproca di possedersi. Soltanto verso le tre di notte trovarono la voglia di sdraiarsi vicini per riprendersi dalle ripetute voglie di amore. E così la notte offrì la giusta terapia di un sonno profondo fino a quando i primi rumori risalenti dalla via gli ricordarono che fosse giunto il momento di alzarsi. In piena euforia lasciarono l'appartamento e scesero in via Dakota dove c’era il bar preferito di Jacqueline , per gustare le prelibate torte della cucina messicana. Scesero a fare colazione in quel bar famoso sotto casa di Jacqueline che conosceva molto bene. In via Dakota, entusiasti e compiaciuti restarono come due vittoriosi amanti compiaciuti dopo una notte di lotta amorosa. Jaqueline e Ramon presero l’impegno di incontrarsi nuovamente quando il loro lavoro lo avrebbe permesso.

Ramon aveva il volo per Veracruz alle undici e quaranta cinque, avevano quindi tempo per consumare una sostanziale colazione. Si abbracciarono forte, ognuno di loro restava convinto che ci sarebbe stata un'altra volta.

Giunto a Veracruz, con un taxi Ramon raggiunse il parco Saragozza dove aveva comprato prima del matrimonio una villa in prossimità del mare. La moglie Mary Cruz lo stava aspettando davanti al portone aperto, mentre nell'aria si diffondeva il forte profumo di un piatto messicano di cui era molto goloso. Mary Cruz si accorse subito che qualche cosa era cambiato nella espressione di suo marito Ramon e come moglie attenta avrebbe poi fatto delle domande per capire che cosa aveva combinato il suo amore che per la verità era molto perseguitato dalle passeggere e hostess di ogni aeroporto, lei lo sapeva bene. Ramon dopo il pranzo chiese a sua moglie di lasciarlo andare a riposare, il viaggio era stato molto strano, si era stancato parecchio a causa degli anomali sballottamenti verificatisi più volte nel ritorno a Città del Messico. Con un bel bacio ricevuto, Mary Cruz acconsentì. Mentre Ramon si era sprofondato in un sonno liberatorio, la moglie pensò di curiosare nella valigetta di lavoro e in particolare il cellulare. Tra le telefonate in arrivo trovò il nome di Jacqueline, il giorno prima e il giorno dopo prima del suo rientro a Veracruz. Non ci volle molto per capire, aveva incontrato quella donna e con lei trascorso l'intera notte. Mary Cruz era molto gelosa ma faceva di tutto per nasconderlo, non voleva tuttavia significare che in cuor suo avrebbe perdonato quella ultima scappatella. Il giorno dopo, Ramon doveva partire per Città del Messico e da lì riprendere il suo lavoro di comandante pilota di voli intercontinentali.

Non era la prima volta che Mary Cruz doveva affrontare quella spiacevole situazione di  avere un marito diviso fra le tante donne saltuarie che conosceva durante i voli e lei che era una messicana vera, non ne voleva proprio sapere di condividere il rapporto di amore con tutte quelle di bassa moralità, approfittando i viaggi che il suo Ramon doveva fare per lavoro e che lo tenevano fuori anche per tre, quattro giorni. Lei riesaminò il tutto e decise di fare una visita al sito archeologico di Serra de las Mesas, distante da Veracruz una cinquantina di chilometri e quindi con il taxi poteva raggiungere tranquillamente quella località alla quale lei era molto legata e devota. Lei ricordava che il suo povero padre fu uno studioso di astrologia e archeologia,  le mise come secondo nome Olmecina in memoria della civiltà Olmeca vissuta in quelle zone addirittura 400 anni prima di Cristo. Aveva una certa riverenza verso quei luoghi e quando si trovava in  difficoltà per qualsiasi problema, aveva sempre avuto l'ispirazione di recarsi in quell'area e in particolare depositare il mazzo di fiori su un altare che era quello più importante del centro astrologico,  lanciare  alla divinità le sue richieste riguardo la salute, il lavoro del suo amato Ramon e in generale a tutte le cose che ogni tanto si mettevano di traverso. Raggiunse quindi il centro astrologico - archeologico e quando fu in prossimità di quel famoso altare ricevette subito dei brividi che penetravano nel suo corpo e capì che in quel preciso momento gli spiriti antichi la stavano aspettando e ascoltando le sue preoccupazioni. Immediatamente la prima preoccupazione che rivolse agli spiriti della dell'antica civiltà Olmeca fu quella di suo marito Ramon che dai suoi comportamenti lasciava trasparire una frequente mancanza di fedeltà ma quella volta riteneva fosse più intensa e si rivolgeva quindi agli spiriti affinchè spingessero Ramon a mettere al centro della sua vita lei e contemporaneamente frenare quel suo impeto di essere corteggiato da tutte le donne, per la verità non era lui che si esponeva ma erano loro in particolare che gli facevano una corte serrata fino a quando lui non cedeva. Quindi chiedeva  agli spiriti che aleggiavano nel centro archeologico di intervenire al fine di evitare quella incresciosa realtà in cui spesso versava il suo Ramon che doveva partire e stare fuori di casa anche più giorni, anche per raggiungere a volte i luoghi più remoti del mondo. Lei pensava, anzi ne era certa, che le divinità erano a ben conoscenza della sua situazione. Sottolineava che la colpa era da attribuire a tutte le donne che cadevano nelle sue braccia, di molte compagnie aeree perché lui era un bell'uomo simpatico e affascinante e quindi Mary Cruz lo vedeva come miele che attirava mosche di ogni tipo. A quel  punto lasciava la decisione agli spiriti olmechi, concludendo di intervenire nella maniera più opportuna a salvaguardia del suo amore. Li salutò con molta intensità e dopo una profonda riflessione Mary Cruz lasciò il centro archeologico per tornare alla sua casa a Veracruz. Era più che certa che i suoi spiriti avrebbero accolto la sua richiesta anche se si trattava di un argomento un po' complicato però la sua sicurezza le dava la garanzia di aver creduto negli dei, della forte energia e determinazione che avrebbero inculcato in Ramon. Confidava che presto si sarebbe passati dalla conversazione agli abbracci affettuosi e soprattutto all’amore appassionato. La garanzia che la loro unione non sarebbe stata mai interrotta, quella forza le dava la possibilità di andare avanti.

Nel frattempo le settimane passarono e per la verità non riscontrava alcuna modifica del comportamento e dalle espressioni che lui aveva quando tornava a casa si capiva che gli spiriti non si erano ancora interessati del futuro Ramon e soprattutto della difesa della loro unione ma non si dava per vinta e quando suo marito non c'era, continuava con le sue suppliche e i suoi ricordi agli spiriti della civiltà olmeca attraverso l'accensione di candele per stimolarli a risolvere quell'impegno che aveva ricevuto da loro per la soluzione alle sue angosce.

Era già qualche settimana che Mary Cruz gironzolava per il lungomare con quel incessante pensiero nella mente e con lo stomaco che borbottava su e giù, non riusciva a comprendere come mai il suo Ramon potesse tradire con quella facilità che poi non riusciva a nascondere dal suo viso, bastava fissarlo un po' per capire che lui era stato in un altro mondo. Prese una nuova iniziativa e parlò con la domestica Flores che voleva andare a svagarsi nella spiaggia di Villa del Mare, la giornata invitava ad uscire di casa, sentiva proprio la necessità di sdraiarsi e essere baciata dal sole, tuffarsi più volte in quelle acque turchine dei Caraibi spinta da un grande desiderio di cancellare tutti quei suoi pensieri che in quelle ultime settimane la tormentavano. Parcheggiò l’auto nei pressi dello stabilimento balneare più in voga, trovò un posto che era più adatto sia alla vista degli altri bagnanti che in prossimità del bagnasciuga e dopo aver ordinato un bel succo di frutta tropicale guardò il cielo intenso, assaporò la bevanda,  dopo qualche minuto si diresse verso le acque cristalline e si tuffò,  nuotò fino a stancarsi, tornò e si distese in quella comodissima sdraio. Puntualmente il cameriere si riavvicinò per chiederle se volesse gustare qualche cosa di particolare e di sfizioso, raccomandò un piatto che da tanto tempo non mangiava, in pratica un insieme di calamari accompagnati da un piatto di patate fritte molto speziate. Mary Cruz trovò un po' di pace ai suoi pensieri tormentati e in pochissimo tempo la mente si liberò dal quel peso, quel momento la portò lontana al centro archeologico Olmeca, vide l’altare dove offriva doni alle divinità. Poi l’ambiente cambiò di colpo, apparve un viso sorridente che la invitava ad andare con lui, forse era l’amore vero che cercava dentro di sè, sì certo era proprio l’uomo che stava cercando e d’impeto si gettò nelle sue braccia sfiorando quel viso sorridente e quando lui la cercò di baciarla, allora quel bellissimo sogno svanì all’improvviso.  Si mise a sedere sulla sdraio, spalancò bene gli occhi e trovò solo sabbia e mare. Delusa dalla realtà, la mente si concentrò sul viso dell’uomo sorridente che poteva essere il messaggero delle divinità Olmeca che attraverso lo spirito la stava osservando e proteggendo dalle difficoltà in cui stava vivendo. Mary Cruz ritrovò se stessa, pensò al suo Ramon nelle braccia di un’altra hostess o viaggiatrice. Alla fine mise il marito da parte, era logico che anche lei dovesse guardarsi in giro e trovare un uomo di piacevole aspetto, di buon carattere, sicuramente molto sensuale molto di più di suo marito. Raccolte le cose che aveva portato per una giornata di mare, mise da parte il pensiero dell’affascinante uomo avuto in visione. Con l’auto tornò a casa, trovò un bigliettino di Flores con un breve scritto  che aveva già preparato la cena, quella sera era stata invitata a passare la serata con una sua amica. Mary Cruz cercò di rassegnarsi, non era la prima volta che la sua Flores la lasciava sola, lei non ostacolava questo suo desiderio di passare qualche notte fuori casa. Probabilmente non c’era nessuna amica, senz’altro un suo innamorato. Beata lei, pensava dentro di sé.

Dopo la doccia, si sistemò molto bene, anche se restava in casa le piaceva essere sempre elegante e ben vestita. Era pronta a mettersi a tavola quando sentì suonare il campanello, si affacciò e vide davanti al cancello un uomo, gli sembrava lo stesso apparso in visione, sempre sorridente con un bel mazzo di rose rosse. Molto meravigliata, lo fece entrare, accettò le rose che mise in un bel vaso di cristallo e con cordialità lo fece accomodare nel salotto e offrendogli un buon aperitivo. Non ci furono molte parole, ognuno non voleva rovinare quell’incontro con una parola fuori posto, i loro occhi si guardarono per qualche istante, subito scattò qualcosa di  magnetico e avvicinandosi sempre più uno all'altra , un bacio di grande passione mise i sentimenti di May Cruz sotto sopra scatenando la passione.  Dopo quel bacio ne seguirono altri, caddero gli indumenti uno dopo l'altro lungo la scalinata che portava alla camera da letto. La porta restò spalancata e l’ampio letto matrimoniale ospitò i due innamorati persi in un idillio d’amore in quella notte di grande calore nonostante il climatizzatore. Si sarebbero poi ritrovati in tante posizioni, ogni volta differenti, che contribuirono a mettere in risalto il loro forte desiderio sensuale e sessuale.

Mary Cruz trovò la prontezza di spirito di fare uscire il suo innamorato di casa un po' prima dell’arrivo di Flores, non voleva che quella nuova sua situazione potesse essere vista da lei (sicuramente ne avrebbe parlato con Ramon) e diffondere pettegolezzi in giro conoscendo Flores e soprattutto le altre domestiche che spesso si riunivano giornalmente per la spesa e compera di beni alimentari.

 Una cosa apparì certa, il volto si era trasformato sembrava un'altra persona, in un certo senso più decisa del normale, probabilmente quell'incontro fu determinante per stravolgere il suo carattere mettendo sotto i piedi il suo pensiero tormentado di Ramon che lo tradiva da sempre e che quella notte gli aveva dato la pariglia.

Il giorno dopo Ramon tornò dal solito suo volo intercontinentale più o meno sempre prima delle dodici,  si salutarono con molta affettuosità, quella volta Mary Cruz aveva uno sguardo malizioso e un viso proprio felice. Ramon notò quel cambiamento e si preoccupò per un attimo. Poi lasciò da parte quella sensazione, quando arrivava a casa dopo il solito lungo viaggio dall’Europa  dimostrava la stanchezza delle tante ore di volo e non aveva quella lucidità per soffermarsi a osservare il comportamento della sua moglie diletta. E così ogni volta che Ramon partiva vestito da comandante della Air Olmeca, si incontrava nel centro della cittadina con il solito uomo affascinante che con grande cordialità la invitava a trascorrere la giornata a visitare Vera Cruz ma anche altri luoghi vicini che lei ne aveva sentito parlare ma che in realtà non aveva mai visitato perché legata alla poca disponibilità di tempo del suo Ramon. Ovviamente ad ogni pomeriggio trascorso insieme seguiva una nottata di passione nei differenti hotel prenotati ogni volta all’ultima ora.  

I giorni passarono nella indifferenza graduale tra Mary Cruz e suo marito. Ognuno conduceva la propria vita, Ramon rincorso da tutte le donne, rapite dal suo modo di fare, dal suo volto sorridente ma soprattutto dalla divisa di comandante pilota che lo distingueva fra tutto il personale dell'Air Olmeca e degli aeroporti, si comportava come agli inizi del loro matrimonio, trascurando spesso la moglie e evitando di parlare dei suoi voli e della sua attività.

Dando retta all’amico collega Iuri di evitare per una volta il volo in direzione di Vera Crux e assecondando il continuo invito di Consuelo e Carmencita, due passeggere messicane di una bellezza esagerata, presero la direzione di Huamantla, ai piedi di Malinche, un magico vulcano dormiente da molti secoli ma che diffondeva sempre rispetto e meditazione.

Il punto di incontro era fissato nella “hacienda Santa Barbara” casa Maliche, abbastanza fornita di ogni comodità e soprattutto di una bella piscina circondata da verde e piante di fiori. Un luogo molto invitante. Giunsero un po' in ritardo rispetto all’orario previsto, le due messicane erano già in piscina, quella sera c’era un caldo soffocante. Ai bordi due musicisti e un cantante che diffondevano alcuni brani tramandati dalla rivoluzione. Alle venti precise, giunsero alla Fazenda Santa Barbara Ramon e Iuri. Il vociare fragoroso di Consuelo e Carmencita nascosero la melodia rivoluzionaria e in quattro e quatt’otto si trovarono tutti nella piscina. Nonostante quel luogo fosse a mille e cinquecento metri di altitudine, in certi tratti sembrava di essere sulla costa di Very Crux.

Si abbracciarono nell’acqua fresca, ridendo e scherzando, non ci volle molto per giungere ai baci rapidi e poi sempre più lunghi. Nella piscina c’erano soltanto loro, accompagnati dalla piccola orchestra di mariachi. Potettero abusare di tutto, persino a togliersi quei ristretti costumi e gioire delle voglie che passavano nella loro testa. Solo l’arrivo del cameriere, pose fine a quella divertente compagnia, la cena era pronta tra una mezz’ora.

Il menù non era per niente sofisticato ma si dettero da fare a mangiare di tutto. La lingua di manzo alternata al brodo di polpo e pane tostato. Assaggiarono in seguito zuppa di fagioli con prosciutto di montagna, non rifiutarono tagliatelle con gamberetti e spolverata di tartufo. Solo Consuelo e Carmencita addentarono l’anitra al forno ripiena di piantaggine. Pasto consumando, erano già vicini alla seconda bottiglia di vino della zona. Non rifiutarono caffè e una gustosa tequila.

Uscirono dal ristorante e si sedettero ad ammirare la vetta del vulcano Malinche, ognuno con i propri desideri e progetti di vita. Il fresco stava per impossessarti della Fazenda e concordarono di andare a letto. Ci fu molta piacevole confusione, Consuelo che aveva scelto di stare con Iuri, dopo un po' si affacciò alla stanza di Ramon per prendere il posto di Carmencita. Lo scambio si fece in diverse volte nel cuore della notte. Solo quando l’alba tingeva di rosa il Malinche, si addormentarono di colpo, esausti.

Quando scesero per la colazione le due esagerate messicane erano già vestite e pronte per tornare a Huamantla.

Un bacio lungo e un abbraccio forte pose termine a quell’incontro eccezionale.

Iuri conversò con Ramon, quella volta avevano trascorso veramente una notte indimenticabile. Chiesero alla reception se potevano prenotare un taxi per Vera Cruz, si offerse il figlio del titolare della Fazenda.

 

Accadde quel giorno in cui il maltempo improvviso mostrò il suo volto peggiore nel tragitto di ritorno a casa dal territorio di Malinche a Vera Crux.    

Pochi chilometri prima di giungere alla cittadina, un fulmine cadde lungo la strada colpendo in pieno l’auto in cui stava viaggiando Ramon con il suo amico Iuri e il figlio del titolare della Fazenda Santa Barbara. Fu un evento pauroso e spaventoso, l’auto arse come un fuoco all'aperto ai tempi dei cowboy in sosta durante il trasporto della mandria. Completamente bruciacchiata, lo scheletro dell’auto presentava alle persone accorse il terrore delle tre persone carbonizzate da sembrare tirati fuori da una miniera di carbone. L’incidente fu clamoroso, in poco tempo pompieri, polizia stradale, qualsiasi organo di informazione, sirene spiegate in soccorso, telegiornali che continuavano ad aggiornare le notizie fino a quando il comandante della polizia stradale informò con certezza che i corpi bruciati erano di Ramon, il comandante pilota della Air Olmeca, il suo amico collega Iuri e il figlio del proprietario della Santa Barbara che era alla guida dell’auto. Il grave incidente si diffuse oltre a Vera Crux anche nell’intero Messico. Dalla direzione della Air Olmeca giunsero le condoglianze pubbliche alla vedova di Ramon, la signora Mary Cruz.

 Si prepararono con solennità le celebrazioni del funerale. Quella mattina la cattedrale era colma di fedeli, in parte curiosi. Il feretro era super coperto di corone di fiori di vari tipi, da quelli più semplici a quelli tropicali della stagione di primavera.

La moglie dolorante sorretta dalle amiche più vicine, con il candido fazzolettino di pizzo tentava di asciugare le lacrime che per la verità non volevano scendere. Con la coda degli occhi riusciva a vedere in lontananza l'uomo che l’aveva accompagnata in quegli ultimi periodi ma che nessuno sapeva della sua esistenza in quanto le loro frequentazioni avvenivano in una maniera molto discreta, lontano dal quartiere di ville ove viveva Mary Crux. Il vescovo a cui fu stata demandata la celebrazione del funerale fece un discorso molto attento e profondo nell’ambito dei principi materiali, azioni combinate in una possibile visione spirituale che ogni uomo, ogni donna, alla fine doveva avere dentro di sé. La vita trascorreva con una velocità incredibile,  molto spesso i bisogni materiali sconvolgevano la vita e loro inclinati a raddrizzare il timone del destino soltanto quando oramai ogni possibilità poteva essere esaurita. Gli impegni presi nel quadro dei programmi di vita, non permettevano di creare un rapporto velocissimo con il cielo e forse in quegli attimi sfuggenti non avere nemmeno un minuto per lanciare un contatto spirituale con Dio e cercare di raggiungere e ottenere il suo perdono. La cerimonia terminò, le numerose auto seguirono quella del feretro, giunsero al cimitero monumentale e  alla fine amici, conoscenti e colleghi di lavoro del povero Ramon cercarono di consolare la povera vedova, con abbracci, baci e stretta di corpo, ognuno voleva testimoniare la propria vicinanza a quell’immenso dolore. Pochi accompagnarono la vedova a casa dandogli quel conforto ritenuto necessario per poter affrontare quella circostanza molto triste e tragica. Almeno così pensarono quelli che erano strettamente vicini a lei. Mary Cruz nella sua villa rimase con Flores. Quella sera desiderava stare sola con il pensiero rivolto al suo grande amore Ramon e propose a Flores che poteva uscire ad incontrare i suoi amici per tornare la mattina del giorno dopo. Flores si dimostrò molto dispiaciuta ma accettò la proposta della sua signora. Uscita la domestica, soltanto dopo un'ora circa, si sentì suonare il campanello, lei si affacciò, non restò sorpresa, fece entrare il suo uomo innamorato, si gettò nelle sue braccia, si scambiarono baci profondi, con gli occhi arrossati che eruttavano lacrime, che scendevano sul viso, quelle lacrime che l’innamorato cercava di trattenere sfiorando il volto con le dita,  in quattro e quattr'otto si trovarono a letto per consumare un atto d'amore con il proposito di chiudere definitivamente il passato di Mary Crux con il pensiero di Ramon, il suo tumultuoso ricordo anche se aveva la sensazione che il suo spirito stesse assistendo  al loro peccaminoso incontro sessuale che loro consideravano il più grande amore della loro vita.


 


 

 

 

CASABLANCA



Dopo tanto tempo, Paolo decise controvoglia di viaggiare verso il Marocco iniziando la sua gita turistica da Casablanca nonostante non fosse molto attratto da quel Paese del Nord Africa. La sua storia e la sua magia poteva coinvolgere molte persone e quindi in extremis anche lui che aveva una preparazione nel campo esoterico accumulata nel tempo. Stranamente comprese che alla fine si sentiva un po' più attratto da quel Paese probabilmente a causa del modo della guida di presentare quel Paese in maniera da mettere in risalto gli aspetti ritenuti magici soprattutto di Casablanca. Nel solito giro turistico assistito dalle agenzie di viaggio trovava infine alcuni  interessi, riusciva a concordare sulle prime osservazioni che venivano accolte dalla guida con interesse aiutato dal suo ottimo italiano.

Veniva messa in primo piano la questione sociale delle relazioni amorose tra i giovani del Marocco le cui affettuosità non dovevano manifestarsi in pubblico fino all'età di diciotto  anni e in generale prima del matrimonio. Non era in effetti tollerato che un uomo e una donna potessero avere rapporti prematrimoniali, cosa che comportava una condanna almeno fino a 6 mesi di carcere, in quel divieto erano comprese anche le relazioni sessuali con una donna sposata. D'altro canto il Marocco paese di religione mussulmana contrastava le inosservanza ai dettami del Corano quindi in ogni modo prima dei diciotto anni non era previsto alcun matrimoniol Altra caratteristica importante che si poteva ascoltare nel giro turistico. erano le antenne paraboliche di case e casette della periferia, quello dimostrava l'interesse che il Marocco e gli abitanti di Casablanca avessero nei contatti con il mondo intero ma soprattutto con i paesi di lingua francese visto che il Marocco aveva come lingua principale quella lingua. Un certo interesse era destinato ai programmi satellitari della vicinissima Spagna e marginalmente a quelli di lingua italiana sempre molto apprezzata anche se le persone la conoscessero in piccola parte.

Il giro non poteva escludere la visita della casbah che era il fulcro vitale e commerciale di ogni cittadina del Marocco, si possono trovare gli articoli artigianali tipici con tutte le varietà rappresentanti le tradizioni tramandate dalle generazioni passate. Camminare lungo i vicoli stretti della casbah richiedeva anche una grande attenzione soprattutto ai beni personali, non era proprio impossibile vedere atti criminosi contro i turisti che venivano derubati frequentemente.

L’interesse singolare della visita di quel controverso Paese era per la magia e per i sentimenti magici ad essa collegati, diffusi attraverso libri ma anche dalle opere filmiche realizzate da registi di molti Paesi, vicini e lontani, per l'aspetto del territorio che si prestava in maniera impeccabile alle sceneggiature, non solo western ma anche religiose, introspettive e persino poliziesche. Difficile dimenticare la vita di Gesù Cristo e quella dei profeti musulmani. Tra quelle realtà del territorio sembrava fosse naturale realizzare film di grande interesse culturale, una situazione molto particolare si manifestò nel corso di una visita alla grande moschea nei pressi di Casablanca. Paolo venne attratto da un gruppo di persone che stavano discutendo animosamente. Avevano come punto di riferimento un giovane circondato da altre persone che stavano confabulando tra di loro, sicuramente su un argomento importante, indirizzando ogni tanto lo sguardo  verso quel ragazzo. Paolo si avvicinò con curiosità, trovava il tutto molto strano e pur avendo difficoltà nell’intendere completamente l'arabo. sforzandosi  gli venne in mente che nel suo passato di dirigente di una società italiana aveva instaurato rapporti commerciali con i paesi del nord Africa. Quella domestichezza nel comprendere e parlare l'arabo l'aveva memorizzata in quel tempo e ora in quella situazione la memoria gli porse un aiuto di cui aveva bisogno. Quindi non ebbe alcuna difficoltà ad avvicinarsi e a capire la sostanza di quello che stavano trattando. Qualcuno riferì che in certi momenti il ragazzo sentiva un peso enorme sulle sue spalle e nello stesso tempo si esprimeva in un arabo che era difficile da comprendere, qualcuno si spinse ad affermare che probabilmente poteva trattarsi di un arabo antico. Ecco perché il gruppetto confabulava continuamente e non riusciva a raccapezzarsi come poter aiutare quel ragazzo, sollevarlo da quella forza che spingeva sulle sue spalle. Tutto quello veniva interpretato come influsso maligno che si manifestava quando si impossessava del suo  corpo e mente. Era come se lo spirito antico arabo entrasse nel suo corpo e in quel momento manifestava la sua presenza con quel peso enorme sulle spalle e interferendo nel modo di parlare in quella lingua incomprensibile. Arrivò nel frattempo un uomo saggio che, sentito quello che stava accadendo. teorizzò la presenza di un antico condottiero medievale per il modo di parlare incomprensibile dell’arabo.  Soprattutto si concentrava sull’eccessivo peso sulle spalle del ragazzo, probabilmente si doveva trattare di una corazza. Le decine di persone che si erano raggruppate avevano una grande difficoltà a risolvere quella questione che sotto certi aspetti si presentava in maniera piuttosto singolare ma anche molto incresciosa.

Paolo si avvicinò e esprimendosi in un arabo un po' inceppante, riuscì a farsi capire e parlò della sua volontà di essere di aiuto a quel ragazzo, la madre vicina supplicava i presenti di trovare una soluzione che salvasse il figlio da quella ossessione. Paolo si avvicinò un attimo al ragazzo che si chiamava Roque, abbastanza terrorizzato perché da un momento all’altro quello spirito poteva prendere possesso di lui ancora una volta. Effettivamente quando veniva posseduto da quello spirito antico e da quella forza che lo rendeva inerme e immobile, veniva preso da uno spavento che non poteva raccontare. Paolo lo prese da parte, lo guardò intensamente negli occhi e cominciò il suo discorso, il tutto scorreva con una semplicità incredibile, intendeva rivolgersi a quello spirito che aveva scelto il corpo del ragazzo ma non riusciva a spiegare il motivo perché il suo arabo antico era incomprensibile ai presenti.  Affinché lo spirito si rendesse conto che non era quel ragazzo il destinatario dei suoi tentativi di messaggio, forse intendeva trasformarlo in un grande condottiero. Il ragazzo non era proprio in grado di assecondarlo, oltretutto aveva una conoscenza scolastica di base. Non era certo in grado di poter studiare e affrontare i ragionamenti complessi che lo spirito arabo attraverso la sua mente voleva imporre per obbligarlo a seguire una direttiva strategica che probabilmente rispondeva ai precedenti condottieri arabi. Quindi era proprio nella impossibilità di poter assimilare anche una piccola parte di quello che lo spirito pretendeva. A quel punto Paolo ritenete opportuno avere un contatto verbale diretto con lo spirito parlando in maniera basilare per far capire che lui doveva lasciare libero il corpo di quel ragazzo che per poter seguire i suoi orientamenti non aveva la preparazione minima fisica ma nemmeno culturale di poter ascoltare i suoi messaggi. Doveva lasciare quel ragazzo al proprio destino e liberarlo dalla sua ossessione di farlo diventare un grande condottiero. In quel periodo poi Roque viaggiava in un paese abbastanza libero da dominazioni arabe di secoli trascorsi e quindi il suo messaggio non poteva essere raccolto nei tempi attuali e quindi quello spirito doveva assolutamente rinunciare al suo obiettivo e liberare il ragazzo da quelle sue opprimenti volontà che erano diventate persecutorie. Paolo cercò in tutti i modi insistendo, ribadendo, supplicando lo spirito arabo antico di liberare il ragazzo, di lasciarlo  all'affetto della madre e vivere la gioventù con i suoi compagni in maniera che lui tornasse ad essere un ragazzo normale con i desideri e gli obiettivi di un ragazzo della sua età senza essere trafitto dai continui incessanti messaggi del suo condottiero arabo antico.

Trascorsero lunghi dieci minuti dopo che Paolo aveva completato il suo discorso allo spirito, il volto del ragazzo divenne raggiante e guardando la madre gridò con grande soddisfazione e con gli occhi che cominciavano a lacrimare che si sentiva libero, non aveva più quel peso sulle spalle che lo massacrava e martoriava e soprattutto non aveva più nella sua mente quello strano film di messaggi incomprensibili comunicati dallo spirito arabo antico. Il gruppo che si era distanziato per consentire a Paolo di stare vicino al ragazzo, si riunì attorno a Roque ma soprattutto volle abbracciare Paolo, il grande mago vincitore degli spiriti cattivi che con la sua semplicità e con la sua determinazione aveva raggiunto lo scopo che tutti quanti in quel momento si erano allarmati nel non trovare una soluzione a difesa del ragazzo. La madre cominciò a parlare in un arabo frettoloso, incomprensibile per Paolo, poi lo volle abbracciare fortemente, forse anche ringraziare ripetutamente. Gli disse anche che la sua figura sarebbe rimasta nella sua mente per tutto il tempo della sua vita. Avrebbe ricordato quel Paolo, la sua grande opera realizzata e abbracciò e baciò il suo figliolo e si diresse felice verso casa gridando ad ogni passo: “Allah, grande Allah”.

 La periferia di Casablanca dove probabilmente aveva la casetta, accolse nuovamente il ragazzo miracolato che entrò nel gruppo dei suoi amici e compagni affinché tutti quanti si rendessero conto che era diventato un ragazzo normale e che poteva quindi giocare, parlare, conversare e ballare anche con loro per far comprendere che era ritornato nella vita di ogni ragazzo di Casablanca .


 

 


 

 

 

BUENOS AIRES


Dopo tante ore di viaggio, l'aereo stava sorvolando la capitale Argentina in piena notte, sembrava di essere sopra una città aliena per la simmetria che aveva la illuminazione della città . Era il mese di maggio, il freddo in quella parte del continente sudamericano era abbastanza piccante, diciamo che poteva toccare i cinque gradi. All'aeroporto Thiago e sua moglie Mayara erano aspettati dall’incaricato dell'agenzia di viaggio che li incontrò quasi immediatamente anche per l’ora, le tre di notte.

 

 

Dopo un quarto d'ora di viaggio, arrivarono nel hotel pattuito al momento della prenotazione, a pochi metri dalla Casa Dorada, in pieno centro di Buenos Aires . La breve nottata trascorse più che in fretta, per svegliarsi completamente contribuì una bella doccia calda. Dopo colazione Thiago e Mayara si affrettarono  a trovare un buon negozio di abbigliamento lungo la zona pedonale, molto fornita e ricercata dagli argentini e soprattutto dai turisti. La scelta di un bel giaccone di lana merinos per Thiago e un caldo e confortevole mantello per Mayara furono molto appropriati in quella mattinata,  il freddo si faceva sentire in maniera prepotente e pungente ma la protezione dai quegli indumenti lo attenuò di molto. Proseguirono a piedi verso una grande e famosa caffetteria per gustare delle ottime paste croccanti  accompagnate da un cappuccino bollente e aromatico. Dal quarto piano di quell’edificio di vetro, potevano osservare la gente che andava e veniva lungo la zona pedonale ma l'attenzione principale fu quella nel vedere e ascoltare la musica di un ridotto gruppo di studenti universitari, che suonava in maniera impeccabile melodie cilene, soprattutto quell’indimenticabile “el condor pasa” di tanti anni orsono, la cui melodia amplificata dal siku, strumento di diverse canne di varia lunghezza, faceva accapponare la pelle soprattutto a loro  che vissero i turbolenti anni settanta. La passeggiata molto piacevole fu lunga perché il viale pedonale era di circa quattro chilometri e passeggiando e curiosando non si rendevano conto del tempo che stava trascorrendo. Videro molti negozi di vario tipo, diversi ristoranti che avrebbero potuto spingerli ad entrare per l’offerta degli alimenti in mostra nelle vetrine, da usufruire quando si manifestava quel certo languorino dello stomaco, stimolando nel momento giusto il desiderio di un bel pranzo. Nei pressi di un noto bar che di sera veniva utilizzato per rappresentare il tango, trovarono un ristorante che metteva in buona mostra i suoi piatti. Un cameriere invitava i passanti ad entrare, quel profumo di carne arrostita era una grande attrattiva, come potevano i passanti a fare a meno di mangiare quella carne argentina per la sua ottima qualità e soprattutto abbondanza dei piatti, era una cosa impossibile.. Il pranzo all'inizio li spaventò abbastanza perché il grande vassoio che il cameriere portò super colmo di arrosto di varie specie di carni li mise in imbarazzo. Poi ricordando che appena fuori da quel ristorante, una famiglia di disperati era sdraiata sul marciapiede probabilmente in attesa di qualche avanzo. Un buon vino rosso allietò il pranzo condito con delle ottime patate fritte e verdure innaffiate nell’olio extra vergine di oliva.

Si alzarono con soddisfazione soprattutto dello stomaco i cui stimoli si placarono completamente. Uscirono dal ristorante con un capiente sacchetto di cibo avanzato e nel giro di venti passi l’offrirono alla donna seduta nel marciapiede circondata da tre ragazzini. Tanti ringraziamenti seguirono a quel gesto di generosità e con un sorriso aprirono il sacchetto e cominciarono a mangiare con avidità.

Proseguirono in direzione dell’hotel distante all’incirca venti minuti a piedi. Il riposo fu molto opportuno, si svegliarono quando era già buio perché nel periodo invernale la notte arrivava molto prima per cui alle diciotto la città era già completamente illuminata.

All'uscita dall'albergo che era vicino alla chiesa dei gesuiti, quella di Sant'Ignazio, avevano incrociato un gruppetto di turisti che stavano parlando molto bene del Gran Caffè Tortoni, spennellando a destra e a sinistra la sua bellezza e soprattutto le caratteristiche di luogo culturale. All'inizio del 1900 quel locale fu frequentato da innumerevoli personaggi illustri tra cui pittori, scultori, drammaturghi e musicisti e in seguito anche pittori che utilizzarono uno spazio sottostante il caffè, originariamente adibito a cantina. Successivamente comprarono quello spazio. Il gruppo divenne numeroso includendo uomini d'arte e di lettere che praticamente se ne impossessarono e lo fecero loro per trasformarlo in seguito in un ambiente bohemien con lo scopo principale di stare tutti insieme e condividere oltre alle idee anche il tango, allora molto in voga e le sue varietà di passi e movimenti. Si diressero anche loro verso quel famoso caffè non molto distante dall’hotel.  Abbastanza centrale, praticamente molto vicino alla Plaza de Maio dove soprattutto la domenica manifestavano varie etnie della capitale ma soprattutto dei quartieri periferici. Una volta giunti al Gran Caffè Tortoni entrarono in quel luogo che rappresentava in effetti la maestosità della grande capitale, famosa nel mondo e soprattutto nei paesi europei che riempivano la sala in qualsiasi periodo dell'anno. Alle pareti c'erano quadri di famosi pittori con la rappresentazione dei personaggi che avevano partecipato alle grandi attività svolte continuamente in quel locale. Era come respirare l'aria di cento anni addietro tenuto conto che la presenza di gente di alta estrazione politica e sociale era la manifestazione culturale ammirata nella capitale. Non rinunciarono ad un altro caffè aromatico con brioche di qualità, non era loro abitudine beve il caffè a quell’ora ma il sapore di entrambi era molto buono e sottolineavano la grandezza di quel luogo reso famoso oltre che dalla cultura che sprigionava da ogni angolo anche dalla bontà delle colazioni per non parlare poi dei raffinati pranzi ricchi di una varietà di carni volutamente di modesta grandezza perché i borghesi intellettuali non gradivano piatti abbondanti anche se l'Argentina ne era famosa in tutto il mondo. Passeggiarono lentamente in lungo e in largo in quel locale per conservare nella memoria quella miriade di quadri e fotografie,  notando tra i personaggi gente famosa dello sport, della politica, della musica, ricordando i tempi in cui quelle persone ebbero il consenso generale per la loro professionalità e bontà d'animo.  Mentre stavano ad ammirare quei meravigliosi oggetti, si avvicinò una coppia chiedendo informazioni sul perché della presenza di tanti quadri e personaggi. Siccome la conversazione si stava presentando molto interessante, Thiago e Mayara ritornarono al loro tavolo e invitarono la coppia a sedersi. Provenivano dal Brasile e furono attirati dalla cadenza nordestina molto simile alla loro, quella di Minas Gerais  e da ciò nacque la simpatia reciproca. Il marito ancora in gamba presentava un viso segnato da venuzze rosee e rosse lasciando intravvedere qualche problema di circolazione sanguigna. Thiago aprofittò con molta cautela per parlare di prevenzione della salute in generale e trovando un terreno fertile della moglie orientò verso una ecografia delle arterie superiori, quelle che dal cuore portano al cervello. Quelle arterie potevano essere pericolose allorquando gradualmente il colesterolo riduceva il passaggio del sangue fino a otturarle per effetto delle placche portanto negli anni persino ad una situazione fisica molto grave. Thiago aveva un pregresso di studio degli stadi di malattie che potevano interessare il corpo fisico e in ciò ricorreva alla sua astrologia che molte volte avvenne in suo soccorso a dipanare situazioni molto complicate e difficili. Thiago raccomandò quella ecografia e la moglie assicurò che l'avrebbe fatta anche se lui non dimostrava il proprio consenso. Non concordava di essere sottoposto ad esami preventivi, solo per scaramanzia. La moglie tranquillizzò il “medico” astrologico e gli disse che lo avrebbe contattato nei giorni successivi per fargli sapere l'esito dell’esame consigliato. Thiago a quel punto confermò la sua preparazione in astrologia e psicologia che gli aveva permesso di valutare quella necessità, osservando il viso del marito. Un altro gustoso caffè del famoso Tortoni concludeva quell'incontro e probabilmente pregiudicato il sonno di quella nottata.

A Thiago e Mayara soprattutto era rimasto in mente la sorpresa di aver visto tra i famosi personaggi alle pareti del grande locale anche dei politici di un partito progressista brasiliano di Belem , capitale dello stato di Parà, sorpresa perchè quel locale era un ritrovo dell'alta borghesia di Buenos Aires ma loro sapevano che negli anni settanta  la lotta di classe era il principio base dei progressisti ma sostanzialmente quando calava la notte non facevano storie a frequentare i salotti dei super borghesi soprattutto di San Paolo e Rio de Janeiro. Per far capire che la lotta di classe aveva bisogno sempre di nuova energia e stimoli da trovare non nei bar di periferia bensì nei salotti lussuosi dalla borghesia illuminata.

Quando uscirono dal locale sembravano avvolti da quel fascino che avevano incontrato e assimilato nel locale Tortoni,  non ci pensarono due volte a comprare il biglietto per la rappresentazione serale del giorno dopo, altro aspetto richiesto e importante dei portenos e bonaerenses e  dai numerosi turisti.

Parteciparono allo spettacolo prenotato la sera precedente,  i due turisti già sentivano nelle vene le eccezionali melodie del tango, della sensualità che attirava le coppie, a volte molto vicine e strette, a volte distanti, con un movimento abbastanza provocatorio per quei tempi lontani ma complessivamente con quella musica stupenda veniva creata un'atmosfera indimenticabile e la rappresentazione giungeva fino a tardi, anche dopo l'una di notte. La musica cessò e il locale gradualmente lasciò lo spazio agli innumerevoli partecipanti tutti amanti di quel tango così di assistere alle varie configurazioni dei balletti e alla varietà e intensità di quelle melodie.  

Il loro viaggio a Buenos Aires era stato organizzato per avere a disposizione serate intere quindi bisognava tenerne conto e approfittare delle visite programmate della capitale per evitare di arrivare all'ultimo giorno e non riuscire a visitare i luoghi più importanti della città. Quella mattina cominciarono l'obiettivo di andare a visitare la fiera di antichità di Sant'Elmo. Vicino alla chiesa di Sant'Ignazio presero un taxi, di domenica i mezzi pubblici erano un po' più rari e avrebbero avuto difficoltà a trovarne uno in tempi rapidi per Sant'Elmo e il tassista li lasciò vicini. Chiesero il costo della corsa, il tassista tergiversò, anche Thiago fece altrettanto, nell’incertezza   vennero dati dei pesos al chè l'autista rispose un po' seccato che alcune banconote erano false per cui bisognava darne altre che lui riteneva vere. Senza discuterne oltre,  prese dalla mano di Thiago altre banconote e così terminò la lieve controversia con il pagamento da lui preteso. Potettero quindi scendere dal taxi e cominciare la visita del quartiere bohemien di Sant'Elmo

Il quartiere  era molto interessante e aveva in risalto l’aspetto simile agli antichi quartieri bohemien dell'antica Parigi, si respirava un’aria particolare, ogni via era dotata di bar e ristoranti, i balconi abbondantemente fioriti. All'interno dei locali potettero passeggiare con tutta tranquillità, piano piano per andare verso la direzione della fiera artigianale e di antiquariato di Sant’Elmo. La fiera della domenica era molto nota, esisteva da almeno cinquant’anni. In quella fiera erano disposti molti stands nei quali venivano esposti gli oggetti più antichi mescolati a quelli vecchi di decenni, principalmente anni settanta e ottanta, dai dischi longplay. Altri stands dedicati a piccoli altari e tabernacoli votivi, attrezzature fotografiche e tante altre cose di particolare interesse. A Thiago interessava soprattutto la parte antica e quindi si soffermò molte volte in quegli stands dove si potevano ammirare oggetti particolari che creavano e ottenevano rispondenza alla curiosità e attenzione. A Mayara invece colpivano i tessuti finemente ricamati con disegni colorati dei tempi andati.  Ai margini della fiera, c'era una piazzetta dove si potevano ammirare i ballerini di tango. tutti potevano mettere i piedi nella pista di cemento e in quel modo danzare anche con danzatrici esperte di Sant’Elmo e quindi facilitati nel buttarsi in alcuni complessi movimenti del tango perché quello argentino non era molto semplice da ballare, a prima vista un ballo molto molto facile in realtà non lo era per niente, i movimenti laterali ma anche avanti e indietro portavano i ballerini a rifigurare una danza molto difficile. Allora dal pubblico presente per la verità non molti. si elevavano applausi con grida di gioia per una serie di intrecci che avvolgevano le gambe dei danzanti. Ai primi ballerini ne succedevano altri che a volte non avevano una grande abilità nel migliorare i movimenti però avevano una gran voglia di divertirsi e ciò bastava per accontentare anche i curiosi che assistevano con lo sguardo un po' scocciato perché il tango è il tango e va ballato come si deve e quella piazzetta doveva rappresentare le figurazioni più importanti e difficili e per quel motivo che alla fine il pubblico non concordava per niente. Seguiva un'altra musica importante in quella piazzetta, chi voleva farsi fotografare in una bella posizione di tango dalle danzatrici opportunamente vestite, donne per gli uomini e maschietti per le donne che si facevano fotografare in una delle posizioni anche difficili ma affascinanti e ciò bastava per immortalare quella coppia per dimostrare agli amici, parenti e conoscenti che avevano avuto un attimo di celebrità in quella piazza dove il tango saliva al cielo e concedeva quella bella atmosfera a tutti coloro che erano presenti e ai passanti. La giornata non poteva finire se non dopo essere andati in un famoso ristorante nella zona, pieno di vasi di fiori, di tele di ogni tipo soprattutto raffiguranti situazioni e immagini del tempo passato quando la capitale argentina era al secondo livello del teatro mondiale del divertimento, della consumazione della carne e soprattutto del tango.  D'altro canto non si poteva parlare di Buenos Aires senza mettere al centro il tango. Il ristorante presentò più opzioni ma alla fine non poteva mancare il filetto profumato e gustoso con accompagnamento di verdure cotte, l'immancabile piatto di patate fritte oltre a un bel boccale di vino rosso proprio della campagna prossima a Buenos Aires. A completamento del pasto rimaneva il ricordo conservato per diversi giorni. Infine la passeggiata per ricordare i vari quartieri, le vie di Sant'Elmo e soprattutto quando dai piani superiori usciva la bellissima musica che raccontava la grande epopea del tango che lasciava di stucco tutti coloro che avevano trascorso alcuni giorni nella grande capitale argentina. Erano state disegnate le vie secondo la tradizione architettonica delle grandi capitali europee, in particolare Parigi ma anche di altre città importanti di quel continente. C'era un via vai di grandi imprenditori e personaggi della cultura del teatro, soprattutto del cinema, erano i tempi in cui Buenos Aires viveva il massimo delle sue possibilità, la ricchezza che presentava ai visitatori permetteva la grande visione di quella capitale che viveva nel lusso e nell'estremo benessere, nulla a che vedere con la situazione di quel momento con un’inflazione galoppante che ha portato Buenos Aires indietro di  decine di  anni con problemi economici e sociali enormi e di sicurezza dimenticati nel tempo.  

 

La giornata nella fiera di San Telmo era stata molto impegnata e stancante, girare tra i vari stand, fermarsi e ritornare a rivedere alcuni oggetti che a prima vista non avevano interessato proprio ma in un secondo passaggio furono ritenuti molto interessanti e quindi da comprare soprattutto come piacevole ricordo di quella giornata.  Anche quel ristorante lasciò un buon ricordo. Alle sedici del pomeriggio i turisti di Minas Gerais decisero di tornare in hotel. Nel prendere la chiave della camera avevamo notato un sorriso compiaciuto da parte dell'impiegato della reception, venne interpretato come un atto di cordialità verso i clienti. Entrati nella camera, sentirono un bel profumo di fiori, in fondo al locale, sul tavolino regnava un gran mazzo di fiori in un bellissimo vaso di ceramica. Molto incuriositi, si avvicinarono e lessero il bigliettino infiocchettato sulla carta trasparente che avvolgeva quel mazzo. Rimasero a bocca aperta soprattutto Mayara cche proprio in quel momento ricordò con entusiasmo il proprio compleanno, il loro figlio lontano oltre tremila chilometri aveva fatto il regalo più bello del viaggio, ricordarsi dell’anniversario della mamma che annusò le rose e i gigli circondati da rametti multi colori.

Sicuramente un Buenos Aires meraviglioso, gli auguri buon compleanno avevano fatto sparire la stanchezza della fiera di Sant’Elmo. Certamente una sorpresa graditissima. Tentarono di telefonare al figlio a Belo Horizonte, si ricordarono dell’ora tarda, lo avrebbero svegliato in piena notte e allora il papà registrò un messaggio vocale affettuoso di ringraziamento e soprattutto per la grande sorpresa di aver trovato quel bellissimo regalo da parte dell’amatissimo figlio. Certamente la giornata era terminata in gran bellezza. Scesero nel piccolo ristorante nell'albergo per comprare dei biscotti da accompagnare al delizioso thè per preparare al meglio lo stomaco a trascorrere la restante notte in pace. Il sonno giunse in fretta e accolse nelle sue braccia la stanchezza dei due genitori felici di aver sentito la presenza del loro figlio che lentamente sparì in quella notte speciale.  

Il giorno dopo, praticamente l'ultimo giorno intero a loro disposizione, venne destinato alla visita del grande viale 2 Giugno che conduceva alla Plaza de Maio dove tutti i giorni si riempiva di bancarelle per la vendita di oggetti delle colline andine e artigianali delle bottegucce dei villaggi indigeni nel cuore dell’Argentina. La magnifica Casa Rosada, sede del governo e soprattutto delle grandi e importanti riunioni politiche attirò la loro attenzione,  poi presero un taxi per andare a Palermo, un quartiere avveristico e modernissimo per quell’epoca dei primi anni del Novecento, veramente sembrava una grande città europea, tutto era molto organizzato, le vie ben dritte e  larghe, lunghe e spaziose, per far transitare un traffico sempre più elevato. In quel quartiere potettero visitare anche il famoso cimitero monumentale riservato a famosi nobili, patrizi e borghesi di Buenos Aires. In particolare c'era un viale molto frequentato da turisti ma anche dai cittadini che andavano a ricodare la grande donna argentina, famosissima per il suo attaccamento e devozione alla povera gente e per quello era rimasta molto famosa e nei cuori della maggior parte della popolazione. La sfortuna giunse contemporaneamente quando divenne presidente della Repubblica Argentina dopo la morte di suo marito. Certamente venne riconosciuta quale donna politica più importante e addirittura venerata dal popolo e quando raggiunse l'età di 92 anni, quella Terra tutta si fermò, cadde nel lutto della sua morte che durò ben cinque giorni. La ballerina Isabelita trasformò la sua personalità nella figura di presidente e come spesso accade, la venerazione di un popolo verso un politico molto amato trovò una forte opposizione degli altri partiti tanto da provocare la scelta dell’esilio spontaneo a Madrid. La decisione non fu sufficiente, fu incolpata di svariati crimini commessi contro il partito comunista. Nonostante l’ultimo periodo della sua vita, molto controverso e vittima della sciagura giudiziaria, ora la sua salma veniva riabilitata tutti i giorni e visitata e omaggiata dalla popolazione con il ricordo della sua opera a favore dei poveri e dei bisognosi.

Tornati in hotel, l'impiegato della reception consegnò loro un messaggio. Era la coppia incontrata nel Gran Caffè Tortoni, si complimentava della previsione fatta nei confronti del marito. Aaveva poi richiesto un esame accurato delle vene aortiche e in effetti il referto dello specialista ne certificava la parziale occlusione intorno 80%, situazione che richiedeva un'attenzione particolare alimentare e farmaceutica da seguire con altri esami diagnostici periodici al fine di controllare che quel limite dell’ottanta per cento non sarebbe più aumentato.

Ovviamente Thiago esse quella notizia con grande soddisfazione per aver anche in quella occasione colpito il segno, il colore del viso fece intendere e supporre che qualche cosa non andava in quell'apparato circolatorio. Sostarono una mezz'oretta al bar per consumare il solito thè del pomeriggio e poi ritornare verso il loro hotel, cominciarono a preparare i bagagli perché l’indomani dopo colazione sarebbero dovuti andare all'aeroporto per il viaggio di ritorno.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDIA

 


Lucien e Marie era una coppia molto affiatata nonostante i trent’anni di matrimonio, uno era fatto per l'altra, l’ armonia li portava ad una azione condivisa su qualsiasi argomento e iniziativa. Lucien era nato nella città di Tours,  Francia settentrionale, cittadina bagnata dal fiume Loira. La caratteristica principale forse poco conosciuta ai più, era la posizione geografica di tale cittadina che si trovava sulla linea esoterica delle basiliche di San Michele Arcangelo che dall'Irlanda giungeva a Israele, attraversando Francia, Inghilterra, Italia e  Grecia..

 

 

Era opportuno sottolineare che tutte le città in cui transitava quella linea esoterica avevano in comune una energia particolare che poteva spingere verso attività e professioni del tutto particolari in special modo quelle che portavano all’esoterismo e sensibilità particolare alla Magia nelle forme più elevate e all'astrologia. Infatti una decina di anni prima Lucien venne folgorato da un grande interesse quasi soprannaturale che non poteva certo essere definito come un qualche cosa di sacro o di santo, il suo interesse in particolare da quel momento in poi fu diretto verso l’occulto in generale, non mettendo in secondo piano l’astrologia. Era abbastanza convinto dell’importanza dell’applicazione di detta scienza millenaria che poneva in forte evidenza il concetto cha la vita fosse la strada giusta per conseguire l’evoluzione attraverso lo studio dell’influenza diramata dalle Stelle sugli uomini, su quella che poteva essere la condizione in quel mondo e anche permettere di tracciare, a seguito del l’appropriato studio,  il coordinamento di tutte le attività che potessero rafforzare quella sua certezza. Con a fianco l’aiuto apprezzabile della moglie Marie ma soprattutto della sua caparbietà, era riuscito in quel suo obiettivo almeno al cinquanta per cento di quello che la scienza astrologica poteva offrire.

Sei mesi prima del suo compleanno sentì il bisogno di elaborare il suo oroscopo e affiancarlo alla studio della rivoluzione solare.  Aveva studiato i diversi testi astrologici che per poter affrontare l'anno del compleanno bisognava preparare la carta astrale molti mesi prima che stesse per maturare e ciò permetteva di analizzare la situazione complessiva astrale e in particolare l'influenza dei Pianeti per poter giungere ad una sintesi sul come gestire quella data perché ogni volta che compiva gli anni quella data era da considerarsi sempre importante.

Esattamente quindi sei mesi prima, stese la propria carta astrale e cominciò a studiarla. In particolare osservò la posizione di Saturno nel rapporto con l’Ascendente. Gli studi portati avanti negli anni gli davano la certezza del suo operato. Sapeva benissimo dell’importanza di tale energia e quello aveva potuto verificarlo nei compleanni trascorsi quando non dette molta importanza a tale situazione. Comprese che d’allora in poi avrebbe dovuto dedicare maggiore importanza alla posizione di Saturno in ogni carta astrale e qualora fosse stato in aspetto sfavorevole o addirittura negativo bisognava fare di tutto per modificare quell’aspetto con l’Ascendente al fine da trasformarlo in grande o tiepido amico, a seconda dei casi, importante era di allontanare Saturno da quella posizione sfavorevole. Bisognava quindi mettere le mani ad un calcolo che permettesse di muovere l’Ascendente in un’area longitudinale anche lievemente favorevole al temibile Saturno. In pratica i rapporti da considerare sfavorevoli potevano essere in prevalenza la congiunzione con l'Ascendente e poi la distanza tra i due punti di forza astrali di quaranta cinque gradi e novanta gradi. Quindi bisognava ricercare una distanza di almeno trenta gradi o sessanta gradi o al meglio cento venti gradi,  posizioni valutate migliori.  .
Accertata la migliore posizione possibile, occorreva scegliere quale spostamento fosse il più opportuno per l’obiettivo prefissato da quella rivoluzione solare. Il risultato raggiunto dopo un lavoro impegnativo, portò ad un buon risultato ma non conclusivo. Bisognava trasferire quel dato ad un luogo di quel mondo ove Lucien doveva trovarsi per beneficiare della favorevole influenza di Saturno. Le coordinate longitudinali caddero sulla città di Varanasi, in India, che tra l’opzione di diverse altre città possibili era da considerarsi la migliore nel rispetto della nuova posizione dell’Ascendente, più praticabile e percorribile soprattutto con l’aereo e anche con il treno per l’ultimo tratto del viaggio.

Cercò sui social un’agenzia di viaggi affidabile e dopo aver letto suggerimenti e giudizi, scelsero quella che operava in India, a Jaipur. Prenotò il viaggio di andata e ritorno che comprendeva un bel tour con partenza da New Delhi e arrivo a Varanasi, complessivamente tre settimane. Per soddisfare le esigenze della rivoluzione solare dovevano essere a Varanasi due giorni prima del compleanno.  Aveva letto tanti articoli interessanti sul vitto indiano, la loro cultura e profondità religiosa i cui albori risalivano ai quattromila anni A.C.  Quella era proprio l’occasione migliore per soddisfare quella sua grande curiosità orientale e il pretesto di non trascorrere l'anno del compleanno nella sua città di Tours gli aveva dato questa grande opportunità. La partenza era stata fissata ai primi di marzo quindi esattamente cinque mesi dopo la prenotazione.

 

Il volo notturno durò circa 8 ore e 40 minuti e giunsero a New Delhi alle prime ore del mattino, Lucien e Marie finalmente nel misterioso territorio indiano. Dalla capitale dell’India l'organizzazione del viaggio fu perfetta, l'autista affidato dall’agenzia sempre puntuale e disponibile in ogni tragitto. Il primo hotel fu nel centro della città. Era la stagione favorevole per visitare l'India settentrionale Il pomeriggio fu dedicato alla visita della zona centrale e con la visita di moschee e monumenti più importanti cominciò effettivamente il tour che da New Delhi doveva portare ad Agra per ammirare la famosa tomba dell'amore, il Taj Mahal.  con il viaggio organizzato e con un'autista veramente professionale a disposizione, dopo aver visitato località importanti come Mandawa, Jaselmer e Jaipur. Ogni città aveva qualche cosa di caratteristico soprattutto i dipinti posti in evidenza nelle antiche residenze dei Maharajà che probabilmente contemplavano la loro permanenza nelle stagioni più fresche. Era importante altresì conoscere un poco di storia della costruzione di quel magnifico edificio da parte dell'imperatore mogol Shan Jahan  in memoria dell'amatissima moglie, la principessa persiana Mumtaz nel 1630, quando cominciarono i lavori del mausoleo che durarono decenni. Fin dall'origine fu considerata la tomba dell'amore e di conseguenza fu incessante il pellegrinaggio di turisti e indiani da tutto il Paese. Soprattutto Marie rimase molto colpita dalla grande passione dell'imperatore Shan Jahan, il re del mondo. Evidentemente amava moltissimo sua moglie Mumtaz tanto che nei secoli il suo ricordo nel mausoleo aumentò il prestigio di  Agra, diventata famosa nel mondo intero.

Triste e depresso per la morte prematura della moglie, non riuscì a contrapporsi alle angherie del figlio Aurangzeb che finì nel rinchiuderlo prigioniero nel palazzo reale da dove poteva osservare tutti i giorni il suo capolavoro in ricordo del suo grande amore per la principessa Mumtaz. 

Ancora un giorno in quella splendida città sorta ai margini del fiume Yamuna, affluente del super sacro Gange, per prepararsi alla sera successiva al viaggio in treno che doveva condurli a Varanasi proprio nei giorni stabiliti per trascorrere il compleanno. Era molto importante che potessero mettere piede nella città sacra  di Varanasi almeno un giorno prima del compleanno e rimanerci fino all'intero giorno successivo. Il viaggio in treno fu molto avventuroso, la stazione di Agra era affollatissima sembrava di essere in una grande cerimonia religiosa vista la quantità di persone presenti fuori e dentro la stazione. La guida aveva assistito Lucien e Marie per tutti quei giorni e incaricò un facchino di portare i bagagli sul treno prossimo alla partenza. La grande abilità del giovane gli consentì di aprire la strada in quella moltitudine di gente con Lucien e Marie che lo seguivano frettolosamente per non perderlo di vista. Salirono sul treno, le valigie vennero collocate in un punto visibile mentre i viaggiatori francesi tirarono fuori la prenotazione della loro cuccetta. In effetti la scelta delle cuccette non fu proprio quella ideale, non per niente comoda, in pratica per poterle usufruire bisognava salire su una specie di scaletta per trovare i posticini riservati per le cuccette lungo il corridoio. Treno molto affollato, con la prenotazione non ci furono problemi di sorta. Una musichetta anticipò la partenza del treno, fuori dalla stazione non si poteva vedere nulla, la notte fonda non lo permetteva e cercando trovare giusta posizione nella cuccetta Lucien e Marie cercarono di prendere sonno  senza agitarsi più di tanto, li attendevano oltre 12 ore di viaggio per percorrere cinquecento trentanove chilometri. Nel pieno della notte il treno fece la prima fermata alla stazione di Kanpur, solo pochi minuti poi  il treno riprese la corsa e con il suo dondolare sui binari agevolò la ripresa del sonno ai due viaggiatori. Nella seconda fermata di Lucknow il treno sostò abbastanza, i passeggeri dello scompartimento scesero tutti e ciò permise a Lucien e Marie di abbandonare le anguste posizioni in cui erano le loro cuccette per sistemarsi meglio, in modo più confortevole nello scompartimento. Altre sette  ore di viaggio e sarebbero arrivati a Varanasi, Benares al tempo in cui gli inglesi occuparono l’India. La solita musichetta si avviò per segnalare la prossima partenza e infine il convoglio giunse a destinazione. Erano ad attenderli incaricati dell'agenzia di Varanasi che mandarono sul treno il facchino a prendere i bagagli. Abbastanza sfasati dal lungo viaggio Lucien e Marie salirono all’auto spaziosa per andare all’hotel secondo il programma di viaggio.
Avevano preso alloggio presso la via Santa Kabir  una delle principali di Varanasi in direzione del sacro fiume Gange. Il primo pasto Lucien e Marie lo avevano  preferito consumarlo nel ristorante dell’hotel ascoltando la musica indiana di un gruppetto di musicisti. Era loro costume di utilizzare il servizio del ristorante ogni qualvolta dovevano visitare una città all’estero, preferivano organizzarsi con comodità nella ricerca di altri luoghi dove era possibile scegliere tra cucina internazionale e quella locale caratterizzata da un’abbondanza di spezie, talune fortemente piccanti. Tutto sommato il pasto fu molto apprezzato e soprattutto il frullato misto di frutta locale che aveva un sapore gustoso ma particolare. Il pacchetto turistico previsto dall'agenzia contemplava la visita a un famoso tempio “singh”, il  Kashi Vishwanath che venne visitato nel pomeriggio. Era uno dei più famosi templi dedicati a Shiva per cui come turisti a Varanasi non ne potevano fare a meno. Preso di mira dall’occupazione mussulmana, il  tempio fu distrutto innumerevoli volte è successivamente ricostruito da cima in fondo dai singh. Dopo tanti decenni di vicissitudini, la moschea il tempio rimasero uno a fianco dell'altro come buoni amici che accompagnarono fiduciosi la costruzione non trascurando la venerazione a Shiva per sottolineare il grande bisogno di spiritualità testimoniato dalla continua affluenza di pellegrini a visitare il Kashi Vishwanath  che ritenevano molto importante.

Lucien e Marie tornarono in albergo per rinfrescarsi e poi sul calare della notte presero un tuktuk raccomandato dall'hotel e andarono in prossimità del Gange dove c’erano molti locali per poter consumare qualche cosa di  gustoso della cucina indiana. La scelta cadde su un bel locale che si affacciava sul maestoso e sacro Gange con una bella e ampia gradinata, molto organizzata soprattutto nel preparare pizza e torta di mele con altre specialità locali e internazionali. Il locale abbastanza piacevole era nato su una terrazza circondata da vasi di fiori dalla quale si poteva ammirare il Gance. Innumerevoli lumicini accompagnavano il movimento dell’acqua,  probabilmente degli omaggi votivi da dedicare alle divinità indiane per raccomandare e esaudire desideri e propositi riguardanti la salute, il lavoro e la protezione della famiglia. Tante barche a remi con molti fedeli che posavano sulle acque i lumini accesi, a dimostrazione della pressante richiesta formulata alle divinità tramite al fiume sacro Gange, accogliendo nelle sue acque i  propositi e suppliche dei turisti e fedeli indiani a tutela della loro prospettiva di vita. Lucien e Marie rimanevano colpiti da quello spettacolo, probabilmente non immaginavano tanta spiritualità che sprizzava da ogni lato, da sempre fu così considerata Varanasi. Le loro riflessioni vennero sospese dall'arrivo di alcuni piatti che il gestore aveva preparato di sua iniziativa, non avevano ben compreso di cosa si trattasse ma cominciarono ad assaggiare un piattino dopo l'altro costatando un meraviglioso abbinamento dei gusti ampliati con quelli  di un frullato e una spremuta di frutta semplice, il tutto accompagnato dall’immancabile riso in bianco. L'atmosfera presente in quel locale all'aperto che non era stata tuttavia così prepotente da tenere a bada quei terribili insetti che normalmente con una rapidità invisibile affondavano i pungiglioni nelle parti scoperte del corpo, ogni movimento rapido delle mani per allontanarli era sempre in ritardo. Altre persone erano vicine, loro non davano l’impressione di esserne infastidite,   stavano apprezzando profondamente quello spettacolo sul fiume e la presenza e la vicinanza anche di altre persone probabilmente alla ricerca di qualche risoluzione ai propri problemi.  Come del resto stava accadendo a Lucien e Marie, la necessità di sconfiggere quel brutto rischio di essere coinvolti da quel brutto aspetto di Saturno che avrebbe colpito l'Ascendente di Lucien soprattutto in  materia di salute evidenziati dagli ultimi esami e consigliati dallo specialista alla massima attenzione. Questo era in fondo il motivo per cui avevano scelto di trascorrere il compleanno a Varanasi. La fiducia di Lucien di trovare una soluzione prendendo a braccetto Saturno gli dava il coraggio ma soprattutto la certezza anche con l'aiuto delle divinità che volteggiavano sul grande fiume sacro avrebbe superato e allontanato nel tempo quel rischio di poter essere afflitto considerevolmente lo stava agitava sensibilmente. Terminato la cena e dopo avere lasciato il locale affacciato sul fiume Gange, Lucien e  Mary decisero di ritornare in hotel. Era notte fonda Non conoscendo bene e non ricordando il tragitto fatto all’andata, presero un tuktuk e nel giro di pochi minuti si ritrovarono in albergo.

Una certa animazione era presente nella hall, un via vai di persone, molti ben vestiti negli abiti indiani con molti gioielli di varia grandezza abbondantemente manifestati. In un timido inglese, Lucien chiese alla donna della reception il motivo di quell’andirivieni di gente. Raquel, donna della reception, rispose che dopo il tramonto si festeggiava un matrimonio, di conseguenza tutto l'albergo era a disposizione dei familiari degli sposi. Certamente un evento inedito si stava presentando a loro, non compreso nel pacchetto del viaggio organizzato, in quella bella confusione e l’opportunità iniziale di stare in disparte, poi quando la gente cominciò ad entrare in un grande salone a fianco della hall, Lucien e Mary sì accodarono mescolandosi tra gli invitati per assistere a quella cerimonia, sicuramente una bella sorpresa per loro. Ci voleva qualcuno che potesse informare i dettagli della cerimonia, sapere sui novelli sposi, i costumi che stavano indossando nel rispetto della traduzione indù, tutto sparì dalla mente allorquando la cerimonia entrò nel vivo e ci fu il padre della sposa che cominciò a parlare del futuro della sposa ricordando agli sposi ma anche a tutti gli invitati che il matrimonio indù era sempre stato importante nella loro tradizione perché aveva il fine le unire loro ma anche le loro famiglie e veniva considerato un sacramento, elemento necessariamente primario garantire innanzi tutto lo svincolo dalla famiglia ma anche il mezzo importante quale tributo agli ascendenti e genitori per non ostacolare soprattutto il pagamento del loro debito derivato dalle azioni buone e cattive archiviate nelle precedenti incarnazioni. La cerimonia raggiunse il culmine quando venne accesa la fiammella dell’amore che avrebbe dovuto accompagnare il cammino di quella unione. Ci furono altre situazioni in cui furono coinvolti gli sposi, altre interessanti prima lo sposo e poi la sposa per completare il rito imposto dalla cerimonia, il tutto accompagnato da una musica tradizionale riservata ai matrimoni a suggellare quella manifestazione di amore seguita con molta attenzione e partecipazione dai parenti e amici, dando risposta al loro piacevole obbligo di essere presenti assolutamente.

Si era fatto molto tardi, l’orologio segnava l'una e mezza, Lucien e Marie presero la direzione della propria stanza al settimo piano dell'hotel. Si ricordarono solo allora che la mattina si sarebbero dovuti alzare alle cinque e trenta minuti, avevano l'appuntamento con l’addetto dell'agenzia di viaggio che li doveva portare in riva al Gange per la cerimonia votiva dei lumini che dovevano essere accesi nel tragitto in barca sul fiume sacro Gange.

La sveglia destò Lucien e Marie puntualmente, mezz'ora di tempo per sistemarsi e scendere fuori dall'hotel perché un TukTuk li stava aspettando. Con velocità supersonica, il veicolo arrivò nei pressi dell'area pedonale dalla quale poi bisognava scendere verso il fiume Gange. L’accompagnatore Samir accompagnò Lucien e Marie lungo la strada per una decina di minuti, giunsero nei pressi di un porticciolo con molte barche ormeggiate. Samir disse di attendere perché sarebbe andato a prendere la sua barca La coppia francese venne avvicinata da diverse donne che vendevano lumicini votivi di cera da appoggiare accesi sulle acque placide del fiume sacro Gange. Era l’unico modo per far salire al cielo preghiere, suppliche e richieste di protezione per le anime sofferenti, per le persone cui erano legate amorevolmente, fraternamente e amichevolmente e indirizzarle al dio supremo Brahama padrone dei cieli che aveva il potere di influenzare la vita spirituale e organizzare quella materiale degli esseri viventi. Lucien e Marie salirono sulla barca, erano soltanto loro in compagnia di Samir il quale si poteva esprimere soltanto con un essenziale inglese, oltretutto mal pronunciato ma nella sostanza riusciva a far capire il senso della conversazione. Giunti al largo, Lucien e Marie accesero i lumini e li posero su una tavoletta affinchè galleggiasse sulle acque scure del fiume Gange. Riuscirono ad utilizzare tre tavolette, ognuna da tre lumicini accesi, ogni lumicino rappresentava una richiesta rivolta alle divinità per la protezione delle persone care defunte, la protezione del benessere economico che in una società estremamente organizzata non se ne poteva fare a meno, poi un pensiero a tutti i nipoti, erano diversi, affinché crescessero nel rispetto della tradizione familiare con uno sguardo tuttavia al loro progresso in generale. Nell’osservare quei lumicini votivi che stavano esaurendo la loro energia emerse una forte emozione, l'atmosfera era di grande intensità, il fatto di navigare su un fiume sacro ovviamente per gli indù ma in quelle circostanze ogni persona poteva ricevere i benefici di quelle offerte alle divinità e introdurre nel corpo tutti i vantaggi spirituali di quella specie di pellegrinaggio sul fiume.

Dall’orizzonte cominciava a  intravvedere un sottile filo arancione, il sole si stava per affacciare e baciare il sacro fiume Gange che lambiva Varanasi. Quella giornata era benedetta Lucien e Marie sentirono un appagamento incredibile per la certezza che avrebbero ottenuto la grazia di essere stati  esauditi. La barca cominciò a virare verso ovest, si potevano osservare la miriade di gente che scendevano dalle gradinate per bagnarsi nel fiume Gange e in quel modo dare inizio a una nuova giornata di speranza e fede. Vi erano anche in prevalenza tante donne che lavavano utensili da cucina e indumenti vari riempendo il margine del fiume di una sostanza schiumosa provocata sicuramente da vari tipi di saponi. Alcuni portavano nelle acque scure animali tra cui piccoli elefanti, cavalli e persino pecore. Intanto la barca proseguiva il suo percorso fino ad arrivare di fronte allo spettacolo ricercato dai turisti ma anche di fronte al dramma che coinvolgeva la popolazione indiana, Manikarnica era il luogo dove venivano cremate fino a quattrocento cinquanta salme nelle ventiquattro ore. La parte centrale era destinata ai roghi, almeno dodici in contemporanea, il fumo si elevava altissimo, i becchini avevano un gran da fare tra preparare la legna, accatastarla, dargli fuoco, tutto veniva eseguito secondo la tradizione antica e poi il rogo. Soltanto la cenere restava davanti alla vista dei familiari del defunto, quella cenere veniva raccolta nel lenzuolo e portata nelle braccia del fiume Gange per ottenere la pietà di Brahama per salvare l’anima dei defunti oramai diventati soltanto cenere. Era un via vai instancabile. Lucien  cercò di riprendere con la sua sofisticata cinepresa quelle scene ma venne subito bloccato da Samir perché era assolutamente vietato fotografare e filmare il Manikarmica. Lucien accettò il consiglio ma approfittando di un attimo di distrazione del barcaiolo, riuscì a filmare per una quindicina di secondi, tempo abbastanza sufficiente per immortalare quella che in realtà lasciò interdetti. Quel “Gat” era come un’acciaieria, l’attività  non poteva essere interrotta, far ardere i roghi funebri con sopra i corpi senza vita mentre i becchini non avevano sosta e i parenti restavano immobili di fronte a quella realtà. Fare il becchino a Varanasi era un’attività molto lucrosa e rispettata, di generazione in generazione manteneva quel ruolo di elevare al cielo lo spirito del defunto, oltre il cielo visibile, per farlo avvicinare agli dei. Superato quel “Gat” la barca ritornò al porticciolo di fronte alla via centrale di Varanasi, la sua prestazione era terminata. Lucien e Mary scesero dalla barca frastornati nell’aver visto quella scena incredibile per loro europei che tuttavia rispettavano da secoli i loro defunti, tra il funerale e la collocazione nelle tombe ma senza giungere al rogo. Il silenzio, il dolore faceva da padrone per tutta la cerimonia dal tempio al cimitero per chi se lo poteva permettere. Ritennero che fosse complicato e difficile comprendere e accettare quella realtà. Tuttavia dovevano rispettare la tradizione indiana tenuto conto che a Varanasi andavano a morire e farsi bruciare oltre diecimila persone all’anno, la credenza era di ridurre le molteplici reincarnazioni cui si erano assoggettati. Per garantire l’annullamento del loro ciclo reincarnativo e salvare così l'anima per sempre, accorrevano a Varanasi. In Francia quel  compito veniva riservato al sacerdote che somministrava l'estrema unzione. Non si poteva risolvere quel problema in quel modo, il ritorno sulla Terra era necessario all'anima per rispettare gli impegni acquisiti in ogni progetto di vita, soprattutto per quelle azioni non portate a termine.  

Lucien e Marie  al tavolino di un gradevole bar con vista sulle gradinate del fiume Gange, cercarono di dare la possibilità alla loro mente di accettare quella filosofia e soprattutto di non ostacolare il comportamento nei vari santoni che gironzolavano nei bar, per le strade e sulle gradinate. Si alzarono e percorsero la via San Kabir in direzione dell’hotel. Nel primo tratto della via camminano  tra due file di mendicante che nel loro lamento supplicavano un'offerta, molti vecchi con barba bianca lunga e di mezza età. Continuarono a piedi fino all'uscita nell'area pedonale e poi un TukTuk ritornarono in albergo.

Lucien era molto soddisfatto di essere riuscito a realizzare la rivoluzione solare secondo i criteri dell'astrologia e soprattutto aver posto l’influenza di Saturno in una posizione nella carta astrale di appoggio favorevole perché quando Saturno è in una posizione astrale amica all'Ascendente poteva essere tranquillo, la salute per quell'anno di rivoluzione sarebbe stata protetta.

Il giorno dopo non avevano molto tempo per continuare a visitare Varanasi e dopo colazione preferirono preparare i bagagli per andare all'aeroporto e proseguire il viaggio verso Nuova Delhi in aereo. Respirarono aria diversa nel centro della capitale, tra gente frettolosa e traffico incredibile, più che sufficiente per riprendersi dalle visioni di Varanasi, la città sacra indù.

Al ritorno in Francia storditi da quella esperienza indiana, conservarono a lungo il ricordo di quel viaggio e non lo cancellarono mai più dalla loro mente.

 


 

 

 

VINCI

 


Mattinata molto calda nonostante fossero alla fine di giugno. Luciano stava attraversando la parte medievale di Firenze e in particolare la via di San Frediano, il caldo afoso era abbastanza intenso e si diresse verso la gelateria che era nei pressi del ponte. Un buon gelato fu la scelta migliore per dare soddisfazione alla gola e avere un po' di refrigerio da quella calura che in prossimità del fiume Arno si faceva sentire in maniera prepotente. Proseguì  verso la sponda del lungo Arno e ammirò tutti i palazzi medievali, ebbe l'impressione di sentire ancora le voci di persone di quel periodo e soprattutto i rumori delle carrozze che avanzavano a gran velocità al centro della strada cercando di non investire qualche passante.

 

 

 Arrivato al ponte della Trinità, proseguì verso  il museo realizzato da un palazzo antico risalente al XIII secolo e andando avanti verso destra arrivò nella via delle Terme, sempre ammaliato dalle costruzioni di quel periodo antico che aveva lasciato loro tanti beni magnifici e preziosi e  soprattutto opere di arti che resero la grande Firenze famosa già in quei tempi e custodita con molta attenzione dai potenti politici. Quindi proseguendo nella camminata, giunse in Piazza della Signoria, famosissima tanto da non aver bisogno di pubblicità e apprezzamenti particolari, la cosa sicuramente migliore da fare era quella di trovare un momento di libertà artistica evidenziata stando di fronte al palazzo della Signoria e ammirare con molta calma e attenzione tutte le varie statue nate da una scultura di grandi artisti, dalla quale si creava quella atmosfera assorbita nella visione di quella magnifica piazza. Il bar antistante il Palazzo della Signoria offriva soltanto un piccolo tavolino che permetteva di sedersi per ammirare quello spettacolo, turisti di ogni dove si susseguivano con un vociare piuttosto allegro di lingue europee e di altri continenti e soprattutto in particolare il giapponese per la loro intensità dimostrata per la cultura italiana.

Si stava avvicinando l'orario del pranzo e andando avanti oltre la piazza della Signoria, un passante indicò un locale confortevole dove era possibile consumare dei primi piatti risalenti alla cucina medioevale, da assaporare con molto gusto e piacere. Luciano si diresse quindi verso l’anfiteatro romano sulla destra e trovò quel ristorante caratteristico che meritava innanzi tutto di essere visitato e poi anche apprezzato per le sue specialità. Era il momento giusto soprattutto perché la passeggiata era stata molto lunga e stancante, di conseguenza era arrivata quella sosta, un meritato riposo e in quell'ambiente molto suggestivo di aspetto contadino ma in realtà molto apparente perché i prezzi erano abbastanza elevati. Ordinò un antipasto di bruschette di vario tipo per poi continuare con un piatto di tagliatelle fatte con farina integrale condito da un gustoso sugo di cinghiale incrementato da una spolverata di peperoncino. Il tutto accompagnato da un vino rosso, non della famiglia chianti troppo sfruttata ma da un vino rosso locale dove primeggiava il sangiovese che proveniva dalle campagne di proprietà del titolare della trattoria il cui profumo si elevava e diffondeva tra i clienti. A volte bastava soltanto inspirare quella profumata bevanda per saziarsi e deliziarsi: Non bisognava tuttavia trascurare la cucina ricca di piatti da assaporare nella maniera più tranquilla,  la bontà di quelle forchettate non poteva certo sovrapporsi con intensità nell’apprezzare un piatto che da tanto tempo non lo si poteva mangiare in nessuna altra parte della regione. Dopo le tagliatelle al sugo di cinghiale la scelta cadde su una buona porzione di torta alle mele cotogne e infine un caffè cremoso di origine del centro America. Pagò un conto abbastanza salato per quel locale ma nonostante quell’esosità. Luciano lo gustò lentamente, non c'era alcuna necessità di mangiare in maniera frettolosa.
Soddisfatto di quel pranzo, continuò la passeggiata verso la biblioteca nazionale ma non entrò, non  voleva disturbare la sua digestione con quei pensieri di alta cultura, continuò verso il Lungarno fino a quando decise di tornare al suo albergo. Nella grande e ampia reception, disseminata da imponenti quadri alle pareti, grandi e confortevoli divani. Un gruppetto di ospiti discutevano animosamente e soprattutto verso una persona che si sentiva in grande disagio e aveva bisogno di un conforto e soprattutto di un sostegno psicologico e morale. La donna si chiamava Giulia ed era continuamente coinvolta in una sua situazione che la stressava molto. In pratica lei viveva malamente tra il desiderio di iniziare la separazione legale da un marito che era molto introdotto e noto nell'ambiente giudiziario. Sapeva da diversi anni che veniva tradita con una procuratore del tribunale penale, un’amante travolgente e temibile. Nonostante ciò voleva a tutti i costi portare avanti quell’idea tormentata soprattutto dal rischio di perdere buona parte dell’eredità del marito che con la separazione e successivo divorzio:  Le sue amiche e conoscenti erano sicuramente dalla sua parte ma conoscendo la storia di amore con  il procuratore penale, la consigliarono di consultare un cartomante oppure un affidabile ed esperto  astrologo affinché consigliassero la migliore decisione da prendere per quelle circostanze contro la presenza ingombrante dell’amante del tribunale penale.  Luciano che aveva una certa conoscenza ed esperienza nell'arte sacra dell’astrologia, si propose come consulente astrologico di Fidenza. Dalla parte di Giulia, le due amiche decisero per lei e la spinsero ad accettare, quindi si convinse la persona che aveva davanti, poteva essere quella giusta anche perché doveva essere colta quella opportunità di aver trovato subito un cliente dell'albergo esperto in astrologia. Luciano annotò i dati necessari e prese tempo, almeno due giorni, tra l’elaborazione del grafico astrale e il relativo studio e rimandarono al giorno dopo le opportuno conclusioni.

Il programma concordato con il gruppo di amici, prevedeva di andare a San Gimignano perché aveva saputo che in quell'ambiente gli spiriti erano favorevoli a concedere con grande disponibilità le indicazioni più opportune per favorire una risposta esoterica da completare poi con l’astrologia di un certo livello, tutti d'accordo il giorno dopo si sarebbero trovati all'incirca alle dieci per poter partire anche tutti insieme verso San Gimignano.

All'appuntamento, concordato il giorno precedente, erano presenti tutte le cinque persone pronte per andare verso la città di Vinci, nota come luogo di nascita di Leonardo, a distanza da Firenze  di circa 42 km per cui a grandi linee bastava mezz'ora di taxi. Il punto d'incontro era all’ingresso principale di Vinci, nella via Belvedere che portava a metà strada nei pressi della casa di Leonardo. L’appuntamento vero è proprio era nel parco dell’acquario dove all'interno del quale c'era una casetta che risaliva ai tempi del Medioevo e dove secondo la tradizione era nato in notte profonda il grande uomo. Raccontavano in paese della presenza di spiriti che aleggiavano in quella zona, il tentativo di invocarli era molto forte ma bisognava ricorrere all’opera di Luciano per poter far fronte, nel caso più disperato, e calmare gli spiriti più indiavolati che potevano mettere il bastone al vero messaggio. Il gruppetto si mise attorno ad una specie di sedile di travertino antico e  Luciano cominciò a esporre che lui, attraverso lo studio e la lettura della carta astrale, poteva iniziare la conversazione rivolgendosi a Giulia, la invitata innanzitutto a riprendere i contatti con suo marito perché nel giro di tre mesi sarebbero accadute cose incresciose nei suoi confronti che in quel momento si apprestava a riferire. La concentrazione planetaria sfavorevole che si stava muovendo verso quella data cominciava già in quei giorni sul marito, pessimo indizio ma soprattutto gli aspetti che ne nascevano in quella data presentavano una realtà molto, molto complicata, complessa e sicuramente contro ogni via di uscita, sottolineava il grande rischio che il segnale male augurato aveva basi solide per essere abbastanza certi che la vita del marito era praticamente prossima ad una forte crisi strutturale fisica. Soprattutto quella presenza di pianeti cosiddetti “lenti” iniziando da Giove, Saturno, Urano, Nettuno e per ultimo Plutone, erano tutti concentrati in maniera sfavorevole contro suo marito. È vero che il marito avesse da tempo già diversi problemi cronici, così appariva almeno dalla carta astrale anche se Giulia non se ne era mai accorta causa la segretezza del marito, situazione che senza dubbio avrebbe contribuito a dare man forte alla prossima crisi fisica. Purtroppo non c'erano altre possibilità che avrebbero potuto invertire in senso buono quel destino, non restava altro che accompagnare la lenta fine della sua vita.

Luciano chiese ai presenti di concentrarsi con intensità al fine di attendere la conferma dalle divinità che stavano assistendo alla sua disamina. Bastarono pochi minuti di attesa e un forte vento improvviso fece ondeggiare le cime dei pioppi e dei cipressi. Il gruppetto che stava assistendo a quella disamina astrale rimase colpita del segnale invocato da Luciano. Di fatto aspettava in maniera perplessa e anche timorosa, l’approssimarsi di quella tragedia inesorabile, Giulia non poteva allontanare quel temporale impetuoso che si stava precipitando sulla testa di entrambi, lei e suo marito, sbalorditi della certezza del periodo in cui ci sarebbe stata la fine di lui. Tutti gli sguardi erano rivolti su Giulia la quale si rese conto che avrebbe dovuto mettere da parte la richiesta di separazione e controvoglia riprendere i contatti con il marito. L’allontanamento portato avanti da Giulia era scaturito dal nuovo rapporto che lui stava coltivando con una donna molto più giovane, tentazione dei sessantenni. Bisognava che Giulia si arrendesse nel cercare di interrompere quel tentativo di suo marito di creare una nuova relazione, di far tagliare gradualmente quel rapporto. Il quel modo sicuramente la situazione affettiva sarebbe ritornata a quella del tempo addietro e di conseguenza la certezza di poter mettere al sicuro il patrimonio di suo marito. Con la presenza assidua di Giulia sicuramente avrebbe garantito l’assistenza esclusiva al marito bisognoso di cure e affetto. Di fatto l’amante sarebbe stata messa alla porta, in senso figurato.   Quindi nei programmi immediati sorgeva la necessità di riprendere il contatto con il marito, fatto assolutamente importante che doveva spingere Giulia a dimenticare il passato di discussioni e liti facendo in quel momento un grandissimo sforzo di riavvicinamento al marito. Solo accettando quella decisione, poteva entrare nuovamente nell’ultima parte della sua vita e riconquistare il suo affetto, partecipare al suo dolore in   quei giorni tremendi. In quel modo Giulia avrebbe tranquillizzato il suo cuore, soprattutto  nella difesa del patrimonio che prossimamente avrebbe ereditato, ricevendo come riconoscenza quel sorriso che soltanto le donne maldestre possono ottenere da un cuore riconoscente. Il marito, in piena difficoltà di salute,  avrebbe sicuramente ripreso i contatti con la moglie, mettendo da parte la relazione interessata dell'amante.  

La storia si concluse come previsto dall’astrologo Luciano. Dopo tre mesi esatti, le condizioni di salute del marito peggiorarono in maniera catastrofica e nel giro di pochissimi giorni, l'anima non si seppe se fece in tempo a pentirsi di tutto quello che aveva fatto nella vita ma sicuramente la moglie Giulia ebbe i vantaggi importanti dalla rinuncia a qualsiasi iniziativa di separazione e  divorzio e beneficiò di tutti i beni del marito essendo l’unica erede di legge.

La vita di Giulia di conseguenza trascorse successivamente in maniera serena anche se in realtà avrebbe dovuto ancora macinare  le discussioni sprezzanti che aveva il marito in vita ebbe nei suoi confronti, sia pure ereditando l’intero patrimonio da gestire.

Fu la conclusione più importante che Giulia valorizzò con un pensiero di ringraziamento al conoscente astrologo.


 

 

IRLANDA

 

Dopo trentacinque anni di lavoro sulle piattaforme petrolifere, Federico al quarto mese di pensione si organizzò un viaggio verso l'Irlanda per trovare l’amico di lavoro Oisin anche lui lavoratore in  una piattaforma petrolifera al largo dell’Irlanda. Circa dieci anni prima si trovarono in un importante convegno organizzato dalle compagnie petrolifere multinazionali a Dublino e in quella occasione i due colleghi diventarono amici e mantennero i contatti negli anni successivi.

 

 

Oisin era già andato in pensione da qualche anno godendo i suoi 65 anni a fianco della moglie Mary e dei figli Conor e Noah, ultimo figlio di 25 anni. Federico era rimasto scapolo e si era dedicato maniera quasi totale al suo lavoro che lo portava molto spesso lontano dalla sua Roma, In pratica aveva girato il mondo intero per seguire la sua azienda nell’attività di apertura e assistenza all'estrazione del petrolio in tutti i mari. Prenotò il viaggio per Dublino dopo aver concordato con il suo amico Oisin un periodo di permanenza nella sua città, che con la pensione viveva nell’Isola di Cork. Che l'Irlanda non avesse proprio un clima molto favorevole era noto, pioveva spesso l'anno intero e nella sua decisione valutò la scelta del periodo migliore, statisticamente il mese di maggio quando a conferma del suo amico Oisin  la campagna si riempiva di una moltitudine di fiori regalando alla vista una incredibile varietà di colori. E quindi quella destinazione prevedeva la partenza in un sabato mattina con il volo per Dublino per  continuare poi il viaggio in treno per giungere nel pomeriggio nell'isola di Cork dove avrebbe incontrato il suo amico Oisin. L’aereo arrivò in perfetto orario. A Dublino ritenette opportuno consumare un pasto leggero in un ristorante non lontano dalla stazione ferroviaria. Scelse un piatto tipico che dai componenti si presentava di facile digestione e riuscì a consumare il pasto accompagnandolo con birra artigianale.  A circa un'ora dalla partenza del treno, riprese la direzione verso la stazione, ritirò il suo trolley dal deposito bagagli e si mise in attesa del treno delle 14:00.

Il vagone non era molto affollato, il sole permetteva di ammirare la campagna interamente Fiorita per tutto il viaggio fino all'isola di Cork. Conosceva molto bene l'inglese e quindi si era mosso con molta facilità nei luoghi della stazione. Giunto a destinazione  aveva avuto la necessità di chiedere informazioni con il personale ferroviario per conoscere dove era il punto di incontro raccomandato dal suo amico Oisin. Federico in pratica lo doveva attendere in prossimità di una edicola posta sul lato destro esterno della stazione. Solo pochi minuti di attesa quando un capiente SUV si fermò davanti a lui, era il suo amico che lo stava salutando. Si abbracciarono con molta cordialità, Federico lo trovò un po' invecchiato per i suoi sessantacinque anni ma preferì tenere per sé quella impressione. Parlarono del suo viaggio dall'Italia, tutto era andato secondo le aspettative. Oisin parlò della sua vita che stava scorrendo nella sua deliziosa Cork. Ricordava con apparente nostalgia gli anni di lavoro nella piattaforma petrolifera del Nord Irlanda, l'impegno continuo nel suo lavoro di sovraintendente e in quel tempo  che era in pensione, preso dagli impegni della famiglia, stava allentando quei ricordi del lavoro passato. Con molta disponibilità collaborava con sua moglie Mary, si dedicava alla famiglia diventata l’attenzione più importante della sua vita. La moglie Mary era ancora nella piena attività concessa dai suoi cinquantasette anni. La conversazione si interruppe quando il SUV si fermò davanti ad una casa tutta colorata, erano arrivati. E quando il motore della Land Rover si spense, la porta si aprì ed apparve sorridente la signora Mary entusiasta per l'arrivo dell'amico italiano Federico. I figli non erano in casa, il più grande Conor lavorava anche di sabato presso un associata impresa del gruppo multinazionale in cui Oisin dedicò tanti anni della sua vita. Il figlio minore Noah stava ultimando l'ultimo anno di università in scienze matematiche e informatiche. Tuttavia se non ci fossero stati imprevisti di sorta sarebbero arrivati per cena.

La colazione era stata preparata dall’affabile Mary, disponibile e contenta di avere a casa per qualche giorno l'ospite italiano che con il suo modo di comportarsi dava alla famiglia un po' di vivacità che per loro irlandesi non era proprio accettata dalla tradizione. Federico era italiano e per giunta romano e quindi tutto gli era perdonato. Loro erano un po' controllati da un certo modo di vivere, la calma apparente e l’azione frenata di tutti i loro movimenti sembrava tutto fosse calcolato e equilibrato. Poi la signora Mary sembrava affascinata nel sentire parlare l’ospite, l’inglese aveva tutta un’altra vocalità, molto accettabile, la cadenza poi evidenziava l’impronta italiana, la signora Mary dimostrava una grande attenzione nell’ascoltarlo.

La colazione proseguì con il terminare tutte le belle cose che la padrona di casa aveva cucinato e preparato.

Si prepararono per fare un giretto nel cuore di Cork, era una cittadina abbastanza invitante per le passeggiate e soprattutto per tante belle cose che offriva. Loro abitavano nei pressi del Forte Elizabeth è l'occasione fu propizia per visitarlo dopo aver visto le immagini e ascoltato i commenti storici dell'amico Oisin.

Il mercato inglese molto interessante per l'organizzazione e soprattutto per la grande varietà e quantità di carni e di  pesce. Visitarono il lungo e largo quella parte della cittadina per poi proseguire verso il castello e anche in quella occasione Oisin tirò fuori tutta la sua esperienza e preparazione storica. Sì poteva parlare di tutto ma non soltanto delle vicende ufficiali ma anche quelle che coinvolgevano di riflesso la vita di castellani e sudditi nella storia millenaria del Castello. Molte storielle gironzolavano attorno ai comportamenti non proprio molto leciti di principi e signorotti che si avvicendarono nella dinastia dei nobili.

La giornata non era assolata, sicuramente il tempo non minacciava pioggia, grande premessa per gustarsi una bella giornata. Gironzolando, passeggiando nei vicoli che trasudavano di antichità, erano protetti dalle abitazioni colorate. Nel camminare  sentivano qualche battuta riguardo la vita irlandese dei primi anni del millenovecento  quando cominciarono ad abbandonare la pesca per andare, appestati di fumo dei piroscafi commerciali, verso la ricca America che dopo aver eliminato e sloggiato innumerevoli tribù indiane, chiedevano a gran voce manodopera per costruire la nuova America. E così i villaggi dei pescatori irlandesi gradualmente si svuotarono e rimasero soltanto i pescatori anziani che non venivano inseriti negli elenchi dell’ immigrazione americana per la loro età avanzata. Certo era un momento triste della storia irlandese, in ogni modo bisognava trovare una via d'uscita onorevole per vincere la fame e dare alle nuove generazioni un futuro migliore. Soltanto agli inizi degli anni cinquanta cominciarono a presentarsi nuove opportunità di lavoro in altri settori a partire dall'industria, dal commercio e altre attività che richiedevano molto coraggio di lavorare lontano dalla famiglia anche per diversi anni consecutivi, come sarebbe accaduto in seguito a tutti quelli si avventurarono nelle piattaforme petrolifere che cominciavano a sorgere lontane dall’Irlanda e alcune per fortuna molto vicine all’Islanda. In quegli anni anche la famiglia di Oisin spinsero i figli ad accettare quella attività che prometteva un benessere economico di rilievo per poter poi comprare casa e formare  una bella famiglia. In quel modo Oisin potette lavorare per conseguire una posizione di tutto rispetto. Quando conobbe la bellissima Mary fu un fulmine al ciel sereno, l'amore scoppiò all'improvviso e nonostante una certa contrarietà dei genitori di Mary per quella unione che sarebbe dovuta sfociare in un matrimonio, la decisione di Mary e Oisin ebbe il sopravvento è proprio in quell'anno del loro incontro, arrivarono al matrimonio esclusivamente religioso perché in quei tempi era inammissibile soltanto ipotizzare un'altra forma di convivenza. La conversazione era durata abbastanza ed erano arrivati di fronte ad un ottimo ristorante molto rinomato e che aveva reso entusiasta in varie occasioni Oisin. Locale molto caratteristico ricreato da antiche stalle in cui venivano ricoverati pecore e montoni ma che oggi era diventato famoso per i suoi piatti.

La scelta fu per il pesce, una zuppa di cinque tipi di diverse qualità con l'aggiunta di molluschi e crostacei, patate, cipolla e sedano. Sicuramente una cucina di alto livello ma non soltanto per quello. Seguì un piatto di aragosta appena pescata nel vicino oceano Atlantico, cotta al vapore con diversi tipi di verdure e abbondante limone proveniente dai paesi europei del Mediterraneo. Una bella e gustosa birra artigianale aveva accompagnato il pasto che giunse a conclusione con una bella torta al whisky invecchiato. Anche la signora Mary apprezzò molto con soddisfazione quel pasto e in cuor suo ringraziò la visita dell'amico Federico che con la sua italianità aveva consentito di trascorrere una bella giornata. Il ritorno a casa fu molto piacevole, presero altre vie per ammirare compiutamente la cittadina, non mancò l'occasione di fermarsi in una sala da tè per una breve sosta dopo aver camminato abbastanza. Non poteva mancare un gustoso thè verde e una porzione di torta artigianale preparata proprio dal titolare del locale.

Ancora quindici minuti a piedi e arrivarono all'automobile di Oisin. Era domenica e c'era abbastanza traffico per cui giunsero a casa soltanto dopo trenta minuti. 

 

Incredibilmente il bel tempo continuava, Oisin propose a Mary e Federico di completare la visita per apprezzare il più possibile la città di Cork. L'idea venne accolta favorevolmente con entusiasmo e quindi con l'auto percorsero una strada strategica per giungere alla  passeggiata che avrebbero dovuto intraprendere. Come primo obiettivo visitare La Fortezza medioevale Blarney Castle, con i suoi giardini, in seguito avrebbero visitato il mercato Middleton Farmers apprezzatissimo è molto invitante soprattutto dagli agricoltori. Al termine di quel giro avrebbero avuto la possibilità di pranzare al nominato ristorante Ocean Blue.

Intanto il primo appuntamento era la visita della fortezza medioevale. Strada facendo Mary poneva molte domande a Federico sulla vita notturna romana, molto famosa da quando il grande regista Fellini con la sua “Dolce Vita” aveva sparso in ogni continente non solo il mondo culturale del fascino di una Roma bellissima dal punto di vista architettonico e di antichità ma anche l'altro aspetto di una borghesia in fase di decadenza che trascorreva le giornate in maniera inutile e futile. In effetti continuava l’amico Federico delle numerose vicende raccontate ce n'erano ben poche da ricordare, l'unica più importante fu quella del bagno nella fontana di Trevi dei grandi attori Anita Ekberg e Marcello Mastroianni dove in quel mese freddo di gennaio si incontrarono nelle acque gelide che raggiungevano le cosce di entrambi. Tutto lì. Il desiderio di vivere quella mondanità aveva stravolto il pensiero comune, una vita possibile senza fare nulla e di conseguenza rafforzava il desiderio di rimescolarsi in quelle scene nel film che raccontava una vita improbabile e tutto sommato inutile. Mary rimase un po' sconcertata, si era fatta un'idea molto diversa nella visione di quel film che vide due volte, immaginò altre cose, pur tuttavia aveva conservato nel cuore i punti strategici di una Roma antica nella quale nessuna critica poteva essere ammessa.

Erano intanto giunti all'ingresso della fortezza medievale, fecero un po' di fila. Poi entrarono in compagnia di altre persone e soprattutto turisti. Oisin anche in quel caso sì difese con onore e diffuse tutta la sua conoscenza riguardo quella fortezza.
Uscirono dopo circa un'oretta e mezza e raggiunsero il mercato Green Country, si potevano ammirare e volendo consumare alcuni frutti delle fattorie degli agricoltori, sparse nelle campagne che circondavano l’Isola di Cork  Una visita interessante da fare per l'importanza del luogo e per la sua organizzazione. Federico da buon romano non perse l’occasione di gustare quei frutti offerti che a Roma praticamente erano sconosciuti e in ciò ricevette l'applauso della signora Mary che per la verità non era molto entusiasta di assaggiare quei frutti all’aperto che oltretutto riteneva di scarso sapore. Lei ricordava la frutta del Mediterraneo quando anni fa con il marito, ancora in lavoro, fece un viaggio di quindici giorni circa dal Portogallo all’Italia passando per la Spagna. Altri sapori certo che non avevano niente a vedere con la frutta semi acerba che si poteva vedere e gustare in quel mercato ricercatissimo.

Si era già vicini alle tredici ed era quindi l'ora giusta per dirigersi verso il vicino ristorante di buona fama.
L'idea era quella di assaggiare piatti diversi da scegliere in quel menù a quattro pagine. Una volta seduti in un tavolino con vista sul fiume, consultarono con calma il menù e decisero la scelta della cucina tipica di quel locale..
Durante il pranzo la conversazione si spostò sul figlio minore Noah che stava frequentando l'università a Dublino. La facoltà scelta di matematica e Informatica era molto impegnativa ma quello che era importante per loro genitori era di superare gli esami previsti dal calendario degli esami e soprattutto puntare al massimo dei voti perché era risaputo che avrebbe compensato quel suo sforzo dedicato nello studio con l'appoggio dell’università che avrebbe presentato il laureato Noah ai migliori centri dell'Europa e volendo anche del mondo anglosassone. Con quel grande obiettivo Oisin e Mary facevano di tutto per garantire al proprio figlio la serenità necessaria per completare l'università. Nella frequentazione dei corsi a Dublino,  un anno prima aveva conosciuto uno studente che poi sarebbe diventato suo amico di nome Fiadh che si era iscritto a scienze politiche e sociologia dietro pressione di uno zio molto influente nel momento in cui i suoi genitori dovevano decidere sulla scelta della facoltà e quindi si arrivò alle scienze politiche e sociologia. Con il tempo l'entusiasmo iniziale si era un po' raffreddato ma Fiadh faceva di tutto per conservarlo dentro di sé perché non voleva alcun modo contrariare i suoi genitori e soprattutto l'influente zio. Quello era ciò che riferiva in casa il figlio Noah.
Uscirono dal ristorante e passeggiando percorsero il bellissimo marciapiede che costeggiava i palazzi colorati baciati dai raggi solari vicino al tramonto, sembrava un quadro di un grande artista pittore della scuola fiamminga, in effetti era un grande piacere essere immerso in quella strada dove ogni palazzina aveva un colore diverso dall'altra e anche le barche che sostavano nel fiume ripetevano quegli stessi colori. Avevano mangiato un po' troppo e quella volta decisero di non prendere il tè.  

Nella giornata di giovedì la signora Mary ricevette due telefonate del figlio Conor che non poteva essere presente nel fine settimana perché la sua azienda aveva organizzato un weekend fuori Cork nei pressi di Dublino. L’altro figlio Noah avvertiva che con lui sarebbe venuto anche l'amico Fiadh per trascorrere il sabato insieme perché la domenica voleva dedicarla ad una escursione alle scogliere di Moer. Gli  era stato riferito che quel posto magnifico veniva visitato da mezza Europa e si era deciso quindi di approfittare del bel tempo previsto per il fine settimana per andare insieme a Noah a godersi quel meraviglioso spettacolo . Mamma Mary subito si diede da fare, chiese al marito di accompagnarla nel pomeriggio a fare la spesa. Era molto contenta che suo figlio avesse acconsentito al desiderio del suo amico di venire a casa sua e trascorrere il fine settimana in loro compagnia. Sapevano del disagio che lo accompagnava durante le lezioni dei docenti all'Università famosa  perché lo aveva più volte accennato che incontrava da qualche mese difficoltà a immedesimarsi in quel tragitto che temeva con il passare del tempo di non riuscire più a conseguire quelle ottime valutazioni necessarie per la conclusione dei corsi. Egli in quel momento aveva una certa maturità, intendeva soddisfare il suo desiderio di iscriversi ad un'altra facoltà più congeniale per il suo modo di essere utile, soprattutto nella ricerca nei periodi storici antichi che da sempre lo avevano attratto. Sia Oisin che Mary lo distoglievano da quelle sue preoccupazioni sottolineando che la facoltà nella quale era inserito aveva possibilità maggiori di  inserimento nel tessuto sociale e la sua preparazione professionale sicuramente avrebbe dato grandi soddisfazioni nel settore delle scienze politiche e sociologia avendo a disposizione le carte giuste nonché l'appoggio promesso dall’università di essere inserito in importanti aziende che gli avrebbero permesso di creare le basi per un avvio professionale importante . L'espressione di Fiadh non sempre dimostrava di condividere l'appoggio dei genitori del suo amico Noah ma per la buona educazione non replicava mai facendo finta di accettare quelle lori raccomandazioni che gli trasmettevano con fervore come fosse un loro figlio. Oisin era pronto per accompagnare Mary nei vari negozi per comprare il necessario ma anche il superfluo perché voleva sempre fare una bella figura nel preparare un ottimo pranzo. Mary ricordò a Oisin di rammentarle di comprare quel gustoso dolce delle volte precedenti, ne  era rimasta molto soddisfatta per la bontà dei preparati. Federico non li aveva accompagnati perché interessato a visitare una libreria antica dove si potevano trovare volumi di un certo interesse esoterico verso il quale nutriva attrazione. Da pochi mesi a seguito di un contatto avuto con un sensitivo non molto conosciuto in un paese periferia romana, ne era rimasto colpito ed ecco il motivo per cui cercava in quella libreria qualche cosa di quel campo dall'esoterismo all'astrologia, era abbastanza curioso di avere la fortuna di incontrare e soprattutto comprare un interessante volume anche in lingua inglese poiché leggeva e parlava un ottimo inglese. Certo gli occorrevano diverse ore per la ricerca ma aveva avvisato di questo il suo amico Oisin.  

Sabato mattina verso le undici si presentarono a casa di Mary, il figlio Noah e l'amico Fiadh con un bel mazzo di fiori in omaggio alla padrona di casa che fu molto felice di vederli e ringraziando l'amico prese i fiori che li pose in un bel vaso di ceramica. Dopo una breve conversazione e scambio di saluti, Mary ritornò in cucina a ultimare il pranzo il cui profumo aveva già avvolto l'intero appartamento, si preannunciava quindi molto gustoso. Papà Oisin scese a comprare gli ultimi alimenti necessari a completare il saporoso pranzo. Poiché all'incirca mancavano un paio d'ore, i ragazzi preferirono fare un giretto lungo il marciapiede del fiume dove si potevano ammirare gli svariati locali le cui pareti esterne avevano i colori dei prati che circondavano l'isola di Cork. Scelsero un bar che aveva bella vista sul fiume e ordinarono una birra irlandese con qualche stuzzichino. Nell'attesa parlarono di tante cose soprattutto dei corsi che stavano frequentando all'università molto impegnativi, richiedevano assoluta attenzione soprattutto quando i docenti intervenivano con i loro trattati frutto di anni di esperienza e di ricerca. Noah molto entusiasta di avere diversi colleghi che frequentavano con molto interesse la medesima facoltà di matematica con annessa sezione di informatica. Il tutto correva molto bene e ciò permetteva di seguire i programmi di studio con tranquillità, con la soddisfazione dei genitori. Di diversa opinione era Fiadh che continuava ad avere difficoltà nel proseguire l'impegno universitario richiesto soprattutto dalla sociologia. L’altro settore delle scienze politiche lo preoccupava di meno, sapeva per esperienza altrui che quello era un campo di facile accesso in futuro perché i docenti avevano dichiarato più volte della possibilità futura di portare avanti i laureati con la migliore votazione. La sociologia sembrava invece un settore ostico e non riusciva ad entrare nelle sue corde ma quello che lo preoccupava maggiormente era il fiato che sembrava avesse sempre sul collo da parte dello zio noto psichiatra di un famoso ospedale di Dublino. In pratica era stato lui a condizionare la decisione di portare a conclusione la scelta per quella facoltà, garantendo la riuscita professionale sicura data la sua posizione grande rilievo. Probabilmente a nessuno interessò di conoscere se Fiadh avesse le inclinazioni e capacità di immergersi in quella facoltà, apparentemente facile ma in realtà molto ostica, almeno per lui. Evidentemente la sua mente non era disponibile a ricercare nei meandri dei canali della mente che avrebbero dovuto portare la certezza dei suoi studi nelle menti altrui e concretizzare le soluzioni necessarie a dissipare le turbe  che si moltiplicavano nella mente dei futuri pazienti e tale pensiero pressante ostacolava la sua vita universitaria e quella al di fuori dell’università. Viveva quindi quella difficoltà con timore se non terrore di non poterla farcela e quello era il punto focale del suo pensiero che negli ultimi tempi non lo lasciava in pace ma di questo non ne voleva parlare con i suoi genitori per paura di riaprire il circolo vizioso con lo zio psichiatra che  aveva un peso morale importante nella sua famiglia.  Noah lo aveva ascoltato abbastanza turbato, in effetti era la prima volta che il suo amico parlava diffusamente di quel problema e a ruota libera; di questo ne era quasi contento perché gli era giunto il momento di allontanare quel pensiero che poi in realtà era un bel tormento che stava bloccando il suo interesse per la frequenza dell’università, la sociologia stava condizionando i progressi e i rapporti con tutti i docenti. Noah consigliò di chiedere un appuntamento con il docente di sociologia e con lui aprire la mente ed esporre i suoi timori e perplessità nel portare a termine quella facoltà, sicuramente avrebbe trovato un modo più congeniale per lui in tempi brevi a portare avanti un altro interesse più congeniale per poter superare quei momenti complicati. Noah guardò l'orologio al polso, le lancette si stavano avvicinando all'orario del pranzo, pagò la consumazione e si diressero verso casa. I colori caldi dei palazzi del marciapiede sul fiume li accompagnarono, forse il potente Iddio ascoltò e portò a sé il pesante e importante peso di quel problema che stava rubando la mente e soprattutto la vita di Fiadh.

Arrivarono a casa, tutto era pronto e dopo aver risolto le pratiche igieniche nel bagno, si sedettero a tavola mentre nell'aria si era impossessato un profumo di cose buone che mamma Mary si era prodigata a realizzare. La sorpresa si aprì scoperchiando la zuppiera di ceramica inglese e in quel momento il profumo sì diffuse nell'aria. Era il piatto forse più famoso dell'Irlanda quello dello stufato di agnello. La signora Mary diffuse la sua ricetta, insieme all'agnello tutto era stato cucinato insieme alle patate, carote, sedano ed erbe aromatiche delle campagne vicine a Cork, naturalmente poi quel sugo saporito e gustoso doveva essere accompagnato con pane scuro con burro cremoso e salato. Un primo silenzio nel momento in cui incominciarono ad assaggiare lo stufato poi una volta superato quel momento di analisi, si incominciò ad apprezzare meglio il piatto preparato con devozione e passione dalla signora Mary. Tutti i presenti fecero i complimenti a partire da Federico che da buon romano aveva un debole per i piatti gustosi e molto saporiti, seguirono i complimenti di papà Oisin, del figlio Noah e dell'amico Fiadh. Il pranzo venne consumato con la grande soddisfazione della padrona di casa.
 Avevano
mangiato abbastanza e quindi un po' di relax nel salotto si era reso necessario. Si parlò del più e del meno ma soprattutto dell'ottimo pasto che la signora Mary aveva preparato con grande cura e devozione.

Il figlio Noah parlò del viaggio per le scogliere di Moher deciso per il giorno dopo, domenica. Con i mezzi pubblici ci volevano diverse ore di viaggio, tra andata e ritorno dovendo affrontare almeno quattrocento km e tenuto conto di almeno 9 ore di viaggio si valutò l'opportunità di andare in auto e Noah ne parlò con il papà Oisin.  Intervenne la signora Mary e dette subito parere positivo perché con l’auto si accorciava di molto quel viaggio e potevano approfittare delle ore in più a disposizione per vedere con calma  quella zona molto ricercata dal turismo internazionale. Un po' di titubanza poi il papà si arrese e dette parere positivo per l'uso dell'auto, sarebbero partiti dunque intorno alle otto e trenta minuti del giorno dopo. L'amico Fiadh ringraziò moltissimo il signor Oisin in quella circostanza. Si propose anche Federico di fare insieme quel viaggio il cui interesse veniva sempre diffuso dalle agenzie turistiche di Cork. Sembrò a tutti un'ottima idea e si organizzarono per partire il giorno dopo.
La giornata sembrava non presentare sorprese di brutto tempo e partirono con grande entusiasmo di fare un piacevole viaggio.
Fecero una prima sosta nei pressi di un posto di benzina,  proseguirono e si fermarono una seconda volta in un piccolo centro di villette con in prima vista un piccolo ristorante. Comprarono qualcosa per saziare lo stomaco che cominciava a brontolare. Federico fece il cavaliere e offri caffè e toast. Continuarono e arrivati a Lislarkin si organizzarono per visitare la cittadina, presero  informazioni per raggiungere le famose scogliere. Raccolte tutte le notizie valutarono se andarci subito, mancavano circa ottanta chilometri oppure appena  dopo pranzo dato che avevano raggiunto l'orario delle dodici e quarantacinque. Probabilmente Federico condizionò Noah e Fiadh e scelsero prima di andare a pranzo. L'ambiente era tipico delle vecchie case di contadini, erano evidenti le strutture portanti delle Stalle che una volta erano il rifugio di qualche vacca e soprattutto di tante pecore. Sì immaginavano quindi di ordinare qualche piatto caratteristico dell'antica Irlanda ma con sorpresa trovarono almeno due piatti che si rifacevano alla cucina italiana.  C'era una buona armonia tra i tre, anche Fiadh che normalmente faceva fatica a partecipare alla conversazione, in quella giornata sembrava avesse trovato la condizione psicologica forse per la presenza di  Federico che con il suo carattere contagioso aveva dato una certa allegria a quel stare  insieme. L'attesa del pranzo dette la possibilità a Noah di parlare della vita nella famosa università di Dublino che fu la sede in cui si laurearono gli scrittori Oscar Wild e Samuele Beckett ed altri ancora sempre famosi nei diversi campi di studio. In quella conversazione non si trovò a proprio agio Fiadh e piano piano trovò rifugio nella sua mente che lo consigliava a non dire nulla delle sue preoccupazioni. Nello scambio di pareri tra Noah e Federico particolarmente interessanti rimase un po' isolato l'amico ma non gli dettero peso e poi dopo qualche minuto arrivò il pranzo e l’attenzione si concentrò su quel piatto sicuramente di origine contadina degli anni cinquanta.
Erano presenti nel locale una quindicina di ospiti che conversavano a voce bassa accompagnati da melodie di chitarra e sassofono, non davano fastidio agli ospiti che parlavano a voce bassa. Una buona birra accompagnava quel piatto e poi a seguire un gustosissimo dolce, per finire un buon espresso italiano.
Gli ottanta chilometri li fecero in meno di un’ora e quando cominciarono a sentire in lontananza l’ululato del vento e il rumore dell’oceano che si sbatteva contro gli altissimi dirupi, aspettarono un po' prima di scendere dall’auto  e dirigersi verso prime scogliere a picco sull' oceano tumultuoso.  La passeggiata durò venti minuti quando cominciarono a sentire più forte il rumore profondo delle onde altissime che se infrangevano contro gli scogli alla base dei fiordi e altezza certamente non inferiore a duecento metri. Con il cellulare fecero tante foto e brevi video nel tratto pericoloso quasi ai margini del sentiero che trasportava verso la vista di altri fiordi sempre più spettacolari. Fiadh rimaneva indietro per soffermarsi a fotografare gli angoli più suggestivi e di conseguenza sia Federico che Noah spinti dalla curiosità di quel luogo persero la sua vista. Il sentiero portava sempre più avanti e aggirava la posizione dei fiordi rientrando e a volte proseguendo verso la prossimità estremamente pericolosa che segue quel tratto magnifico ma sconvolgente. Ad un certo punto Federico e Noah si voltarono insieme per chiamare Fiadh per fargli vedere quello spettacolo bellissimo, nell’insieme troppo coinvolgente ma non lo videro, sembrava volatizzato. Era scomparso al loro sguardo distante all'incirca duecento metri. Non c'erano boscaglie fungo il sentiero che potevano nascondere coloro che percorrevano quel sentiero e quindi con una grande preoccupazione tornarono indietro gridando il suo nome ripetutamente: Fiadh. Fiadh. Nessuno rispondeva a quelle grida; anche la richiesta fatta ai pochi visitatori e turisti se avessero visto o incontrato un ragazzo sui venticinque anni risposero di no. A quel punto, la preoccupazione si impossessò delle loro menti, cominciarono a dare uno sguardo sulla base dei fiordi per scongiurare l'azione fatale che poteva aver spinto il  loro amico verso la profondità di quegli scogli maledetti. Soltanto più tardi incontrarono due addetti della Protezione Civile che chiamati da altri turisti erano intervenuti e avevano trovato un corpo inerme che galleggiava nelle onde furiose di quell'oceano assassino. Il forte dolore si impossessò di Noah ma anche di Federico che all'oscuro di tutto, rimase completamente bloccato e non riusciva a darsi una ragione su quando era successo qualche minuto prima. In quel momento Noah aveva in mente tutti i dubbi e le perplessità manifestate dal suo amico nei giorni precedenti è anche quella sensazione di forte disagio che non era riuscito ad afferrare o almeno ipotizzare una situazione mentale così pesante del suo amico.
La Protezione Civile consigliò di attendere il risultato dell'intervento per portare in superficie il corpo senza più vita di Fiadh. Ci sarebbe voluto diverso tempo e  in quella circostanza venivano consigliati di attendere la fine del soccorso nel piccolo ristorante a circa cinquecento metri da quelle scogliere.

Noah nella disperazione totale informò della tragedia papà Oisin che rimase scombussolato e trafitto dal dolore  di quell’incredibile tragedia, insieme a Mary rimasero nel più assoluto silenzio. Il fatto accaduto era tremendo e forse soltanto il silenzio avrebbe potuto cicatrizzare quell’enorme dispiacere. Seduti nel locale, non ebbero voglia nemmeno di prendere un sorso d’acqua. Rimasero nel loro silenzio fino a quando la Protezione Civile entrò nel piccolo ristorante e informò i disperati compagni di viaggio sulla procedura burocratica che normalmente veniva richiesta in quei casi di suicidio. Infine Federico fece una richiesta se fosse stato possibile portare la salma a Cork dove c'era la famiglia di Noah che avrebbe a sua volta contattato i genitori di Fiadh, il loro amatissimo figlio colpito da un folle destino, per organizzare il funerale. La Protezione Civile (Civil Defence) tentennò  un poco ma poi concordò perché in fondo era la cosa migliore da fare.
Nel giro di pochi minuti la salma era nel veicolo nella Protezione Civile che si stava dirigendo all’Isola di Cork seguito dall’auto del padre di Noah.

Non sempre la vita poteva dare segnali importanti, qualche avvertenza su quello che prossimamente stava per succedere. In fondo era meglio così perché il loro Spirito doveva  essere grande aiuto e assistenza anche nei momenti di grande difficoltà, immersi in un dolore difficile da controllare e forse impossibile da dimenticare.  


Noah si girava a destra e a sinistra ogni pochi minuti che la notte offriva, continuava a vivere il solito incubo che sembrava non cessasse mai. Si metteva a sedere sul letto probabilmente voleva mettere a fuoco quel pensiero disastroso dell'incidente mortale subito dal suo amico Fiadh. Non riusciva a prendere sonno perché tra gli incubi e  pensieri una volta sveglio viveva quel tormento. Non era la prima notte per la verità, da quando ci fu il funerale il suo stato psichico era letteralmente crollato e viveva tutte le giornate nel silenzio. Non riuscendo a parlare con nessuno ma nemmeno con i suoi genitori e l'amico di famiglia Federico che si dava da fare un mondo non riusciva a fargli uscire da bocca una sola parola. Nonostante tutti gli sforzi di papà e mamma, Noah non  contraccambiava nemmeno con lo sguardo la loro preoccupazione, era una situazione molto complicata, difficile e preoccupante. Tutto  ciò metteva nella disperazione la mamma Mary che cercava di  fare di tutto  cucinando piatti molto appetitosi al suo figlio per fargli interrompere quel silenzio. Bastava che mettesse in bocca una sola cucchiaiata ma nonostante tutti gli sforzi non ci fu alcun risultato.

Erano già al quinto giorno in cui la famiglia stava quella situazione e neanche l'arrivo del fratello Konor servì a sbloccare quell’atmosfera. Noah aveva tentato di andare all'università ma la sua attenzione era al minimo e anche i docenti se ne accorsero e consigliarono al loro studente di prendersi un periodo di riposo per recuperare quel grande dispiacere e disgrazia che il Cielo colpì il suo amico Fiadh ma la mente non riusciva a liberarsi da quelle immagini dall'alto della scogliera e del suo amico in balia di quelle  onde furiose dell'oceano. Era come se la mente si fosse bloccata, come può succedere quando una pellicola cinematografica si blocca su un unico fotogramma e né  anche le lamentele degli spettatori in sala non riuscivano a vedere le successive sequenze. Probabilmente si era addossato la grande colpa di non aver capito a sufficienza il malessere profondo che tormentava il suo amico ma anche l'impossibilità di comprenderlo perché era vero che esternava un grande disagio, apparentemente non sembrava proprio profondamente sconvolto e dava l'impressione sia pure con una certa difficoltà che ce l'avrebbe poi fatta. Ma la realtà dimostrò una storia diversa anche se quel giorno maledetto sembrava che il suo amico avesse trovato il sorriso e la tranquillità in quel viaggio molto desiderato verso le famose scogliere di Moher. Per non parlare poi della immensa tristezza provocata dalla sciagura della morte del figlio, i genitori di Fiadh non riuscirono a darsi pace soprattutto perché avevano anche loro sottovalutato il malessere di quella scelta imposta di frequentare quei corsi universitari che poi non erano quelli che lui desiderava, una certa colpa di quando accaduto cercarono di dirigerla verso lo zio psichiatra che era stato determinante nella scelta di quelle facoltà soprattutto quella maledetta di sociologia. Quel campo completamente lontano dalle necessità sociali  e dai fenomeni culturali economici e religiosi sembravano lontano mille miglia dalla possibilità di essere concretizzati. Quella sua certezza, con sicurezza aveva creato una base instabile sulla quale poggiare una struttura sociologica inattuabile e impraticabile perché le componenti che avrebbero dovuto sorreggere quell'edificio a suo parere erano friabili quindi  oltretutto molto pericolose. Un conto erano le scienze politiche dove si poteva intervenire in maniera diretta sulla società con leggi appropriate, altro conto era dipanarsi in un ambito filosofico che non poteva concludere un nulla di concreto. Quello era il concetto di fondo che probabilmente aveva messo in difficoltà l'amico Fiadh, sfiorato  in qualche loro incontro, aveva anche cercato di esternare in quel suo pensiero la confusione nei vari argomenti filosofici poi gli dava la possibilità dichiarare bene e meglio il suo pensiero.
I giorni passavano e la situazione sembrava non mutare nonostante i tentativi e spingere Noah a liberarsi di quell'enorme peso e a quel punto Federico comunicò che il prossimo sabato sarebbe tornato a Roma ma che avrebbe portato nella mente e nel suo cuore il forte dramma che stava  vivendo Noah. Egli doveva attivare le grandi energie di cui tutti gli uomini dispongono per agire sullo Spirito di Noah per alleggerire sia pure lentamente quel enorme peso. I genitori ringraziarono Federico per quando potesse fare a beneficio del loro figlio.

Una volta a Roma prese quel libro antico di astrologia e pratiche esoteriche per cercare qualche pratica adatta a attenuare e sollevare la mente di Noah in forte depressione. Il volume aveva circa settecento pagine e ci vollero tre giorni per arrivare alla fine ma aveva messo un segno in una pagina che proponeva una pratica esoterica particolare: quella delle candele di cera d’api.
Il giorno dopo comprò una ventina di candele bianche e cominciò a prepararle per liberare la mente di Noah ossessionato da quell'orribile suicidio. Sulla prima candela con uno stuzzicadenti di legno incise il nome, i simboli dei Pianeti favorevoli alla mente e accese la candela. Doveva accendere tre candele al giorno fino a quando non ricevette la notizia molto attesa che avvenne dopo due settimane. Fu un grande sollievo per i genitori ma soprattutto per Noah che era riuscito a vincere e tornare lentamente alla normalità.
Federico non disse nulla della sua pratica con le candele di cera d’api suggerita dall'antico libro. Quella vicenda  felicemente conclusa gli dette maggiore impulso a studiare i fenomeni occulti con l’ausilio della tradizione antica dell'esoterismo e dell'astrologia.

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

POPAYAN

 

 

Martha viveva nella periferia di Tunja a 140 Km da Bogotà, nella casa di famiglia ereditata insieme ad altre sorelle e fratelli. La casa venne concessa a lei perché, non sposata, doveva assistere la nipote affetta da una grave schizofrenia; aveva il carattere più predisposto per quella complicata e difficile missione rispetto agli altri fratelli che per lavoro si erano nel tempo distribuiti in ogni parte della Colombia.   

 

 

Poche volte all’anno i fratelli si facevano vivi non per dare un sollievo fisico alla sorella ma per fare una riserva di benessere e ricordare i tempi trascorsi in gioventù. E poi l’altitudine dei duemilaottocento metri ritemprava muscoli per le bellissime passeggiate in quel tratto della cordigliera delle Ande ma anche dell’appetito che ne provocavano. Martha aveva la buona sorte di avere vicina di casa una famiglia che si precipitava da lei ogni qualvolta sentivano le urla della nipote in preda ad una crisi di schizofrenia.

In sostanza rimaneva sola tutto l’anno, per fortuna non aveva problemi economici perché i fratelli contribuivano portandosi il peso di quella tragedia che consideravano un castigo del destino per ipotetici fatti incresciosi commessi dai nonni riguardo i lavoratori agricoli trattati a livello di schiavitù, così riportavano parenti e vicini dei tempi passati.

Le giornate passavano nello stesso modo e per Martha non c’era pace alcuna perché la nipote Gloria non dava la possibilità di assentarsi e ogni volta doveva ricorrere alla pazienza e all’aiuto della famiglia vicina.

Giorni addietro ricevette una lettera dal fratello Juan che il mese successivo sarebbe venuto con la sua famiglia per passare un mese a Tunja e proponeva a lei di organizzarsi per prendersi una bella vacanza, per i soldi necessari ci avrebbe pensato lui. Erano prossimi all’estate e Juan sentiva il desiderio di tornare nel luogo di gioventù, dopo molti anni di assenza.

Quella notizia la mise di buon animo e andò a cercare il parere del parroco della chiesa di San Domenico dove era solita andare a messa. Desiderava metterlo al corrente di quella volontà espressa dal fratello e sollecitargli pareri e idee per quell’ipotetico viaggio di circa un mese.

Insieme alla nipote Gloria andò a trovarlo e venne ricevuta con grande cordialità e affetto, tutti nel quartiere sapevano della sua storia quotidiana di assistenza eroica della nipote, a volte anche a rischio della vita perché non proprio raramente la crisi si manifestava in modo estremamente violento nonostante le cure farmacologiche. Il parroco consigliò Martha di non andare sola ma in compagnia del figlio più grande di Juan, per questioni di sicurezza, i giornali e tv spesso divulgavano azioni criminali in ogni dove, nei confronti di gente sola. E poi si riservava di scrivere lettere di presentazione alle parrocchie delle città di Silvia, Popayan e Cartagena località dove Martha desiderava andare per soddisfare quel desiderio che aveva sempre avuto, fin da piccola, di visitare i punti più interessanti della sua Patria.

Il parroco le promise di preparare il tutto verso la metà del mese successivo.

Baciò le mani e cercò di farlo fare anche a Gloria che rifiutò con un gesto stizzoso. Il sacerdote comprese e fece coraggio alla sua fedele parrocchiana.

Come anticipato con lettera, Juan arrivò con la sua famiglia di cinque persone. Sorprendentemente Gloria li salutò con affetto, con la meraviglia di tutti. Il loro periodo di vacanza era cominciato sotto ogni buon auspicio.

Nei giorni successivi ci fu molto tempo per parlare della sua famiglia e di quelle di altri fratelli, cose e situazioni che non potevano essere messe per iscritto. Problemi e dolori ma anche soddisfazioni e gioie come del resto accadeva in ogni famiglia. Avvicinandosi la metà del mese, Martha conversò con Juan sulla sua proposta di concederle un tempo per recuperare energie e riprendere a fortificare lo spirito per continuare la sua assistenza a Gloria, una volta che Juan e famiglia sarebbero tornati a Medellin, loro residenza.

Juan fu entusiasta del programma di Martha di fare quel bel giro desiderato da anni ma anche lui, come il parroco, fu del parere che fosse abbastanza pericoloso andarci da sola e volle che andasse insieme il figlio maggiore di diciassette anni, Pedro che, non molto soddisfatto di rimanere per tutto quel tempo a Tunja, accettò con entusiasmo e baciò la zia di aver pensato a lui per quel viaggio.   

Martha andò dal parroco, sicuramente erano pronte le raccomandazioni da presentare ai parroci delle città da visitare, era certamente un grande aiuto, in tutti sensi.

Arrivò il giorno della partenza, i biglietti dell’autobus erano stati già acquistati e quindi senza sorprese zia e nipote iniziarono il loro viaggio in Colombia. A Bogotà dovevano prendere un altro autobus dopo circa due ore dall’arrivo. E poi continuare il viaggio per l’intera notte fino ad arrivare in mattinata inoltrata a Silvia, cittadina sdraiata sulle pendici delle montagne andine.

Giunti nella stazione degli autobus a Silvia, chiesero della chiesa Guambianos per incontrare il parroco al quale presentare la lettera del monsignore di Tunja.

Pregarono per ringraziare Iddio del buon viaggio e poi chiesero del parroco ad una donna che sembrava gestisse in qualche modo le attività della chiesa. La donna andò a cercarlo e fece cenno a Martha di andare in sagrestia. Il parroco lesse la lettera, rimase contento di aver ricevuto i saluti dal suo confratello e mise a disposizione una cameretta situata dietro la sagrestia. La donna li accompagnò con zelo. Erano arrivati a Silvia ringraziando Iddio per la cordiale ospitalità.

La cittadina era accogliente e conservatrice delle ricche tradizioni. A quel punto Pedro, da buon studente,  informò la zia sulla storia di Silvia. Dal 1600 la religione abbracciò la cultura e la religione spagnola. Per la religione non del tutto, la chiesa locale aveva mantenuto la tradizione spirituale degli indigeni, la tribù dei Guambianos per cui durante le cerimonie religiose il parroco introduceva cenni storici  che risalivano alle credenze ancestrali degli indigeni. Tutte le volte che il calendario riportare le festività religiose, la chiesa Guambianos era sempre affollata di fedeli con grande soddisfazione del parroco verso il quale la comunità testimoniava il suo affetto.

L’invasione spagnola con i suoi numerosi interventi militari non riuscì a debellare quelle credenze “pagane” anzi unì sempre più la loro fede verso gli spiriti degli antenati ai quali veneravano in tutti i modi periodicamente con canti, suppliche e offerte secondo le indicazioni del capo della comunità indigena. 

La cittadina era bella e anche la cultura dei guambianos, Martha e Pedro passeggiarono lungo la via centrale per avere un’idea di quella cittadina aggrappata sulle montagne e circondata da un verde brillante. Era giunta l’ora di trovare un posticino per pranzare, l’orologio segnava le  tredici.  

Entrarono in una trattoria dall’aspetto contadino,  Martha ordinò zuppa e carne per Pedro e pesce di fiume per lei, riso, insalata, fagioli accompagnati da un buon succo di graviola con limone. Finito il pasto, la zia aveva la cassa e pagò il conto di diecimila pesos, non le sembrò molto. Anche Pedro rimase soddisfatto per la buona cucina e il prezzo.

Il nipote parlò della sua vita di studente, dei suoi compagni di classe, era all’ultimo anno e a giugno dell’anno successivo avrebbe dovuto scegliere la facoltà. Al momento non aveva le idee chiare, suo padre spingeva per giurisprudenza, il suo datore di lavoro aveva un fratello noto avvocato che era disponibile a concedergli un praticantato una volta conseguito la laurea, Era tutto da vedere, in quel periodo si doveva concentrare in quella bella vacanza con la zia.

L’aria era frizzante, i duemilaottocento metri di altitudine lo sottolineavano. Dovevano andare accostati alle pareti delle vie per evitare il vento gelido che arrivava dalle Ande, mentre gli indiani guambianos andavano e venivano nelle strade e viottoli. Entrarono in un negozio di tessuti artigianali multicolore, in verità non avevano intenzione di comprare, era soltanto un temporaneo riparo dal freddo gelido.

Intanto il sole stava calando dietro le montagne, erano le sedici, pensarono bene di tornare dal parroco della chiesa Guambianos, avrebbero partecipato al rosario e poi conversato con qualche fedele disponibile per conoscere meglio le abitudini e la cittadina. Finita la cerimonia, una donna matura, vestita con un mantello di lana variopinta si fermò vicino all’uscita e conversò con loro. Tra le altre cose raccontate, seppero che il giorno dopo, martedì, non avrebbero dovuto perdere il famoso mercato degli indiani guambianos, consigliava di visitarlo, veramente il suo tono era imperioso, non c’era niente da fare, ci dovevano andare proprio.

Pedro voleva qualcosa per cena, uscirono di chiesa e andarono ad una specie di bar a pochi metri.

Il nipote chiese patacones (frittelle) e empanadas (fritti ripieni di formaggio, carne e salsicce). I quindici gradi di temperatura consigliavano un bel brodo di verdure preparato con molto peperoncino.

Pedro volle sapere qualcosa su Gloria, la cugina malata. Era un tasto dolente senza alcuna previsione di guarigione, quel male era invincibile nonostante le cure costose a carico dello Stato, si dimostravano un palliativo perché improvvisamente riappariva quel demone maledetto con una violenza sempre più difficile da contenere. Per fortuna c’era la vicina di casa che era una santa e interveniva ogni qualvolta sentiva Gloria urlare.

Pedro ascoltò la zia e al termine le prese le mani, le strinse, per dimostrare la sua comprensione di vivere in quella maniera terribile. 

 

La messa delle sette e trenta li trovò inginocchiati nella bella chiesa Gambianos con il cenno di saluto della donna incaricata dal parroco a gestire un po' tutto nella parrocchia e infine del sacerdote che giunto all’altare si preparava alla celebrazione della messa. Tutti i fedeli si stringevano nei loro indumenti di lana, la chiesa era gelida ma la fede caldissima. Una breve omelia per cercare di confluire il messaggio evangelico in quelli tramandati dalla tradizione spirituale indigena guambiana  La comunione sigillò l’affetto dei fedeli alla parola del Signore e poi, a messa finita, la donna invitò Martha e Pedro a far colazione. Un buon latte delle mucche vicine alla cittadina con tortillas di mais e poca frutta vennero gustate dagli ospiti rallegrando la donna che tra le altre funzioni ricopriva anche quella di cuoca – cameriera.

Ringraziarono e uscirono per andare a visitare il mercato. Ogni martedì gli indigeni si ritrovavano per il commercio e baratto delle merci, verdure, frutta, spezie ed ogni altro che si richiamava alla loro tradizione.

Martha e Pedro arrivarono al mercato che da subito lo trovarono bellissimo e interessante. Moltissimi indigeni indossavano l’abito tradizionale con la bombetta nera in testa, le donne con i vestiti lavorati con i loro telai e le collane di perline colorate. Pedro notò che tutti gli indigeni portavano sulla schiena una borsa bianca. Tra di loro chiacchieravano in lingua indigena mentre con gli abitanti di Silvia e turisti ricorrevano allo spagnolo ovviamente con cadenza del posto.

Martha e Pedro si muovevano con curiosità tra i banchi di frutta, verdura ma anche tra oggetti e utensili della tradizione ancestrale. Si fermarono di fronte al banchetto che mostrava candele, oggetti tribali, figurine di uomini con lunga barba bianca, probabilmente ancestrali che meritavano la loro venerazione. La donna anziana fissò lo sguardo sugli occhi di  Martha e la invitò ad avvicinarsi. Un po' titubante si mosse verso la indigena che le sorrideva amorevolmente. Le sussurrò qualcosa nell’orecchio, Martha rimaneva stupìda, incredula, non riusciva a comprendere in che modo lei avesse scoperto la situazione in cui stava vivendo con la nipote Gloria. Alla fine accettò quanto volesse dirle e in un adagio che racchiudeva tutta la sua saggezza concludeva con la protezione che in forma gratuita voleva concedere a Martha e alla nipote malata di schizofrenia. Martha presa dalla commozione si mise a piangere mentre Pedro la stringeva a sé. L’indigena scrisse su un foglio qualcosa che consegnò a Martha con l’impegno di non aprirlo e leggerlo prima che fosse ritornata a casa. Il foglietto piegato e sigillato con la cera venne posto nella sua borsa.

Martha dette una forte stretta di mano alla saggia e vidente indigena e si allontanarono da quel mercato.

Il vento gelido del giorno precedente sembrò sparire e un caldo sole cercò di riscaldare i corpi degli abitanti si Silvia e anche lo spirito maltrattato da anni di Martha.

Martha desiderava parlare dell’incontro con la indigena a Pedro e poiché erano vicini all’ora di pranzo entrarono in un locale che sentivano aveva qualcosa di familiare.

La zia di Pedro confessò che da molti anni cercava di avere un aiuto spirituale da qualche forza soprannaturale ma le sembrò di sbattere sempre la testa contro il muro. Si era convinta che lei doveva sopportare quel peso in virtù di non sapere quale torto avesse fatto agli dei, a Gesù Cristo per il compito di assistere la nipote ammalata senza che nessun medico, specialista o esorcista potesse attenuare quel peso.  E quando quell’indigena scoprì il suo grande dolore, comprese che finalmente un angelo era corso in suo soccorso attraverso quella vidente. Ecco perché scoppiò a piangere, era certa in quel momento che sarebbe stata aiutata d’ora in avanti e non vedeva l’ora di aprire quel foglietto una volta ritornata a Tunja.

Pranzarono in buona armonia, un bel piatto di pesce arrosto pescato nel fiume che scorreva lateralmente a Silvia e contenti e soddisfatti si raccontarono tante altre cose della loro famiglia. 

Nel pomeriggio incontrarono il parroco per ringraziarlo dell’ospitalità e informarlo che il giorno d dopo sarebbero partiti per Popayan, ad un’ora circa di viaggio da Silvia, con sali e scendi temibili.

Quando l’autobus giunse a Popayan a metà mattinata, Martha e Pedro erano già svegli. Il mal di autobus del nipote durante la notte era gradualmente diminuito e il nipote si svegliò in buone condizioni fisiche, la nausea completamente sparita. Cercarono la chiesa raccomandata dal loro monsignore di Silvia, la trovarono e entrarono, a quell’ora solo pochi fedeli, alcuni inginocchiati, che recitavano le preghiere. Pedro avanzò nei pressi dell’altare e incrociò un prete giovane, forse un diacono. Gli parlò del messaggio del parroco di Silvia, il monsignore di Popayan non era presente causa un appuntamento con il sindaco ma egli avrebbe potuto dare una sistemazione ai due viaggiatori perché accostata alla chiesa c’era una residenza destinata proprio a favore di persone raccomandate da altre parrocchie del Paese, loro non erano certo il primo caso, li accompagnò e dette loro la chiave della stanza numero tre. Il diacono informò loro che verso le dodici e trenta minuti era fissato il pranzo e erano da considerarsi invitati. Martha ringraziò moltissimo e confermò la loro presenza.

Mentre stavano ad ammirare la chiesa di san Francisco con le opere non più originali ma ricostruite perfettamente causa il tragico terremoto del 1983 che distrusse moltissima parte della città coloniale. Per il disastro esteso e la scarsezza dei mezzi economici stanziati dalla politica, ci vollero quasi trent’anni per guarire Popayan dalle profonde ferite di quel terremoto. Il centro fu ricostruito e anche gli edifici più antichi e importanti.

Pedro aveva studiato la colonizzazione spagnola e la loro architettura dei palazzi costruiti in quasi tutta la Colombia, avrebbe fatto da guida turistica alla zia.

Il diacono informò gli ospiti dell’arrivo del parroco che lo salutarono e portavano i saluti del loro parroco che si ricordava molto bene del suo confratello ora monsignore. Il diacono lo informò dell’alloggio dato e l’invito a partecipare al pranzo.

Nel piccolo locale erano presenti altre persone provenienti da santa Marta della costa settentrionale, fecero conoscenza parlando delle cittadine con pregi e difetti.

Il pranzo terminò, Martha e Pedro pensarono di fare una passeggiata in centro della città coloniale che trovarono bellissima, pieno di negozi che avevano in mostra prodotti artigianali la cui figura rifletteva la cultura antica spagnola ma anche altri simboli della popolazione indigena che occupava quella zona da secoli. Martha che era la prima volta che vedeva Popayan rimase entusiasta e ad ogni negozio si attardava per la voglia di vedere tutti i prodotti in terracotta e ceramica ideati e costruiti dagli artigiani locali.

Un negozio attirò particolarmente zia e nipote, si presentò come uno spettacolo di colori, oggetti luminosi e molti specchi di varie dimensioni con montatura di vari materiali. La curiosità di Martha fu tanta che volle visitare il locale in lungo e in largo. Sul fondo un po' nell’ombra apparve una donna, avvolta in un mantello stile guambianos, sicuramente un indigena pensò, trovò la scusa di chiedere informazioni su un vaso cesellato di quadretti di ceramica che probabilmente si rifaceva ai tempi antichi. La proprietaria apprezzò l’interesse della probabile cliente e fece la storia del vasetto che era parte di artefatti risalenti al periodo ante coloniale e quindi anche se costruito nell’epoca attuale, aveva un significato valorizzato dalla sua comunità che si rifaceva alla tradizione guambianos, Informò che per avere maggiore scelta di quei prodotti potevano recarsi nella loro cittadina vicina a Plendanò nella zona di Silvia, posto davvero incantevole. Martha manifestò una certa riluttanza a ritornare in quei posti, soprattutto per il disagio che quel percorso in autobus arrecava a suo nipote Pedro che in quel viaggio in autobus da Silvia a Popayan aveva scoperto di soffrire di nausea, sicurante per l’abbondanza di curve e il saliscendi della strada.

La indigena sorrise e disse loro come fronteggiare casi simili. E dette una pratica quasi magica per  risolvere quel fastidio molto spiacevole. Fece entrare loro in un locale sul dietro del negozio e dimostrò in quale modo si potevano comportare per ridurre al minimo quel disturbo di autobus ma che poteva essere usato ovviamente per qualsiasi mezzo dall’auto, alla barca e all’aereo. Disse loro di guardare con attenzione quello che stava per mostrare.

Si sedette sulla sedia come fosse in auto o nave o aereo, al momento i cui il motore si avviava dovevano sollevare le gambe e inspirare profondamente e rilasciare l’aria sempre lentamente, per tutto il tempo dell’avvio che comunque non avrebbe dovuto superare cinque minuti. Quella precauzione doveva essere ripetuta ogni qualvolta fosse necessario all’apparire della sensazione di nausea. Quella era una pratica scoperta dagli antichi indigeni di Popayan da quando la civiltà entrò prepotentemente nella vita dei villaggi, poi delle cittadine dove gli indigeni si trasferirono per obblighi economici richiesti dal progresso sociale.

Martha ringraziò dell’ottimo consiglio e promise di farlo eseguire a Pedro che per la verità era rimasto perplesso di quella pratica, si rese conto tuttavia che gli antichi riservavano sempre delle sorprese particolari riportate nei testi classici ma anche nella esperienza di vita quotidiana, quindi si rese disponibile a fare da cavia. Era d’obbligo infime acquistare quel vasetto che poteva essere usato come porta candele o anche altro. L’indigena soddisfatta di aver divulgato quella pratica ancestrale ma anche dell’acquisto di quel prezioso vasetto porta-candele.

La passeggiata proseguì, videro la facciata della chiesa di santo Domingo, quella dell’Eremita e del teatro municipale orgoglio di Popayan.

Trovarono un bar ristorante pizzeria, videro la tabella dei gelati,  erano lontano dal freddo insistente di Silvia, quindi potevano prenderne uno ben gustoso con crema e frutta locale. Scoprirono che il proprietario era di origine italiana e quello li entusiasmò per invogliarli a  prendere una pizza per ceba al ritorno di quella passeggiata.

Il diacono agitato del loro ritardo per l’orario della cena, era preoccupato che potesse essere accaduto qualcosa di spiacevole ma quando seppe della bontà di quella pizza italiana allora si calmò e dette un abbraccio a tutti e due, complimentandosi per quella decisione. In ogni modo confermò a Martha e Pedro che la cucina era sempre aperta e che il giorno dopo li aspettava a colazione, pranzo e cena. Augurò la buona notte e si dileguò. Zia e nipote entrarono in chiesa e ringraziarono il Signore di aver trovato ottime persone sul percorso del loro viaggio.

Il giorno successivo dopo colazione avevano dato retta al diacono di andare a vedere il panorama di Popayan che dalla collina delle Tre Croci offriva una vista incredibile. Si attardarono un poco e quando scesero nel centro vicino alla chiesa di san Francisco con un taxi era già vicina l’ora del pranzo. Non se la sentirono di contrariare l’invito del diacono e quindi parteciparono alla mensa insieme ad altri invitati.

Il giorno dopo trascorsero la mattinata a visitare le bellezze di Popayan non avevano fretta, avevano tutto il tempo ma decisero comunque di partire il giorno successivo per Medellin dopo cena.

Anche in quel caso, ringraziarono il monsignore per la grande ospitalità con riserva di riferire al loro parroco tutto l’ottimo trattamento avuto.

Arrivò il momento di prendere l’autobus, l’orario era previsto per le ventidue, il diacono si offerse di accompagnarli alla stazione che non distava molto dalla chiesa e fu molto gradito quel trasporto.

Salirono sull’autobus, presero i posti assegnati dalla prenotazione in terza fila e facendosi il segno della croce rivolsero la richiesta di protezione al Signore, era noto  a tutti la storia criminale di Escobar e la sua banda che con la sua inesauribile droga aveva inquinato il mondo intero. Pedro tranquillizzò la zia, allora erano tempi passati e di Escobar si persero le traccia.

Durante la notte si svegliarono poche volte, soprattutto in coincidenza con le fermate più importanti. In ogni modo il viaggio terminò alla stazione degli autobus di Medellin, erano le dieci del mattino seguente. Presero un taxi e arrivarono alla cattedrale, chiesero a delle persone che chiacchieravano davanti il grande portone dove potessero incontrare il vescovo, uno dei ragazzi li accompagnò dal segretario al quale Martha presentò la lettera del suo parroco. Dopo un’attesa di pochi minuti, il segretario fece strada e li presentò a sua eminenza. Il vescovo si ricordò dei tempi trascorsi in seminario con il loro parroco, rimase molto contento del suo ricordo e disse al segretario di dare tutta l’assistenza ai due inviati provenienti dalla parrocchia di Tunja.

La cattedrale era abbastanza ampia e aveva molti locali che potevano essere destinati all’ospitalità. Il segretario dette loro la chiave della stanza informando che a breve ci sarebbe stato il pranzo in compagnia con i rappresentanti della comunità dei fedeli.

Il viaggio da Popayan a Medellin fu pesante e la loro stanchezza si affacciò improvvisamente. Decisero di fare una bella doccia per recuperare le energie e quando il segretario bussò alla loro porta erano già pronti per il pranzo.

Il refettorio poteva ospitare una cinquantina di persone ma c’erano molti posti vuoti. Fecero conoscenza con i vicini di tavolo, alcuni provenienti dal Venezuela, altri dal nord del Brasile ma la maggior parte dalla Colombia. L’ambiente era molto cordiale e anche il vitto di buon sapore.

Dopo pranzo decisero di riposarsi un po' nella loro camera, quel viaggio li aveva praticamente massacrati.

Quando si svegliarono era quasi sera, riuscirono a fare due passi nelle vie adiacenti alla cattedrale e trovarono che quella città molto affascinante, luminosa, con moltissimi negozi e bar-ristoranti seminati lungo quelle strade, in effetti erano in centro e non poteva essere differente.

Tornarono alla cattedrale, consumarono la cena e dopo aver conversato con qualche ospite, si scusarono e andarono a dormire, sicuramente il giorno dopo sarebbero stati meglio.  

 

Martha e Pedro avevano recuperato tutta l’energia e dopo colazione accettarono l’invito di un volontario della cattedrale per mostrare i punti più caratteristici e importanti di Medellin. Si misero nelle sue mani e visitarono piazza Botero dove si potevano ammirare le sculture dello sculture colombiano, la piazza era a lui dedicata, poi il parchi Berrio e delle Luci. Facendo un ampio giro arrivarono al Giardino Botanico dove ebbero l’opportunità di ammirare le centinaia di specie di orchidee, proseguendo per il parco Arvi e per concludere il mini giro a visitare la comuna 13, la favella più famosa del mondo, aggrappata alla collina che di notte poteva apparire un presepe. Un tempo era pericolosissima per la violenza scatenata dai narco trafficanti. Poi chiusa dalla giustizia l’epoca famigerata di Escobar, negli anni successivi divenne una delle destinazioni più popolari

Dal coprifuoco alle diciotto dei tempi passati, la vita della “comuna 13” nei decenni è migliorata di molto, raccontava il volontario, tanto che il trasporto tra favelle poteva ora avvenire con funivia e riferendosi alla comuna 13 addirittura con scale mobili, per non parlare dei bellissimi murales vanto dell’intera comunità.

Il giro fu meraviglioso, Martha e Pedro rimasero stupefatti di quanto visto in quella parte di Medellin e di questo ringraziarono il volontario.

Giunsero in tempo per il pranzo, il loro accompagnatore li consigliò an andare nel pomeriggio a visitare la collina di Nutibara dove una piccola comunità viveva in una specie di isola felice.

Dopo pranzo  si informarono per raggiungere Nutibara, un mezzo pubblico li avrebbe trasportati fino a cento metri dal cuore dell’abitato di Pueblito Paisà, ricostruzione di un antico villaggio indigeno. Giunsero a piedi nella piazzetta, sembrava di essere in un giardino ben curato circondato da edifici di due e tre piani, impeccabili. Su un lato, diversi piccoli stands per la vendita soprattutto di alimenti. Pedro consigliò la zia di fare due passi per visitare meglio e compiutamente quel borgo e scoprirono di essere in un punto alto di Medellin dal quale si potevano ammirare nei diversi punti del Pueblito bellissimi panorami. Dietro la chiesetta, trovarono diversi altri negozietti che vendevano prodotti per lo più di artigianato indigeno. Attirò l’attenzione diverse persone in fila davanti ad un piccolo emporio, chiesero che cosa stesse accadendo, risposero che erano in attesa di incontrare la “santa” che aveva facoltà esoteriche e soprattutto prevedeva il futuro con buoni risultati. Martha che aveva nel suo pensiero le sorti della nipote Gloria, malata mentale, mise il suo animo nelle sue braccia, chissà se poteva vedere un miglioramento nella sua salute. Giunse il suo turno, una giovane chiese di fare un’offerta, Martha mise nel cesto di vimini cinquemila cop (moneta colombiana), ricevette un pugno di foglie di coca che avrebbe dovuto masticare già da subito e scrivere su un biglietto il nome della persona cui era diretta la missione della “santa” che le fece cenno di avvicinarsi. Lei era seduta su un ampio cuscino circondata da candele accese di vario colore. La ragazza dette alla vidente il biglietto scritto da Martha, lo lesse, guardò con intensità il suo viso, rimase in meditazione con gli occhi chiusi per almeno due minuti, poi parlò sul caso supplicato. Gloria era in preda di una forza maligna che la teneva incatenata, per fortuna una persona vicina la assisteva con molto affetto e pazienza e questo la poteva salvare, occorreva molta pazienza e conforto dal Signore Iddio. Le medicine somministrate erano soltanto dei palliativi anche se non dovevano essere sospese per nessun motivo. La “santa” chiese di avvicinarsi, le mise le mani sulla spalla e le mormorò di recitare tutti i giorni il testo che la ragazza le avrebbe dato. Quello fu il massimo che poteva fare per lei, allora.

Martha uscì dall’emporio confortata dal nipote, aveva a cuore la vita e la salute di Gloria e qualsiasi possibilità offerta sentiva il bisogno di sfruttarla anche se i medici avevano emesso il loro verdetto categorico: non guarirà mai!

Tornarono in città, giunsero alla cattedrale, incontrarono il volontario che voleva sapere come fosse andata la visita al Nutibara e a quel delizioso luogo del Pueblito Paisà. Martha e Pedro concordarono sulla bellezza del posto complimentandosi per la sua buona idea. Andarono nella loro stanza, si riposarono un poco e attesero l’orario della cena.

 

Il giorno dopo Martha volle sostare un poco nella grande navata della cattedrale, desiderava raccogliersi e mettere insieme quanto avesse accumulato fin allora da quel viaggio. Il problema principale e costante era la  nipote Gloria alla quale stava donando la sua vita. Non voleva nulla in cambio, tutto lo aveva posto nell’immenso cuore di Gesù Cristo. Solo lui poteva indicare una via d’uscita da quel tormento, la fede le dava la serenità che un domani tutto sarebbe terminato.

Pedro le toccò la spalla, era il momento di andare a visitare il parco Bolivar.

A parte l’omaggio  al “libertador” Bolivar, il parco ben messo a nuovo non rappresentava nulla di eccezionale. Lo attraversarono, notarono diversi punti di controllo polizieschi e presero la via laterale che doveva portarli nelle strade movimentate vicine. Videro un bel chiosco di gelati, Martha chiese uno alla granadilha, Pedro alla guanabana., li trovarono molto buoni. Passeggiarono ancora per una ora e poi tornarono alla vicina cattedrale per il pranzo.

Mentre stavano consumando il pasto di riso, fagioli e carne di maiale, Martha propose di partire il giorno dopo, aveva l’impressione di sentirsi colpevole per quell’assenza da casa e lontana da Gloria anche se lei stava vivendo la presenza della famiglia di Pedro ma loro non erano più abituati a stare con la nipote e chissà quali problemi avrebbero  incontrato. Pedro a malincuore accettò l’idea della zia e nel pomeriggio decisero di andare a prenotare il viaggio in autobus per tornare a Tunja.

Andarono a comprare i biglietti sul tardi ma dovettero fare presto perché nuvoloni neri erano spinti da un forte vento, segnali che promettevano una brusco temporale e la  pioggia puntualmente cadde in gran quantità  sia pure per una mezz’ora. Riuscirono a trovare riparo sotto un piccolo porticato dal quale si intravvedeva la cattedrale.

Dopo cena, cercarono il diacono per metterlo al corrente della loro decisione di partire il giorno dopo, rimase sorpreso della loro brevissima permanenza ma rispettò quella decisione e non chiese il motivo di tale urgenza.

La mattina dopo colazione, un altro volontario li portò alla stazione degli autobus, la cittadina di Tunja li stava aspettando.

 

Arrivarono a casa dopo il tramonto, Pedro mise alla prova le raccomandazioni della indigena di Popayan sul come prevenire il mal d’auto, seguì con scrupolo i vari passaggi suggeriti e con molta sorpresa ne constatò l’ottima efficacia.

Juan, il fratello di Martha, non si aspettava un ritorno così rapido ma fu molto contento di stare con la sorella per almeno dieci giorni. Con sorpresa, Gloria con la presenza dello zio dopo qualche giorno dal suo arrivo cominciò a comportarsi meglio tanto da non preoccuparsi più del rischio di improvvise reazioni più volte riferite da Martha, probabilmente la loro presenza le aveva fatto bene. Ovviamente non parlò delle previsioni della indigena di Silvia che oltretutto le aveva lasciato un biglietto sigillato con la cera che non lo poteva aprire fino a quando Juan non sarebbe partito. Ricordò l’altro messaggio dell’indigena di Medellin, lo lesse con attenzione, era una preghiera – supplica da inviare alle divinità ancestrali del suo popolo che ancora si sentiva legato alla forte tradizione del popolo della foresta..

Il giorno stesso che Juan e famiglia lasciarono Tunja, Martha aprì il foglio protetto da cera e ne lesse il contenuto. Vi trovò scritto e raccomandato di recitare il Padre Nostro mentre accendeva candele bianche, lo doveva fare tre volte al giorno, per al massimo due settimane. Sulla candela dovevano essere incisi oltre al nome di Gloria anche dei simboli che richiamavano le divinità protettive degli indigeni di vincere le malattie importanti e inguaribili..

Allo scadere della seconda settimana, Gloria riprese le energie usuali di un corpo in buona salute e la situazione si stabilizzò per qualche mese. Al ritorno dei primi sintomi della schizofrenia  avrebbe dovuto ripetere il ciclo delle candele.  

Le forti crisi non sparirono ma la loro frequenza si rallentò parecchio.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il potere del pendolo

 

NEL CUORE DELLE ALPI MARITTIME

 

Giovanni e Rosa erano rientrati dal Venezuela dopo un’assenza di oltre quattro mesi dalla loro cittadina ai piedi delle Alpi Marittime. Il tempo ne era passato da quando il nipote li aveva invitati a trascorrere un po' di tempo nella regione di Rosario a circa cinquecento chilometri dalla capitale Caracas. Dopo il decesso del fratello, Giovanni era riuscito ad accantonare un po' di soldi, diciamo abbastanza soldi, per andare a visitare il luogo dove visse suo fratello Baldo partito in cerca di fortuna nel dopoguerra, nel 1952.

 

 

Dalle poche lettere si sapeva che negli anni aveva raggiunto un certo benessere e invitò più volte il fratello Giovanni a venirlo a trovare e rinsaldare il vincolo familiare non proprio intenso, soprattutto a causa della situazione sociale ed economica della fine dell’ultima guerra quando ebbero la tristezza di trovarsi in una grande povertà per la scarsità di beni alimentari e mancanza di lavoro. Baldo ebbe il coraggio di lasciare tutto e con i pochi soldi che aveva accantonato con lavori frugali, partì da solo dal porto di Genova con un mercantile zeppo di emigrati, molti diretti al porto di La Guaira vicino a Caracas  ma altrettanti che avrebbero poi proseguito per la zona centrale di quello Stato. Il primo decennio fu molto difficile tra il problema della lingua spagnola e la convivenza con i lavoratori locali che, per la verità, non vedevano di buon occhio i miserabili italiani che erano arrivati per rubare il lavoro a loro. Poi le cose migliorarono, i venezuelani compresero che quei migranti non volevano rubare niente a nessuno, le acque si calmarono e finalmente Baldo potette conquistare la luce di un buon livello economico come capo squadra della cooperativa del porto di La Guaira

Furono bei ricordi e soprattutto il rapporto con il nipote Camillo, sposato con una intraprendente venezuelana, rincuorò i sentimenti di affetto e promesse di invito a trascorrere un po' di tempo in quella cittadina nel cuore delle montagne piemontesi.

Il pensiero di loro era forte ma bisognava continuare la vita e affrontare il clima molto differente da quello di Rosario, il vento gelido che proveniva dalle montagne piemontesi fischiava nei vicoli stretti e anche in casa, attraverso le finestre di legno risalenti a quant’anni indietro.

Aprirono le valigie e misero a posto tutto l’abbigliamento nel guardaroba e le specialità alimentari, sfuggite al controllo dogana dell’aeroporto, di cui loro erano rimasti ghiotti.

Giovanni prese i documenti di viaggio inclusi i passaporti per metterli al sicuro nella piccola cassaforte in salone protetta da un quadro non interessante a prima vista. Cercò la chiave in ogni luogo, nella scrivania, nel maggiolino, nella libreria, per disperazione anche nei comodini della camera da letto, niente da fare, la chiave non voleva uscire fuori. Era importante collocare i passaporti in protezione ma soprattutto prendere un migliaio di euro dalla somma accantonata nella cassaforte  per affrontare le spese accumulate durante la loro assenza.  La moglie Rosa non ci pensò due volte e spinse il marito a chiamare un fabbro come ultima soluzione. Quella idea voleva significare di affrontare un lavoro complesso perché il fabbro avrebbe dovuto estrarre dalla parete l’intera cassaforte e poi aprirla con la fiamma ossidrica per renderla in definitiva inutilizzabile ma alla fine completamente spalancata.

Giovanni chiese una pausa e mise da parte momentaneamente l’intervento del fabbro.

Il giorno dopo ritenette di avere la giusta soluzione e ne parlò con la sua Rosa, dovevano rivolgersi ad un noto radiestesista che abitava in una cittadina a trenta chilometri da loro, famosa oltretutto storicamente per dei fatti incresciosi accaduti nel XVI secolo dove i domenicani ebbero il compito di bruciare sul rogo le donne che avessero un minimo principio di anti religioso, denominate con troppo facilità come streghe. In quel secolo ci fù una bella “arrostita” con la partecipazione dell’intero paese costretto a vedere cosa significava andare contro la Chiesa.

L’ispirato dalle scienze occulte si chiamava Odon, più noto nella zona come Odin. Riuscirono a rintracciare il numero di telefono e fissarono un consulto per il dopo domani. Dovevano nel frattempo disegnare su ciascun foglio formato A4 i locali della loro casa,  con la disposizione dei relativi mobili, per cui a cominciare dalla cucina, disegnare l’angolo cottura, il frigo, i mobiletti di appoggio e così via per gli altri locali, poi il corridoio, il salone, il bagno e la camera da letto. Senza queste mappe, il  pendolo di Odin non avrebbe potuto ricevere la richiesta. Era quindi molto importante presentarsi con quei documenti anche se non perfettamente disegnati.

Con l’auto riuscirono a parcheggiare un po' fuori dalla cittadina perché era vietata la circolazione, i vicoli erano ultra stretti e anche volendo insistere non c’era proprio spazio.

Dopo dieci minuti di camminata, giunsero al palazzetto di due piani, al campanello un solo nome, Odon. Entrarono nell’ampio studio, il maestro del pendolo come era nominato e riconosciuto nella zona era seduto dietro la scrivania antica intarsiata, li stava già aspettando. Una luce diffusa a causa soprattutto dagli edifici attorno all’edificio che ostacolavano i raggi del sole. Solo nelle ore centrali della giornata il sole riusciva a creare un varco. Alle pareti dei grandi posters di schemi più  utilizzati per le previsioni con il pendolo.

Giovanni e Rosa erano un po' agitati per mettere nelle mani di un estraneo il loro problema ma con la tranquillità di esposizione di Odon si rilassarono e cominciarono ad esporre la loro necessità di rintracciare nella loro casa la chiave della piccola cassaforte e anche la seconda chiave del telecomando dell’auto che Rosa non ricordava più dove l’avesse messa. Consegnarono al maestro radiestesista le mappe dell’appartamento in fogli A4.

Odon osservò con molta attenzione la disposizione dei mobili in ogni foglio, accese tre candele di cera già pronte sulla scrivania, chiese di concentrarsi sulle richieste formulate e di recitare una preghiera, dopo qualche minuto sollevò il pendolo di ametista con la catenina d’argento stretta tra l’indice e il pollice.

Si iniziò con la ricerca della chiave della cassaforte.

Intanto si era sollevato un vento forte che con dagli spifferi delle finestre un po' vecchiotte, come succedeva a casa loro, emetteva un sibilo leggero alternato a momenti di calma. 

Si incominciò con la cucina, il pendolo rimase fermo, oscillò un poco ma tornò ad essere immobile.

Odon prese un altro foglio quello del corridoio. Altra concentrazione ma nessun mobile e neanche il maggiolino sede possibile della chiave inviò un segnale e anche in questo caso il pendolo non reagì. Il terzo foglio rappresentava la sala contenente la libreria, la scrivania e il rack degli apparecchi di elettronica. Il maestro diresse il pendolo sull’arredamento cominciando da quello più piccolo la scrivania. Piccola oscillazione ma nessun indice di risposta. Il mobile dell’amplificatore, giradischi, decoder e altro, nel movimento confuso del pendolo si pensò che forse avesse trovato il punto in cui cercare la chiave. Niente, il pendolo si fermò. Non restava altro che puntare sulla libreria. Il quel momento Giovanni e Rosa apparivano un po' sfiduciati ma oramai erano nelle mani del maestro radiestesista e seguirono la sua espressione e soprattutto fissando quel pendolo. La libreria aveva due ante superiori e altre due inferiori, di solida noce. Con il pendolo stretto tra l’indice e il pollice, attesero che cominciasse a muoversi. Il movimento partì alla grande, prima circolare abbastanza ampio e dopo verticale, in brevi attimi quel movimento si marcò con intensità, a quel punto Odon fermò il pendolo e lo baciò, avevano trovato il primo luogo di ricerca. Tuttavia siccome la libreria aveva un piano superiore e inferiore, bisognava concentrarsi su quei due luoghi e incominciarono da quello inferiore, molto più probabile perché a portata di mano. Odon puntò il pendolo al piano inferiore, al centro dei due sportelli.

Concentrazione massima e il pendolo cominciò a oscillare nel movimento circolatorio per poi muoversi in maniera verticale verso sinistra, insistendo in quella direzione. Il pendolo aveva indicato il luogo giusto dove era stata depositata la chiave della cassaforte.

La prima richiesta era stata risolta.

Una breve pausa per un caffè che il maestro si adoperò a preparare e portare alla scrivania.

Pochi commenti favorevoli per non allontanare la concentrazione.

Ricominciarono a porre sotto il pendolo la mappa di altri locali e cominciarono dalla camera da letto con due armadi guardaroba, due comodini e un settimino.

Le candele erano consumate a metà. Odon riprese il pendolo per la catenina d’argento e lo puntò verso il primo armadio vicino alla porta. Gira e rigira, movimento circolare ed infine quello verticale. Si bloccò leggermente e poi si animò verticalmente verso la parte bassa dell’armadio dove erano appesi gli indumenti usati più spesso da Rosa. Era in quel luogo dell’armadio che avrebbero dovuto cercare il secondo telecomando dell’auto. Non c’erano dubbi, Il pendolo affermava sempre la verità, nella vita professionale di Odon non ci furono indicazioni errate da parte del suo pendolo, dovevano quindi stare tranquilli e praticare la ricerca a casa loro con serenità e un po' di pazienza.

Pagarono quanto dovuto e il maestro li accompagnò alla porta. Ora Giovanni e sua moglie uscirono dallo studio rincuorati e soddisfatti, avevano trovato il professionista esperto. Non rimaneva altro che avviare le ricerche una volta rientrati a casa.

Come spesso accade dopo qualche ora di tensione e soprattutto per la vicinanza dell’ora di pranzo, Giovanni propose di andare ad un ristorante che attirava molti clienti tra il borgo antico aggrappato alla montagna con vista alle Alpi Marittime e alla loro cittadina. 

Scelsero come primo piatto agnolotti del Plin al burro e salvia, secondo brasato al barolo, un budino Bònet, il tutto accompagnato dal vino Nebbiolo. Dovevano omaggiare il buon risultato con il radiestesista con la buona cucina delle Langhe.

Passeggiarono un po' nelle vie strette, presero un buon caffè e poi in auto presero la strada del ritorno.

Una volta a casa, era già quasi sera, rimandarono la ricerca delle chiavi al giorno dopo, il brasato molto buono gironzolava nello stomaco e ricorsero all’aiuto del bicarbonato.

Il giorno dopo cominciarono le ricerche iniziando dalla libreria. Non era una cosa semplice cercare in quello scomparto in basso a sinistra per la tanta roba e oggetti accumulati nel tempo. Giovanni cercò e ricercò ma la quantità di cose impediva il risultato. Non si scoraggiò. Fece una pausa mentre Rosa spingeva il marito a telefonare al maestro Odon. Giovanni non lo volle fare e in un attimo si accese la lampadina della memoria, doveva avere nel maggiolino un piccolo cercatore di metalli, il metal sensor, che usò tempo addietro per individuare dove passavano i fili elettrici e telefonici nelle pareti. Controllò il suo funzionamento, la batteria era in buono stato e cominciò a cercare la famosa chiave. Dopo pochi attimi si sentì il segnale tipico dell’intercettazione del metallo. Allungò la mano in quel punto preciso e trovò la chiave. L’entusiasmo era alle stelle voleva già congratularsi con il maestro Odon ma la moglie lo fermò, bisognava attendere il risultato della ricerca del secondo telecomando dell’auto.

Andarono nella camera da letto e con l’aiuto del cercatore di metalli mossero il braccio verso tutti gli angoli e ripiani, nessun segnale veniva avvertito, sicuramente era in quella porzione dell’armadio. Ripetettero la ricerca più volte ma senza risultato. Decisero di prendersi una pausa di qualche giorno.

L’indomani il tempo era cambiato alla barba delle previsioni, la temperatura scesa di ben otto gradi, per uscire di casa bisognava per forza indossare il piumino e così Rosa si preparò all’uscita per andare a far spesa. Mise le mani nella tasca del piumino e con sorpresa, molta sorpresa, trovò il secondo telecomando dell’auto che era nascosto sotto un camicione e quindi sfuggito al metal sensor. Sembrò aver vinto la battaglia contro gli austriaci ed insieme gioirono fino a telefonare al maestro Odon per informarlo che le chiavi erano state trovate nel luogo indicato dal suo pendolo favoloso e lo ringraziarono.      

 

 


 

 

 

 

BARCELLONA



Daniel a Barcellona era arroccato nei pressi di Monserrat dopo essere partito ascoltando i pareri di conoscenti sulla facilità di trovare un ottimo posto di lavoro in un grande albergo di 4 stelle. Aveva ringraziato molto suo zio che si era prestato per questa grande opportunità oltre ad avergli trovato un mini appartamento nel quartiere gotico, vicino  alla chiesa di Santa Maria del Mar.

 

 

Ogni mattina raggiungeva las Ramblas che era il grande viale alberato famoso in tutta Europa, si fermava a prendere un caffè e poi proseguiva verso la direzione della Sagrada Familia, poi girava nella prima strada a sinistra per andare in quel suo grande hotel 4 stelle. Appassionato di Barcellona, gli sembrava di essere a casa sua in quella città soprattutto quando di pomeriggio e sera poteva passeggiare lungo il viale alberato, fermarsi nella sala D'Ambros in compagnia dei suoi amici e conoscenti, tutti quanti amanti del passeggio di sera e notte, sensazione bellissima in quel viale pieno di fascino della Ramblas.

Certo nel quartiere gotico si respirava la  magnifica antichità, valeva la pena osservare quelle meraviglie,  tutto si poteva osservare in armonia attraversando le piazze delle chiese e viuzze per arrivare alla piazza del Re e alla famosa cattedrale. La vita nel quartiere gotico non era molto frenetica rispetto a quello che poteva accadere nella Ramblas ma il costo degli appartamentini era abbordabile e Daniel non si preoccupava tanto di quello, tanto era giovane e con quattro passi poteva raggiungere il famoso viale alberato e successivamente il suo luogo di lavoro nel  grande hotel 4 stelle. Gli piaceva molto quel lavoro di assistente al capo del ricevimento degli ospiti, di conseguenza aveva un ruolo di prestigio in quanto era continuamente a contatto con turisti spagnoli e anche europei, qualcuno proveniente da oltremare.  L’attaccamento al lavoro era notevole, Daniel  proveniva da un paesino della campagna di Montserrat, era abituato a fare i lavori di ogni tipo anche se probabilmente non gli spettavano. La soddisfazione di essere in un buon ambiente di lavoro gli faceva superare quelle difficoltà e soprattutto le invidie dei suoi colleghi che pretendevano da lui l’impegno di mantenere le mansioni cui era stato assunto e non qualsiasi altra proposta indicato dall’hotel, anche di mansione inferiore. Daniel non dava retta e andava per la sua strada sicuro di praticare il lavoro nel modo migliore per poter soprattutto creare un ottimo rapporto con i colleghi e soprattutto dare maggiore garanzia alla sicurezza del suo posto di lavoro. Era molto giovane e non aveva ancora accettato l'idea di mettersi con una ragazza, gli piaceva stare con le ragazze ma non credeva che era il momento ideale per creare un rapporto stabile e  continuativo. Gli bastava uscire con amici nel fine settimana per andare verso la Costa Brava, nella cittadina di Calella de la Costa. Cambiare aria vivendo tutta la settimana nel Barrio Gotico, nel cuore della Barcellona antica, fare un bel bagno nel mare azzurro di Calella non gli dispiaceva affatto, poi  la vicinanza di una ragazza lo metteva di buona armonia. Nel suo hotel vicino alla Sagrada Familia, osservava con molta attenzione una collega però non voleva in alcun modo che il loro frequentarsi e la loro simpatia potesse sfociare in una relazione importante. Daniel non era ancora pronto per questo impegno. Il giorno prima era riuscito a parlare più a lungo con la ragazza che stava “sequestrando” il suo cuore, era riuscito anche a prendere un mezzo impegno per poter andare con lei a Carelia de la Costa. Daniel era molto interessato a vivere in quella cittadina sul mare, cercava di tutto per trovare un  compagno per andarci insieme per motivi economici, con la divisione delle spese la situazione poteva presentarsi molto diversa. Quella volta era riuscito a coinvolgere nel suo desiderio anche Margherita che non era proprio di Barcellona ma proveniva da un paesino distante circa quaranta chilometri. Margherita era una ragazza sensibile, molto interessata agli oroscopi di contenuti approfonditi, riteneva che quella scienza fosse una delle opzioni più importanti della vita delle persone. Daniel per la verità non era molto convinto di quella  filosofia, riteneva che di cialtroni ce ne fossero tanti, soprattutto tutti quelli che parlavano in tv o addirittura nella pubblicità che appariva soprattutto nei settimanali, non dava loro molto affidamento. Margarita era attenta certo, non cadeva nella trappola dei tanti videnti che si proclamavano in contatto con gli spiriti e molto spesso erano soltanto dei sistemi per agevolare il loro incasso di migliaia di euro. Tutto ciò però non allontanavano dalla sua certezza sulla validità dell'astrologia, quella vera.  Poteva benissimo coinvolgere i più sensibili e affrontare quello che era il destino, molto spesso di fronte al quale si poteva cadere come una pera matura, senza nessuna certezza su quello che potesse accadere. Il desiderio di conoscere cosa potesse accadere nella vita, fra un anno, fra cinque o dieci anni coinvolgeva Margherita ad approfondire i vari aspetti dell'astrologia. Daniel cercava di avere un incontro con lei. Approfittando di quel interesse Daniel, dopo una certa riflessione, alla fine acconsentì a essere vicino alle tesi filosofiche e avendo trovato un punto di incontro, erano finalmente giunti ad una vicinanza che non poteva essere ancora definita affetto però erano a un buon grado di coinvolgimento. In effetti se l’astrologia piaceva molto a tutti e due, quello era già un primo passo che poteva condurre ad una vita d'insieme.


Sabato mattina alle ore sette Daniel e Margherita si trovarono alla stazione ferroviaria per prendere il treno per Calella de la Costa,  un'ora e qualche minuto per arrivarci. Quelle giornate erano molto belle e quindi potevano sfruttare il fine settimana al mare. Ovviamente quel litorale era abbastanza affollato nella fine di giugno e di conseguenza figurarsi in 'estate.  Ci fu un leggero ritardo ma alla fine arrivarono alla stazione di Calella. L’albergo era pochi minuti a piedi dalla stazione, gradualmente con i loro trolleys si avviarono per prendere possesso delle stanze, constatarono che. era praticamente tra la stazione e la spiaggia. Arrivarono in tempo utile in albergo, un po' prima del previsto. Il personale di servizio non fece obiezioni e poterono prendere la stanza prima nell'orario stabilito che normalmente erano le dodici. Andarono in camera, si misero i costumi in maniera tale da poter sfruttare la giornata di sole e dirigersi verso la spiaggia,  dopo aver fatto colazione direttamente in hotel. La spiaggia era abbastanza larga,  preferirono non prendere né sdraio né l’ombrellone, avevano proprio bisogno di una carica di sole perché durante le settimane potevano vederlo solo la mattina e molto poco la sera, al termine della giornata lavorativa. Arrivarono alla spiaggia intorno alle dieci e trenta, si sdraiarono al sole come due lucertoloni e parola dopo parola cominciarono a parlare di loro stessi, della loro vita quotidiana, del futuro che normalmente i giovani avevano nella mente, infinite possibilità e probabilità di correre  incontro ad un futuro meraviglioso. Si divertirono nell'acqua semi tiepida del mare di Calella poi a fare il pieno di stomaco con un bel hamburger saporito e molto gustoso accompagnato da succhi di frutta della zona e poi caddero nell’abbraccio del sole. Si risvegliarono prossimi al tramonto.

Prima di ritornare in hotel, un altro bagno salutare stettero in acqua una buona oretta, si divertirono tanto, in effetti era la prima volta che stavano insieme a Calella,  città molto carina e molto attrezzata da un punto di vista balneare. Un po' prima del tramonto, radunarono le loro cose e si diressero verso l'hotel, si fecero una bella doccia per rigenerare il corpo e soprattutto la pelle che era abbastanza bollente. La sera scelsero di andare in un locale caratteristico dove veniva preparato una serie di salumi casarecci e tutti provenienti dalle campagne circostanti, in particolare il famoso prosciutto di cinghiale il cui profumo si sentiva appena entrati nel locale. Scelsero un posto un po' appartato, ordinarono innanzitutto quel panino imbottito di fette di insaccati di cinghiale e una bella dose di sangrìa, in quei locali non si poteva fare a meno di quella bevanda molto ricercata e gustosa. Tra una pausa e l'altra parlarono di loro,  della loro vita che aveva proprio bisogno di una sterzata per poter rinsaldare l'interesse sostanziale verso i sentimenti e soprattutto il fatto di poter stare soltanto con il pensiero profondo perché molte volte il fatto di poter pensare ad una bella relazione l’energia sorgeva a sufficienza per dare impulso alla vita quotidiana. Terminati i vari affettati e vari bicchieroni di sangria, uscirono dal locale e camminarono a piedi sempre in direzione verso il mare dove l'aria soffiava sui loro visi, era un invito di ritornare in spiaggia, il loro albergo poteva attendere. Lungo il marciapiede che accompagnava la spiaggia, quattro ragazzi attirarono la loro attenzione. Approfittarono di quella opportunità e insieme parlarono di tante cose e di tanti progetti, si sa i ragazzi avevano sempre grandi progetti accompagnati di tanta curiosità. In particolare c'era un ragazzo che raccontava un fatto che gli era accaduto giorni prima. Per caso aveva incontrato una zingara cartomante che nell’osservare il suo sguardo e i suoi occhi, gli aveva prognosticato dei problemi di salute prossimi e che avrebbe dovuto assolutamente farsi visitare da un medico. Al momento non le credette, non accusava il minimo disturbo e nonostante quello la zingara riprese e ribadì al ragazzo: “attenzione alla tua salute, vai da un medico, hai bisogno di un controllo generale”.

A quel punto Margherita che era una appassionata studiosa di astrologia, chiese di poter intervenire in quella situazione, consapevole dell’importanza di affrontare  soprattutto un caso di salute. Se lui era del  parere, si poteva confrontare e controllare quello che la zingara, in pochi attimi, aveva visto nell’aurea di quel ragazzo , in quel modo poteva, in sintesi, rifiutare o annullare quello che lei aveva previsto e diagnosticato. Il ragazzo si convinse e fornì a Margherita i dati necessari per elaborare una carta astrale. Nei giorni successivi lei si sarebbe fatta viva con quel ragazzo e a quel punto era necessario avere il numero di cellulare. In quel momento non poteva fornire una risposta esauriente. I suoi studi prevedevano l'analisi approfondita della sua carta astrale che doveva essere redatta in relazione a dei dadi specifici, di conseguenza aveva bisogno di qualche giorno per poter analizzare completamente e dare una risposta attendibile.

Gli altri ragazzi cambiarono discorso per non turbare eccessivamente la profezia della zingara, parlarono di cose più allegre e via via arrivando verso l'una, ognuno prese la direzione del proprio albergo. Anche Daniel e Margherita si diressero verso il loro albergo.

Daniel aveva prenotato una sola camera quindi tutte e due dovevano per forza occupare la stessa sia pure in due letti separati. Era tanta la grande agitazione dello stare insieme,  c'era un rispetto tra di loro che aveva bisogno di essere mantenuto. Tuttavia propose a Margherita quella opportunità, l’hotel era pieno, senza perdersi di animo Margarita accettò quell'invito e salirono alla camera del terzo piano.

Uno dopo l'altro si tolsero gli indumenti. Rimasero con gli intimi, uno di fronte all'altra, si guardarono, si adocchiarono. Gradualmente Margarita si avvicinò a lui, lo accarezzò dal viso e poi più giù. La stessa cosa fece anche Daniele. Non andarono oltre, preferirono frenare le loro voglie nonostante dovessero dormire in un solo letto, praticamente quasi incollati. Passarono la notte come fossero un corpo solo. Di mattina presto si svegliarono, probabilmente turbati  da sogni appassionati di due innamorati che si erano persi nell’incertezza di un  grande desiderio d’amore. Ancora una volta si fissarono negli occhi, il grande desiderio prese il sopravvento, fecero quello che la notte precedente avevano deciso di non fare per il temuto rispetto reciproco. Le braccia si allargarono e si buttarono in una stretta da lasciare senza fiato, poi il letto li accolse,  lui sotto lei sopra, seguirono i dettami della passione dei loro vent'anni che fremevano nei loro corpi insaziabili. Margherita era nel suo universo di pianeti che giravano velocemente su un piccolo astro che era al centro dal quale sbocciò Daniel sorridente. D’un tratto giunse una tempesta siderale che raffreddò nella mente il fuoco dei loro corpi. La voglia d’amore era tanta che spostarono velocemente dalla mente quella tempesta e ripresero le effusioni fino a quando l’inserviente dell’hotel bussò alla porta.


La mattina era arrivata molto presto,  Daniel e Margherita si trovarono invasi dai raggi del sole che filtravano attraverso la finestra. Si alzarono contro voglia, guardarono l'orologio erano già le nove e quarantacinque, a fine giugno il sole era sempre molto forte. Daniel cercò nella doccia rinfrescante il sollievo. Al sentire il rumore dell'acqua che cadeva fragorosamente anche Margarita entrò sotto la grande cipolla, l'acqua sgorgava in maniera copiosa. ognuno con la piccola boccetta di shampoo che si versarono interamente addosso. In pochissimi istanti i loro corpi furono coperti da una nuvola di schiuma profumata, si massaggiarono delicatamente e lungamente. Poi approfittando del getto fortissimo della doccia, si liberarono dalla schiuma e rinfrescati uscirono dalla doccia, più in forma che mai. Prepararono  i trolley e scesero al locale ristorante dell’hotel, a mezzogiorno avrebbero dovuto lasciare la stanza. Un’abbondante colazione ci voleva proprio, il buffet proponeva diverse scelte, era pieno di ogni ben di dio, frutta in abbondanza, torte di vario tipo e poi caffè, the di varie provenienza, latte e succo di frutta. Siccome avevano davanti un'altra bella giornata cercarono di mangiare il più possibile e poi organizzarsi per visitare la seconda tappa della giornata, una spiaggia circondata da colline con un’ acqua limpidissima, poche persone sotto gli ombrelloni. Era proprio la spiaggia ideale per concludere il fine settimana. Chiesero informazioni, quella spiaggia che si chiamava “Luna argentea” era a circa un quarto d'ora di autobus, vicino al camping. Da Calella presero l'autobus e arrivarono dopo una ventina di minuti. A piedi scesero verso quella spiaggetta che era come l'isola del tesoro per la difficoltà di accedervi. Una sabbia bianchissima e un'acqua turchina trasparente che non faceva altro che invitare per un bagno salutare e rinfrescante. Iniziarono con tuffarsi in quelle acque, fu Margherita che una volta in acqua guizzava come un pesce. Daniel anche fece un bel tuffo in quelle acque profonde nella piccola baia e tra una nuotata e l'altra portarono la bellezza di quelle acque e soprattutto di quel mare limpidissimo che sembrava un cielo pieno di stelle per i continui raggi del sole provocavano.

Verso mezzogiorno videro arrivare un carretto pieno di frutta, spremute e soprattutto panini farciti con ogni ingrediente stuzzichevole. Senza abbandonare la spiaggia dettero una occhiata lenta su quelle prelibatezze si sdraiarono. Sotto quel cielo di un azzurro intenso, fecero dei progetti a breve distanza da quella giornata e cercarono di organizzare per i giorni futuri appuntamenti che potevano garantire loro libertà di potersi incontrare ancora. Anche perché erano oramai entusiasti di vedersi nel luogo di lavoro, almeno così sperava Daniel, essersi conosciuti a fondo in quel fine settimana, costituiva una nuova base per i loro incontri occasionali nell’hotel. Certamente non era cosa fattibile fermarsi per parlare e incontrarsi, scambiarsi dei pareri su ogni argomento. Ora il loro rapporto  era molto intenso e non c'era possibilità di creare spesso pause ne non al di fuori di quelle consentite contrattualmente.

Quel pomeriggio presero in fretta l’autobus e ritornarono al loro albergo. Appena messoci piede, entrarono gli amici che avevano visto il giorno prima e tra i quali il ragazzo che era stato destinatario di possibili malefici da parte della zingara cartomante. Fu un bell'incontro, con cordialità volle conversare con lui, si chiamava Marcos,   doveva attendere qualche giorno per la risposta astrologica di cui Margherita si era promessa per valutare meglio il presagio della zingara nella speranza che avesse sbagliato completamente. Si salutarono con simpatia e proseguì per la sua strada. Daniel e Margherita andarono verso la stazione, il treno per Barcellona partiva ogni ora, probabilmente sempre pieno di viaggiatori e di amanti del mare che approfittando del fine settimana si distribuivano lungo la Costa Brava e soprattutto su Calella che era una delle prime località marittime della Costa Brava.
Arrivati a Barcellona, Daniel con un Uber accompagnò prima Margherita che abitava dalla parte opposta dove lui aveva il mini appartamento. Dopo essersi salutati e abbracciati calorosamente,  proseguì verso il suo appartamentino in prossimità della basilica di Santa Maria del Mar nel quartiere gotico dove la cattedrale imperava maestosa. La notte di Daniel non fu tranquilla, ogni tanto si svegliava, riprendeva sonno e il sogno continuava con la visione tragica di non vedere più la sua Margherita ma un'altra ragazza di aspetto terrificante che lo turbava continuamente. Dopo quel sogno esasperato, arrivò finalmente il mattino,  iniziava un'altra settimana di lavoro, solita vita, usciva dal suo mini appartamento e in prossimità del palazzo c'era un bar dove era possibile fare un'ottima colazione. Poi attraversava la Ramblas e arrivava al suo albergo di cinque stelle. Lo aspettava una settimana di lavoro intenso, soprattutto a contatto con i turisti.  

 

Giorni dopo Margherita telefonò a Marcos per comunicargli quanto aveva dedotto dall’analisi della sua  carta astrale venendo a concludere il suggerimento di fare degli esami clinici del sangue, inclusi transaminasi e trigliceridi. Certi aspetti planetari spingevano nella direzione che bisognava concentrarsi sull’addome superiore in particolare sul fegato. Bisognava avere una conferma clinica che detto organo non fosse stato attaccato da qualche virus oppure alterato da una alimentazione incontrollata. Era il modo più corretto per giungere ad un risultato certo. Pensandoci bene, non si sapeva bene come, quale energia avesse usato, quella zingara aveva visto giusto nell’anticipare un controllo fisico prima che fosse tardi. Marcos avrebbe dovuto sottoporsi al prelievo di sangue, prescritto dal suo medico curante. Quando il medico avrebbe visto i risultati e dedotta una conclusione, Margherita gli chiedeva di essere informata, per aggiornare la sua rubrica di oroscopi. Dopo circa 10 giorni Marcos telefonò a Margherita e le disse che le sue previsioni erano state veritiere e che dopo ulteriori approfondimenti fu diagnosticata l’epatite C. Quindi correttissima la previsione di ricercare nell’addome superiore gli organi che avrebbero potuto essere coinvolti verso l’epatite, ancora più seria quella di tipo C. In quel momento non avrebbe dovuto preoccuparsi, tuttavia seguendo il consiglio medico prepararsi ad una terapia iniziale farmacologica in maniera da tenere sotto controllo  la sua evoluzione, in caso contrario sarebbe andata avanti,  nel silenzio più assoluto in assenza di sintomi, verso una graduale e temibile insufficienza epatica che poteva condurre inesorabilmente verso la temibile cirrosi.

Gli lanciò un abbraccio e l’augurio di conseguire il controllo di quella patologia per il futuro. Margherita concluse la conversazione sottolineando quello che era stato il frutto e la conclusione del suo studio ma soprattutto aver preso atto del consiglio espresso con semplicità dalla zingara cartomante.  Come dire che per Margherita la grande energia che circonda l’universo non è sempre diretta e gestita esclusivamente  da persone conosciute come illuminate, anche la gente semplice poteva attivare quel talento di essere canale di detta energia che era nello spirito  di ogni essere umano.   


 


 

 

 

NEPAL



Mario e Paolo erano diventati amici dopo aver realizzato l'anno precedente un interessante viaggio nell'America Centrale. I due erano impegati impiegati nel settore bancario e avevano stretto amicizia proprio in quel viaggio molto coinvolgente per la cultura antica e che poteva essere  apprezzata  in molti angoli del mondo. Il Cral aveva in calendario  altri viaggi  ma solo il centro America e aveva attirato il loro interesse, si trovarono quindi uno a fianco dell'altro e da quel momento era sfociato quel rapporto di amicizia . In quell’anno successivo avevano pensato di viaggiare  dalla parte opposta e quando quel viaggio nella mente si concretizzè nel depliant del Cral, ci fu l’'intesa per il Nepal, nazione che valutarono  molto interessante soprattutto per il meraviglioso paesaggio che la natura aveva regalato con qulle magnifiche montagne perennemente innevate. La varietà di religioni e una moltitudine di fedeli che frequentavano numerosissimi templi dedicati a svariate divinità era senza dubbio un altro centro di interesse turistico. Convivevano jainisti e induisti oltre ai buddisti. Quello che veniva messo in primo piano era la visita di una cittadina dalla quale si poteva ammirare la catena dell’Himalaya con il suo tulipano, il monte Everest che svettava oltre gli ottomila metri.

L’agenzia distribuì il depliant agli interessati del viaggio, per il soggiorno venne deciso un hotel nella zona centrale di Kathmandu, nelle vicinanze del Door Bar dove sorgeva il famoso complesso reale costituito da palazzi e Templi che davano vita al museo.
L'aereo si stava preparando all'atterraggio e soltanto quando la pista apparve a duemila metri tirarono un respiro di sollievo. Erano arrivati sani e salvi a Kathmandu. Le solite formalità all'ingresso di un paese straniero, poi un taxi che portava nel centro distante all'incirca sette chilometri e infine  all'albergo prenotato. Le dodici ore di viaggio  si fecero sentire. La prima cosa che fecero raggiunta la stanza fu quella di fare una bella doccia calda. Così speravano ma per bagnarsi dovettero attendere diversi minuti come se l’acqua dovesse salire a forza dai sotterranei.

Si prepararono per una breve passeggiata per saggiare le vie del centro,  molti i bar e soprattutto la voglia di recarsi alla famosa piazza che ospitavano le grandi manifestazioni politiche e religiose. Successivamente decisero di cercare qualche locale per pranzare. Sì orientarono dalle indicazioni ricevute dall’hotel e si diressero verso un ristorante di buona qualità. Entrarono e scelsero un tavolo che permetteva la vista della strada. Davanti alla loro incertezza, il cameriere consigliò il piatto che era in bella mostra nel menu illustrato. Si trattava di un preparato tipico nepalese che consisteva in una zuppa di lenticchie con riso e verdura al curry. In un piatto a parte, c'era l'opzione di poter aggiungere yogurt e una frittella di lenticchie. Si fecero convincere dal cameriere e ordinarono. Qualche dubbio sull’eventuale rischio che potesse provocare disturbi di digestione, l’appetito era forte, mangiarono con gusto e anche il frullato di frutta sembrò  molto buono. Notarono che non ebbero altra scelta che mangiare con le mani, dopo essersi lavate le mani in un recipiente pieno d’acqua che era posto lì in un angolo del tavolo,  di posate non c’era traccia. Il cameriere indicò di usare solo la mano sinistra per formare delle palline di riso, mangiarono con gusto la zuppa di cereali. Pagarono il conto all'incirca l’equivalente di sei euro.

Siccome il menù non era molto leggibile anche sui prezzi sembrò di avere speso molto poco. Nella via principale si incontravano una varietà di negozi di artigianato,  di abbigliamento,  frutta e verdura e tanti altri alimenti caratteristici di quella città. Gironzolarono qua e là, su e giù per carpire qualche cosa di interessante , la curiosità era tanta. D'altro canto erano al primo giorno di visita di Kathmandu. La sera giunse presto e anche la notte ma quella volta decisero di andare a cena nel loro hotel, sperando di non dover più usare le mani in luogo delle posate e per quello chiarirono molto bene di volerle usare e ordinare il piatto giusto. La scelta fu per il piatto “momo”, in pratica dei ravioli di pasta di riso ripieni di carne di bufala, l'unica disponibile in quanto la carne di mucca era considerata intoccabile perché sacra. Un buon piatto accompagnato di frullato di frutta,  saziò i due turisti viaggiatori.

Salirono in camera e con sorpresa la trovarono illuminata da raggi provenienti della piazza Durden,  una magia particolare trasmessa dai templi e dai palazzi che una volta furono abitazione dei re. Ognuno nel proprio letto, riuscirono soltanto a dire qualche parola perché la stanchezza arrivò di colpo e anche il sonno.

Dopo aver fatto una bella colazione a base di sardine  arrostite accompagnate da vegetali cucinati in padella e terminato con una specie di cappuccino passato per genuino italiano, Mario e Paolo ebbero l’idea di andare a visitare la famosa dondan. La reception li aveva consigliati a chiedere di Rajiv, una delle guide più preparate, per sfruttare al massimo la sua conoscenza delle famiglie reali di quella piazza famosa in tutto il mondo . Rajiv stava ultimando la visita con altri turisti e quindi bisognava attendere un poco, anche perché senza guida era inutile visitare l'interno della città famosa se non si aveva una preparazione base storica e religiosa di Kathmandu. Dopo alcuni minuti uscì un gruppetto di tre turisti. Mario chiese se uno di loro fosse la guida. Rajiv fece un cenno della testa e iniziò il loro turno. La preparazione della guida che non conosceva la lingua italiana però si destreggiava con la spagnola sufficientemente per capire il senso di quello che voleva dire. La storia era incredibile, tutta l'attenzione era concentrata sulla spiegazione spagnola, il politico e il religioso non potevano essere separato. D'altro canto l’epoca in cui era nata e sviluppata Kathmandu meritava di capire l'importanza millenaria delle religioni soprattutto indù.
i vollero almeno due ore per completare il giro e soprattutto interpretare quei commenti misti tra spagnolo e inserti indu, per comprendere quelle spiegazioni storiche e religiose. Ringraziarono la guida Rajiiv del centro storico in cui si ergevano i famosi Palazzi e Templi reali.

Ripresero a camminare in senso contrario verso albergo e avevano notato due ragazze del posto che li avevano adocchiati nel momento di inziare la visita con Rajiv. Ora quelle ragazze continuavano a osservarli e il loro sorriso si trasformò in un invito di incontrarsi in quel momento. Probabilmente il problema principale sarebbe stato farsi capire ma per Mario e Paolo quel problema non era importante e si avvicinarono. Con sorpresa spiccicavano francese e spagnolo, con un po' di pazienza si sarebbero capiti ugualmente. E insieme camminarono lungo la via principale. Poi le ragazze presero un’altra via che portava verso un luogo molto importante, quello di Thamel. Riuscirono ogni tanto a farsi capire dalle due ragazze e nel passeggiare dicendo qualche frase di convenienza.  

Dopo circa venti minuti arrivano al Giardino dei Desideri, luogo obbligatorio per quanti desiderassero visitare qualsiasi cosa avessero in mente e poi con presenza di quelle ragazze, il campo dei desideri sì restringeva abbastanza. Il posto era veramente molto bello, pieno di fontane, le piante rigogliose offrirono uno spazio per potersi riposare dalla passeggiata che si era presentata più lunga del previsto. Era l'occasione migliore per potersi guardare con più attenzione, i loro volti davano l'impressione che non avessero superato i venti  anni, lo sguardo sereno e gli occhi luminosi. Cercarono di consigliare un itinerario possibile che interessasse anche le due ragazze e piano piano lasciarono quel giardino. Bisognava allora offrire qualche bevanda, qualche altra  cosa per dissetarsi ma solo  con l'arrivo di un venditore ambulante accettarono le fredde bevande,  nel Giardino dei Desideri non c'erano bar. Ben riposati e dissetati, ripresero la strada per il centro di Thamel, luogo ricercatissimo dai turisti di tutto il mondo e quindi molto affollato dappertutto, nelle strade e lungo il viale commerciale, con molte botteghe e negozi di artigianato. Sicuramente molta confusione creata pure dalla circolazione esasperata di motociclette e gruppi di persone e turisti di ogni tipo e nazionalità. Girandolando senza una direzione precisa si trovarono di fronte al tempio che metteva in grande risalto le posizioni sessuali scolpite sulla pietra e incastonate nelle nicchie. Sculture di secoli addietro. Ce n’erano per tutti i gusti e siccome le due ragazze sembravano divertite nel vedere quelle posizioni di varia natura e anche acrobatiche, accettarono la proposta di Mario e Paolo di poter scegliere quella di maggior gusto e posizione. Ci fu un attimo di silenzio e di vergogna, forse. Alla fine entrambi scelsero quella centrale dove veniva rappresentata una scena molto singolare, la donna al centro e due uomini a fianco. Non immaginarono minimamente che quella scelta poteva considerarsi un invito a Mario e Paolo di decidersi a tentare di fare qualcosa con loro nonostante la religione indù frenasse quel desiderio. Dallo sguardo tra di loro e verso le ragazze si capì che il desiderio c’era eccome e che probabilmente qualche cosa di interessante sarebbe poi accaduto.

Le ragazze fecero segno di stare molto accorti agli zainetti e soprattutto proteggere i documenti personali, le strade affollate era ricettacolo di ladri che con un movimento rapido, approfittando della disattenzione, con destrezza, in quattro e quattr'otto, rubavano quello che potevano, lasciando i poveri turisti nella disperazione perché sapevano benissimo che non avrebbero avuto assistenza da nessun ente nepalese.

Camminavano nel quartiere di Camel meno attraente per quel timore lanciato dalle loro amiche e quindi emerse il desidero di riprendere la strada di ritorno, verso l'hotel. Proposero di prendere un Tuc Tuc o anche un taxi, loro preferirono però di andare a piedi, ognuna a braccetto dell’altro, erano abituate a camminare anche per molte ore. Strada facendo  diventarono più cordiali e riuscirono finalmente a dire che si chiamavano Savitri e Surya, nomi che discendevano dalle divinità indù. Marco e Paolo si sentirono fortunati e con più affettuosità strinsero la loro vita anche se in quell’abbraccio riuscirono anche a darsi un bacio sulle guance. Sapevano che la religione indù era molto severa con le affettuosità soprattutto dimostrate in pubblico e quindi non si doveva esagerare al riguardo. Giunti all'hotel, Marco e Paolo proposero a Savitri e Surya di entrare in hotel con loro  a prendere una coca cola gelata ma loro rifiutarono nettamente,
Si sarebbero rivisti il giorno dopo, le ragazze proposero nel bar poco avanti all'hotel, sulla sinistra. 

 

Il giorno dopo Mario e Paolo incontrarono Savitri e  Surya che li stavano aspettando, loro si presentarono  con un abbigliamento tipo occidentale, non più donne lunghe variopinte e foulard attorno al collo ma jeans attillati e t-shirt abbastanza comode. Mario si diresse per primo verso Savitri dimostrando di aver fatto la sua scelta su quella ragazza ma a Paolo non dispiacque di stare insieme a Surya, anche lei una bellissima ragazza. Chissa se erano parenti o addirittura sorelle Ma quello non cambiava di molto la sostanza delle cose. Loro avevano già fatto colazione, di conseguenza proposero di camminare per la strada principale di Kathmandu, volevano visitare il tempio Pashpatinath, uno dei più importanti del Nepal e venerato soprattutto dai fedeli di Shiva di tutto il  mondo. La loro scelta fu accettata buon grado, si avviarono verso quella destinazione, in fondo di chilometri non erano molti. Lasciarono alle spalle locali di artigianato, di vestiti e altre curiosità di grande interesse per i turisti. Riuscirono a farsi capire inventando parole di spagnolo, in fondo era molto importante avere la compagnia reciproca e così la passeggiata diventava più piacevole.  Da lontano si poteva già scorgere la cima del tempio. Lungo il  percorso costeggiarono tantissimi negozi che vendevano copia di divinità del tempio, testi in inglese che pubblicavano i benefici di buona sorte per la vita quotidiana, in particolare salute e lavoro. Una volta giunti nella piazzetta antistante il tempio, si guardarono attorno, diversa gente sui gradini e altri che ammiravano le bellezze dell'architettura di quella piazza, le grandi statue che accompagnavano la salita al tempio, molto ripida e gradini molto alti.  Savitri parlò con molta passione di un sadhu, un santo particolarmente venerato e ascoltato per le sue capacità di veggenza e previsione del futuro nei confronti di quanti chiedevano aiuto alle divinità tramite lui. Savitri ne aveva sentito parlare più volte nel corso dell'ultimo anno da persone che avevano ottenuto risposte certe alle loro suppliche, sia riguardo al lavoro che al benessere familiare. Era quindi la persona giusta alla quale rivolgersi non perché potesse concedere qualche cosa di particolare, era una fonte interessante da soddisfare risposte su ogni argomento. Chiesero alle persone che erano sedute nei gradini del tempio, dove era Sadhu il santo. Una donna rispose che a quell'ora doveva trovarsi al terzo piano del tempio, bisognava quindi salire e andarlo a cercare per incontrarlo. Salire la scalinata fu un problema, i gradini non proprio favorevoli all'ascesa fino al terzo piano ma per incontrare il santo qualsiasi sacrificio era giustificato. Arrivati chiesero di Sadhu, qualcuno indicò la parte nascosta del piano. Dopo pochi istanti, lo incontrarono in profonda meditazione con lo sguardo diretto a nord verso la catena dell’Himalaya. Savitri si avvicinò, gli chiese se non aveva difficolta  ad ascoltare le loro richieste. Sadhu li fece sedere sulla grande pietra di fronte a lui e chiese a lei di parlare. Marco si rivolse a lei per girare al santo la richiesta di sorte per la sua famiglia ed in particolare con la fidanzata lasciata nel paese vicino Milano. Il sadhu santo chiese qualche minuto e guardando un punto fisso dell'arco del tempio, cominciò parlare lentamente rivolgendosi a lei affinché lentamente potesse tradurre le frasi. Il santo parlò della sua famiglia, del suo lavoro e della sua salute in maniera soddisfacente, soltanto un piccolo pensiero era rivolto alla sua relazione con la fidanzata anticipando che quando sarebbe tornato a casa quella relazione sarebbe terminata. Mario su tutte le furie voleva andare via da quel posto, dimenticare quelle parole che riteneva fuori da ogni tempo tenuto conto dell'ottimo rapporto che aveva con la sua fidanzata prima di effettuare quel viaggio ma Savetri lo convinse a rimanere perché lei era convinta che il santo aveva ragione, che doveva accettare la sua previsione anche se temuta decisamente sbagliata.

Surya si rivolse a Paolo le chiese che cosa volesse  richiedere al Santo. In quel momento si ricordò di un problema che era sorto anni addietro ad uno zio causa problemi pesanti con un affittuario, oltre a non pagare l'affitto non voleva lasciare casa nonostante una decisione giudiziaria. Anche in quel caso il Sadhu  Santo chiese di attendere la sua risposta e dopo qualche minuto enunciò la sua previsione. Si rivolse quindi a Surya affinché traducesse quello che stava per dire. La persona che non pagava e non voleva uscire di casa aveva uno spirito molto forte bisognava trovare una pratica magica benedetta dagli dei e da Shiva,  affiancata dalla dea Kalì e proponeva di accendere per due settimane e per tre volte al giorno delle candele nere sulle quali incidere tutti gli estremi astrali che contraddicevano quella persona nonché collocare alla base di ogni candela la foto di quell’affittuario. In quel modo l'influenza Divina avrebbe logorato la forza negativa che aveva posseduto quella persona fino a neutralizzarla. Ragazzi e ragazze si potevano ritenere soddisfatti della risposta del Santo tranne Marco praticamente molto irritato per effetto di quella previsione drástica sulla cessazione della relazione d'amore con la sua ragazza di famiglia amica della sua.
Dall'alto del terzo piano del tempio osservarono il Santo assorto nella sua meditazione, la piazza con  i palazzi una volta residenza di reali e poi con molta cautela scesero gli alti gradini e arrivarono alla fine della scalinata che era costeggiata da enormi statue di divinità, di animali che rappresentavano il benessere materiale e spirituale. Surya si era ricordata sulla strada di ritorno, alle spalle del tempio del Santo,  di un ristorante nel quale era andata a mangiare qualche volta con degli amici e siccome si era trovata molto bene consigliò tutti loro di consumare il pranzo in quella giornata. 

La mattina si presentava con il tempo luminoso e un leggero venticello. Mario e Paolo si incontrarono allo stesso bar vicino all’albergo con Savitri e Surya sempre più sorridenti e meno vestite. Già dal giorno precedente avevano indossato abbigliamento quasi occidentale e questo per fare omaggio ai loro compagni italiani. Oramai erano le ragazze a gestire le loro giornate quella volta consigliarono di andare a Dolalghat, una cittadina a 40 km circa da Katmandu, dalla quale si poteva ammirare la magnificenza della catena delle montagne dell’Himalaya, sempre innevate. Lo spettacolo di quella vista sicuramente lo consigliava. Si diressero verso la stazione degli autobus e comprarono il biglietto di andata e ritorno. Anche se la strada fosse stata di campagna e quindi non asfaltata il viaggio comunque non poteva superare l’ora.

La campagna aveva un verde che cambiava intensità ad ogni curva e di curve ce n’erano ogni duecento metri. Savitri e Surya idicavano a Mario e Paolo le bellezze del paesaggio. Le casette di pietra con il tetto molto spiovente per far scivolare la neve che cadeva con intensità nei mesi invernali. Ogni tanto qualche bufalo e gruppi di pecore sorvegliati da enormi cani. Riuscirono ad intravvedere per pochi istanti un fiume che scorreva tumultuoso verso la valle che circondava Katmandu. Surya sottolineò che quel fiume si chiamava Sun Koshi, più noto come fiume Blu, ed era da considerarsi sacro e l’immergersi in quelle acque davano la salvezza spirituale e la clemenza delle divinità nei loro riguardi, promise che sicuramente potevano fare il bagno tutti insieme anche se le acque erano molto fredde per tutto l’anno.

Arrivarono a Dolalghat, l’autobus si fermò al capolinea a fianco della grande piazza. Si informarono dell’orario di ritorno e presero nota delle tre corse fissate dopo mezzogiorno, le quattordici e trenta, quindici e trenta e  e sedici. Erano le undici avevano quindi tutto il tempo per andare alla terrazza naturale a circa un chilometro verso nord-est, almeno una mezz’ora data la ripidità del sentiero.

Ogni tanto una breve sosta per riprendere fiato ma anche per abbracciarsi e darsi un lungo bacio. Dopo l’ultima curva sempre molto ripida, si aprì lo scenario bellissimo delle montagne innevate di cui al centro il picco più alto dell’Himalaya. Per fortuna sulla terrazza belvedere c’erano diverse panchine alcune di pietra, altre di legno spesso tagliato alla boscaiola. Dopo aver gironzolato lungo la terrazza per vedere in tutte le angolazioni quello spettacolo della natura, ritornarono verso le panchine per riposarsi un poco e osservare da in quella posizione le enormi montagne che sovrastavano il territorio circostante. Savitri osservò che erano soli ad ammirare quello spettacolo, non c’erano altre persone o più probabilmente turisti che venivano soprattutto dal nord dell’India. Quel giorno il destino volle che solo a loro era riservato quella visione che aveva lasciato stupefatti soprattutto Mario e Paolo, Savitri e Surya un pò meno, probabilmente erano già state altre volte forse ad accompagnare altri turisti con quelli che potevano intrecciare un rapporto amichevole.

Surya si mise a cavalcioni seduta su Paolo che si affrettò a stringerla tra le braccia. Si sistemò molto bene accomodando con passione il suo sedere e tra un bacio e un altro cominciò a dondolarsi avanti e indietro con molta lentezza.

Savitri dal canto suo invece scelse di accostare il suo corpo a quello di Mario per poi invitarlo a mettersi sopra e in quel mentre cominciò a muovere e oscillare il suo sedere in modo che il suo compagno sentisse la passione di quei movimenti. La religione indù’ biasimava e condannava le donne che avessero avuto il rapporto completo prima del matrimonio ma non poteva certo vietare le manifestazioni d’amore tra appassionati. Il movimento durò non molto per la verità e quando le due ragazze compresero che il momento fatidico stava per arrivare tirano giu’ i bermuda e presero il membro che era prossimo a raggiungere il massimo della voluttà, accettarono il nettare nelle loro mani e se lo spalmarono sul volto per accrescere la potenza creativa secondo le antiche profezie. Rimasero con il volto al sole per avere l’approvazione del grande dio che genera la vita da millenni e quando si asciugò si diressero sulle labbra dei loro ragazzi per concedere loro un bacio lungo e passionale. Parlarono a lungo di quella pratica che potevano esercitare soltanto con gli stranieri perché il tabù dei ragazzi era molto forte e non si scostavano dalle regole rigide di evitare la passioni erotiche prima del matrimonio.

Mario e Paolo ascoltarono increduli, sorpresi senza pronunciare una parola. Dopo ancora qualche minuto di ammirazione delle cime stupende e meravigliose dell’Himalaya presero il sentiero di ritorno e quando stavano per oltre passare un fiumicello, le ragazze si fermarono e con quell’acqua pura di sorgente si rinfrescarono il viso, oramai avevano rispettato la profezia dei loro sadhu antichi.   

Giunti all’altezza del letto del fiume, Savitri propose di andare a mangiare del pesce di fiume arrostito e cucinato in padella di ferro. Fu una buona idea, mangiarono con appetito vari tipi di pesce con contorno di patate, riso e legumi con delle spremute di frutta. Certo ambiente proprio popolare per gente semplice ma quello non dava fastidio, il pesce era super ottimo e ne mangiarono a sazietà.

Si avvicinava l’orario delle quindi e trenta e si diressero verso la piazza principale di Dolalghat per prendere l’autobus di ritorno a Katmandu.

Anche quella mattina si ritrovarono nello stesso bar ma quella volta Savitri e Surya non vollero andare in giro subito e preferirono andare nel loro hotel e con un sotterfugio riuscire a salire alle loro camere. Proposta alquanto strana per le usanze indu che non erano certamente favorevoli a quel tipo di proposte soprattutto con stranieri e in particolare con cristiani. Mario già immaginava cosa potesse succedere di scandaloso, Paolo era meno portato a cose clamorose ma entrambi accettarono. Non sapevamo come e quando, non ci furono ostacoli alla reception, forse c’era un sostituto.

Salirono festanti e divertenti alle loro camere, terzo piano, entrarono nella stanza che aveva due letti separati. Le ragazze avevano con loro nella borsa di tessuto delle polpette ripiene di buona carne e altre numerose spezie, molto gustose e quindi le mangiarono tutte.

Spostarono i letti in maniera che fossero con vista allo stupendo tempio che si ergeva nella piazza Durdan, poi accesero quattro lumini e li posero sul comò non proprio antico ma sicuramente vecchio, vecchissimo. Chiusero tende e ante delle finestre, salvo quella che guardava il tempio dell’antica piazza reale e dopo aver recitato qualcosa di profondamente sentito, Savitri e Surya si avvicinarono a Mario e Paolo e cominciarono a svestirli. Dopo aver completato quella cerimonia, chiesero a loro di svestirle. Con molta delicatezza, un indumento dopo l’altro cadde sul pavimento e alla fine furono tutti nudi. Surya tirò fuori dalla sua borsa di tessuto l’immagine riferita ad uno dei templi di Nyatapola dove appariva la composizione erotica che avevano scelto su domanda di Mario e quindi la volevano mettere in pratica. Per cui Savitri mise di fianco a sé Mario e Paolo, prese i loro membri, portò la loro mano sui suoi seni e cominciarono i palpeggiamenti. Surya si distese sul letto a faccia avanti con la testa rivolta alle parti genitali di Savitri e cominciò a baciarle. Si era creata una sinfonia erotica molto stimolante dove tutto il gruppo partecipava con molta passione ma non con veemenza. I lumicini diffondevano il chiarore arancione nella stanza nella quale entrata il raggio di sole dopo aver benedetto il tempio più importante di Katmandu e di riflesso anche la loro stanza, era il simbolo che le divinità non fossero contrarie anzi loro stesse lo avevano divulgato secoli prima attraverso le statue erotiche scolpite sulle facciate dei templi. Non fu possibile completare il grande piacere che stava infiammando ciascuno di loro, la benedetta religione indu metteva sempre una grande barriera. Ma fecero in tempo ad abbracciarsi e a terminare nel miglior modo la loro meravigliosa partecipazione. Intanto i lumini cessarono di ardere, si aprirono leggermente le finestre per dare aria alla stanza e la coppia Savitri e Mario andò per prima a fare la doccia. Surya e Paolo nell’attesa si baciarono più volte e si strinsero fortemente.

Scesero nella hall, si sedettero per riacquistare la pace dei sensi dopo quella intensa partecipazione e poi uscirono a passeggiare lungo la via centrale, piena di bar, ristoranti, negozi e oggetti di artigianato. Strada facendo videro un bel ristorante e decisero di entrare per il pranzo. Avevano proprio bisogno di un bel piatto sostanzioso e si decisero per la carne di bufalo e contorni di verdure e patate. Accompagnò una ottima birra, per quel piatto ci voleva proprio.

Il giorno dopo era il penultimo rimasto, dovevano fare qualche cosa di importante per chiudere il loro soggiorno e salutare le ragazze con le quali avevano condiviso l’amicizia e anche la passione sprigionata a quell’altitudine pazzesca.        

Era l’ultimo giorno utile di permanenza a Katmandu e Mario e Paolo fecero un giro nella piazza Durban che una volta era la residenza dei re. Avevano a disposizione un paio d’ore perché l’appuntamento con Savitri e Surya era stato concordato verso le undici. Ammirarono il palazzo e il tempio molto importante in tutto il Nepal, salutarono inchinandosi ai vari sadhu padroni in realtà del luogo che non si facevano scrupolo ad accettare le offerte in rupie. Lentamente ritornarono verso l’hotel e nel solito bar incontrarono le loro ragazze indù.

Saluti di grande amicizia, sapevano anche loro di essere arrivate all’ultimo giorno e dalla borsa di tessuto Surya estrasse due pacchettini uno per ciascuno loro amico. Il regalo aveva un significato simbolico tipico di Katmandu aveva lo scopo di sintonizzarsi con i molteplici tempi che loro in parte avevano visitato e soprattutto di loro, Savitri e Surya che avrebbero ricordato i bei giorni trascorsi in loro compagnia. Aprirono i pacchetti e trovarono due piccole campanelle di bronzo: Savitri parlò della tradizione antica che avevano le campanelle il cui suono armonioso e limpido doveva creare il collegamento spirituale tra loro anche se fossero lontani diecimila miglia. Importante era di suonare sette volte quanti erano i Pianeti nella conoscenza antica.

Mario e Paolo ringraziarono di quel regalo e prendendo le loro mani ognuno dette un bacio sulle palme, un bacio caldo e appassionato per poi richiuderle come per far loro conservare quel momento speciale.

Uscirono dal bar e si diressero verso piazza di Thamel, là avrebbero trovato un buon ristorante per stare insieme a pranzo. Savitri anticipò che nel pomeriggio dovevano andare tutti al fiume Bagmati nei pressi del tempio Gorakhnath per ringraziare il dio Shiva e per immergersi nelle acque del fiume sacro. Avevano scelto quel posto perché molto a settentrione della capitale dove le acque sicuramente erano limpide e non ancora inquinate come quelle di Pashpatinath famoso per le cremazioni.

Il programma del pomeriggio sembrava ottimo ma in quel momento parlarono di loro in attesa che il pranzo fosse servito. Le ragazze manifestavano emozione al pensiero di non poter più vedere e stare insieme ma la vita era fatta anche di incontri e separazioni per cui ricorrendo alla saggezza indù non dovevano star male per quello, il dio Shiva padrone dell’universo avrebbe accolto nel suo immenso mantello anche le anime di Savitri e Surya per la protezione nel tempo.

Mangiarono con molto appetito, la carne di bufalo sembrava avesse un altro sapore, più gustoso del normale, forse la varietà delle spezie avevano dato un ottimo contributo.

Si attardarono nel gironzolare nel centro di Thamel, era sempre un bel vedere per la varietà di turisti che la frequentavano e successivamente, non essendoci un servizio di autobus, presero un taxi e all’incirca dopo dieci minuti sarebbero giunti a destinazione, al tempio Gorakhnath.

Comprarono dai venditori diverse piccole corone di fiori gialli e arancioni con qualche lumicino e le due ragazze li posero sotto la immensa statua di Shiva. Savitri e Surya rimasero in silenzio di meditazione per almeno dieci minuti e poi inchinandosi più volte verso il dio Siva uscirono dal tempio. Mario e Paolo aspettarono fuori, a loro non era consentito entrare.

Un ragazzo li accompagnò nel posto dove immergersi in sicurezza perché il fiume era sacro ma anche dispettoso per i suoi vortici come spesso accade per i super santi, anche in Nepal.

Savitri e Surya si tolsero il primo strato di abbigliamento e lo posero in un angolo sull’erba. Mario e Paolo vollero partecipare ma spogliandosi rimasero in slip, non c’erano altri in quel momento e tutti si immersero completamente nel fiume, più volte, rivolgendosi al tempio Gorakhnath e al dio Shiva.

Le ragazze riuscirono ad abbracciare fugacemente i loro compagni e dopo l’ultima immersione si concentrarono per qualche minuto ed uscirono dall’acqua.

Surya protesse Savitri mentre si levava gli indumenti bagnati e così fece anche Savitri per Surya. Paolo e Mario furono molto veloci a levarsi gli slip e rimettersi i bermuda. Surya mise nella sua borsa di panno tutti gli indumenti bagnati inclusi gli slip.

Ritornarono al tempio e chiesero al solito ragazzo di contattare un’autista che potesse riportarli a Katmandu, dopo pochi minuti arrivò l’auto e lasciarono quel posto mistico.

Era quasi notte e per la verità un po' infreddoliti, il fiume sacro aveva anche quella parte difficile da accettare, le acque provenienti dalla catena montuosa dell’Himalaya era fredda, no gelida, proprio gelida, chissà forse in quel modo il pensiero verso il dio Shiva arrivava più velocemente.

Si lasciarono all’hotel mentre le ragazze proseguirono a piedi, non erano lontano ma oramai notte, il freddo si faceva sentire molto bene.

La notte passò, i trolley già pronti per la partenza dopo colazione.

 

Pagarono il conto con la carta di credito e attesero l’arrivo del taxi che li doveva portare all’aeroporto. In quel momento apparvero Savitri e Surya s volte sorridenti, a volte malinconiche, desideravano accompagnarli e ciò lasciò contentissimi Mario e Paolo. I sette chilometri di distanza vennero percorsi in fretta, entrarono in aeroporto, fecero il checkin e si avviarono al gate per New Delhi e poi Milano. Savitri e Surya accompagnarono ogni loro movimento e prima di imbarcarsi ricordarono a Paolo la storia delle candele nere che per essere efficaci dovevano essere accese secondo le istruzioni del sadhu santo. Infine nell’ultimo saluto Savitri e Surya presero le mani dei loro amici italiani e contraccambiarono quel bacio appassionato e caloroso che avevano ricevuto nei giorni passati.

Lo sbracciare continuò fino a quando Mario e Paolo non sparirono nel passaggio che li doveva portare in aereo.

          

Dopo qualche giorno di recupero dal lungo viaggio, Paolo si ricordò dell’esortazione del Sadhu del Napal e iniziò il ciclo di candele nere per spingere la buona sorte a convincere l’affittuario dello zio che da anni non pagava l’affitto e tutte le spese condominiali, a lasciare l’appartamento. Ci vollero tre settimane di incessante attenzione per tenere sempre accese di giorno  le candele ma alla fine gli dei vennero in soccorso. Di notte l’inquilino scappò lasciando l’appartamento in un disastro tra sporcizia e mobili rotti, forse intenzionalmente. Lo zio anche in quel caso ringraziò Dio e la Madonna per il loro intervento.

Mario, al rientrò, trovò la cattiva notizia raccontata dalla madre che, per un motivo inspiegabile, la fidanzata lo aveva lasciato. Ciò non lo doveva preoccupare perché la figlia di una sua carissima amica poteva essere una valida sostituta. Era la garanzia di una madre.

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PORTOGALLO

Con uno sguardo a Bangkok

 

 

Estefanio aveva ereditato da suo padre un negozio di ogni ben di dio, soprattutto chincaglieria usata e qualche pezzo antico sacro, dalle statuine ai calici di argento dorato che potevano risalire fino al 1800. Il negozio allora, poco visitato negli ultimi anni, era diventato fiorente per il passaggio di turisti data la sua buona posizione in via del Giardino, nei pressi della chiesa di S. Antonio, in Lagos nell’Algarve, cittadina frequentata anche dai lisboneti (abitanti di Lisbona)  e tripeiros (abitanti di Porto) in ogni stagione dell’anno.

 

 

Allora quel santo era molto venerato soprattutto perché aiutava le giovani donne a trovare marito e tale sua nomea spingeva a tale supplica in ogni chiesa a lui dedicata. Quindi quel corridoio percorso dai turisti per forza di cose favoriva la via del suo negozio “As coisas bonitas da vida”. La parte antistante l’ingresso metteva in mostra, tra i tanti articoli, varie statue di S.Antonio, diverse grandezze, con o senza Bambin Gesù. In particolare i portoghesi che conoscevano bene le facoltà taumaturgiche, compravano molto volentieri il vasetto di basilico a foglie piccole ritenuto di grande auspicio per i fidanzati e promesse di matrimonio, meglio se acquistato nella tredicina di giugno a Lisbona ma andava bene in qualsiasi chiesa portoghese, aveva un grande valore religioso, la potenza del Santo era considerevole e senza dubbio poteva tendere le braccia ai suoi devoti.

Il negozio ospitava di lunedì, giorno dedicato alla Luna ma anche durante i giorni di Luna nuova e Luna piena, un personaggio molto carismatico che offriva a prezzi decenti oroscopi e previsioni astrologiche. Proveniva dall’isola di Madeiras, in particolare da san Vincent che deteneva  un vasto patrimonio naturale e culturale, in cui veniva risaltata la foresta Laurissilva (piante di alloro), le misteriose grotte vulcaniche, i monumenti e chiese storici. Il suo nome era Gualter, discendente da una famiglia di antenati del nord Europa. La sua notorietà si stava sempre più affermando e le indicazioni poste all’inizio e fine della via, creavano prima curiosità e poi interesse nell’ascoltate un sapiente della scienza astrologica che indicasse sentieri di vita originali e personalizzati molto differenti dei soliti oroscopi che si potevano leggere sulle riviste di cronaca o ascoltare nei canali televisivi. Tra Estefanio e Gualtier si creò un buon rapporto rafforzato dal reciproco coinvolgimento dei clienti che entravano con l’intenzione di acquistare qualche prodotto e poi cadevano nella voglia di ascoltare il messaggio delle Stelle attraverso l’astrologo. 

L’entusiasmo dei clienti all’uscita del negozio era la dimostrazione della validità della scelta fatta quattro anni prima da Estefanio.

In un giorno di Luna nuova entrarono una donna e un ragazzo, probabilmente madre e figlio, per avere un responso astrologico riguardo la possibilità di trovare un lavoro nel campo dell’informatica cui era particolarmente interessato il giovane per la realizzazione di alcune applicazioni da utilizzare nei cellulari. Gualter li fece accomodare e chiese alla madre i dati di nascita del figlio (nome, data e ora/minuti e luogo di nascita) indispensabili per elaborare la sua carta astrale. La madre che fece un parto travagliato si ricordò molto bene dei dati che sollecitava l’astrologo. Con l’aiuto del notebook in pochi istanti apparì sul display l’oroscopo e sottolineò che anche le Stelle mettevano in risalto quella passione del figlio per l’informatica in generale. Con l’ulteriore apporto dei Pianeti in transito in quel momento Gualter potette concludere che nel giro di al massimo due mesi poteva ricevere un’offerta di lavoro a seguito di curriculum inviati in precedenza. Consigliava quindi di inoltrare a grandi aziende ma anche a ditte specializzate in informatica un curriculum vitae ben dettagliato ma senza strafare, il tutto da contenersi in una sola pagina. Concluse raccomandando di fargli sapere qualsiasi conclusione che si fosse manifestata e quello per aggiornare il suo archivio di oroscopi. Con il pagamento della somma concordata, Gualter salutò con cordialità madre e figlio.

La vita a Lagos scorreva secondo il ritmo imposto dal turismo per cui il periodo estivo era molto elevato e capitava spesso di chiudere anche alle ventidue. Succedeva pure che nei giorni di Gualter si andasse oltre, fino a chiudere alle ventiquattro.

I turisti restavano meravigliati del centro storico murato, le scogliere e le spiagge bagnate dall’oceano Atlantico, spiagge belle e bellissime ma la temperatura dell’acqua abbastanza fredda e freddissima, in qualche tratto anche gelida, li allontanava appena entravano a bagnarsi per attenuare il forte calore estivo,. Allora veniva accolta l’opzione alternativa di scendere a mare da un altro punto delle scogliere fino ad arrivare alla Ponta da Piedade per rifarsi gli occhi con la bellissima vista panoramica. E poi grotte, insenature, spiagge solitarie, dirupi. Altre grotte marine circondate da rocce possenti a loro volta frastagliate e modellate dal mare, altre grotte buie dove dall’alto entrava un raggio di sole.

Gualter era di casa in quel tratto di scogliere, soprattutto vicino al tramonto amava osservare i gabbiani dopo aver volato su e giù trovavano rifugio nelle casette delle scogliere, protetti dalla pioggia, dagli spruzzi di un mare quasi sempre agitato ma non dal freddo, a quello ci pensavano a proteggerli le lunghe piume argentee. Il momento magico del tramonto si concretizzava quando il Sole toccava l’orizzonte dell’oceano per poi essere ingoiato frettolosamente per dare vita ad altri Paesi più a ovest. Sicuramente un carico di energia materiale e spirituale perché il Sole nella evoluzione esoterica rappresentava anche la Luce che dissolse le grandi nebbie del periodo lemuriano. E cominciò un nuovo mondo di Luce e di calore per il genere umano.

Gualter ci rifletteva spesso su quella grande potenza del Sole che con il suo compito divino aveva da millenni il compito di proteggere il mondo costituito dal genere umano, dagli animali, dai pesci, dai vegetali e dai minerali.

E poi trattando di astrologia non poteva sottovalutare la sua importanza negli esseri viventi e quando stendeva gli oroscopi metteva sempre in forte rilevanza il luminare, la Casa astrologica in cui era ubicato e gli aspetti con gli altri Pianeti, favorevoli e sfavorevoli.

Dopo quelle meditazioni tornava lentamente a casa, nel suo monolocale piuttosto ampio in via della Signora di Loreto, non distante dal municipio. 

 

Nel controllo della merce nel magazzino sottostante il negozio, Estefanio scoperse di avere oggetti di un certo pregio risalenti all’incirca all’impero portoghese date le fattezze e i colori che avevano le statuine, le ceramiche e oggetti sacri dorati. Certamente suo padre li aveva ben nascosti per timore che qualche organismo governativo li potesse sequestrare. Quello fu il motivo di non averne mai parlato con il figlio, poi la malattia alle coronarie apparsa all’improvviso fece precipitare la condizione fisica sino alla morte. Nonostante fossero trascorsi da allora sei anni, Estefanio non ebbe mai il coraggio di andare a intrufolarsi tra le cose lasciate, riteneva una mancanza di rispetto e di amore filiale nei suoi confronti.

Mise tutti insieme gli oggetti preziosi trovati e prima di prendere qualsiasi decisione al riguardo, pensò di parlarne a Gualter che riteneva la giusta persona per esprimere un parere e forse anche una valutazione economica attendibile. Quella involontaria scoperta lo aveva messo di buon umore e quando di pomeriggio entrò nel negozio la prima persona gli fece uno sconto speciale del 15% sull’acquisto di una statuina di ceramica pregiata di Sant’Antonio. La mente andava e tornava sugli oggetti, ne era convinto molto preziosi, poteva già fare un elenco di cose da comprare e mettere in prima posizione un bel viaggio alle Azzorre, arcipelago desiderato da tempo. Poi ritornò con i piedi a terra, non poteva vendere la pelle dell’orso se prima non lo avesse catturato e anche ucciso, così tramandava la tradizione dei padri. L’entrata di due possibili clienti, lo distrasse dal buon pensiero di un’entrata extra e si mise a loro disposizione.

Il lunedì successivo fece un discorso possibilista a Gualder sugli oggetti antichi e al loro valore. L’astrologo era un amante dell’arte in generale, era in grado di valutare gli oggetti antichi dando pure una valutazione veritiera ma su quelli sacri bisognava attingere ad altre fonti. Stimare che fossero risalenti al penultimo periodo di monarchia di Carlo I assassinato a 45 anni, costituiva già un’ottima base di partenza. Era opportuno ricercare quali oggetti fossero in commercio dal milleottocentosettanta in poi e per quello sarebbe stato senz’altro opportuno per prima cosa visitare le chiese antiche dove venivano messi in bella mostra gli oggetti simili a quelli trovati nel sotto negozio da Estefanio che a quel punto doveva accantonare per il momento il suo viaggio alle Azzorre.

 

 

Erano nei giorni di Luna piena, momento ottimo per rafforzare la conclusione di progetti di vario tipo. Entrò in negozio una signora vestita elegantemente di scuro con il viso apparentemente sofferente e gli occhi senza espressione. Abitava a Lisbona, nella zona del monastero dos Geronimos. Gualter già si era allarmato nel vedere lo stato critico di quella signora,  riusciva ad andare oltre le apparenze ed era certo che stesse vivendo una situazione alquanto amara e difficile da portare avanti senza rincorrere ad una svolta netta alla sua vita.

La donna espose la sua preoccupazione e le sue intenzioni per farle cessare definitivamente con il divorzio. Gualter accese una candela bianca e la mise alla sua sinistra, la destra per la signora. Dopo aver ottenuto tutti i dati necessari di nascita del marito, iniziò ad esaminare il grafico astrale che il notebook aveva esposto nel display. Il marito ricopriva un ruolo importante in una società internazionale e da un paio di anni, trasferito nella sede di Bangkok, aveva saputo da amici di lavoro del marito che aveva intrecciato una relazione con un’altra donna molto più giovane, la differenza di età era sottaciuta ai tanti con i quali aveva rapporti professionali. La reazione improvvisa della consultante una volta scoperto l’intreccio portò allo squilibrio psicologico. Chiarita la questione sostanziale, Gualter iniziò ad esporre quello che il grafico astrale manifestava. Chiese se lei conoscesse la situazione storica sentimentale del marito, prima e durante il matrimonio, soprattutto quali erano i rapporti tra di loro al momento del trasferimento a Bangkok. Se fosse affiorata qualche evidente perplessità e stanchezza nei rapporti nascosti dai pressanti impegni di lavoro. La donna con molta sincerità confermò  che nell’ultimo anno non c’era stato più quel dialogo normale tra coniugi. Molto spesso  ritornava a casa distrutto e silenzioso se non addirittura molto tardi senza avvisare che non sarebbe tornato a cena.

Gualter esaminò il transito dei Pianeti sovrapposto al tema natale ed osservò che si stava approssimando un ciclone per dirla in termini meteorologici. Un accumulo di energie portate avanti dai Pianeti importanti da Giove a Urano che stava coinvolgendo Marte e Venere, pianeti che influenzano parecchio l’andamento delle condizioni amorose, in  prossima spiacevole opposizione a Marte che aveva il controllo dell’energia sessuale e sentimentale. 

In sintesi, che cosa stavano rappresentando quei Pianeti in transito sul tema natale e soprattutto quando quel “temuto” Saturno si sarebbe mosso di traverso a Venere, la dea dell’amore.

Gualter espose la sua previsione riguardo il legame sentimentale con il marito che si stava sfaldando nel pericoloso mondo tainlandese, dove era impossibile non venire attratti da giovanissime donne.

Il consiglio di Gualter fu molto esplicito. Innanzi tuttto avrebbe dovuto recuperare la sua energia andando in palestra, successivamente riprendere il contatto con un possibile amico che frequentava casa quando c’era anche il marito ma anche dopo. In quell’attimo si ricordò di Riccardo, si era accorta che ogni tanto gli lanciava sguardi intensi ma lei non lo aveva mai assecondato. Però a consiglio dell’astrologo quello era il momento opportuno di rintracciarlo e invitarlo a casa, per una serata in piacevole compagnia. La donna aveva un forte bisogno di riacquistare la luminositò sul volto che solo una bella nottata di amore poteva concedere. Poi contattare il marito mettendo bene in evidenza la sua nostalgia e la rinascita di passionalità nei suoi confronti che la spingevano assolutamente a rivederlo e trascorrere un po' di giorni con lui.  Prima di partire, avrebbe dovuto curare il viso, una bella e prolungata seduta di estetica con una nuova pettinatura. Doveva assolutamente sconvolgere il marito e farlo desistere di continuare a incontrare la giovanissima tailandese.

La signora era rimasta allibita per quel consiglio dell’astrologo di trascorrere una notte di sesso con l’amico Riccardo, felicemente sposato ma Gualter insistì più volte fino a quando la signora ancora titubante, accettò. Avrebbe portato avanti le sue raccomandazioni. Siccome la donna non accettava per reali i pettegolezzi delle sue amiche sulle relazioni sentimentali con le tainlandesi, tuttavia avrebbe dovuto in ogni modo trovare una via di uscita prima della decisione drastica del divorzio. Lei prima era rimasta allo scuro della nuova vita del marito a Bangkok, non ne sapeva nulla perché evidentemente il marito aveva tenuto tutto per sé quella grande voglia di esplorare nuovi sentimenti, quindi avrebbe dovuto immaginarsi quella situazione, soprattutto per la sua prolungata lontananza. Le conversazioni sporadiche al telefono non potevano certo ribaltare quella realtà. Nelle frequenti crisi psicologiche pensava anche di chiudere quel rapporto che il marito stava disprezzando ma in quel momento non ne aveva la forza per quella decisione.

A quel riguardo Gualter le ricordò i suoi consigli, in quel momento era proprio opportuni. Ovviamente andavano oltre l’aspetto predittivo della consultazione, consigliava fortemente di riprendere il contatto con il marito, di essergli vicino, di mettere da parte ogni passata discussione e diverbio, di accontentarlo su tutto per fargli intendere che le belle tailandesi non avevano certo la sua classe e esperienza.  

La donna rimase qualche instante silenziosa, alla fine di quella pausa pensò di seguire il consiglio dell’astrologo Gualter che in quel caso aveva ricoperto anche il ruolo di un buon consulente sentimentale.

Un’ultima raccomandazione alla donna consultante. Avrebbe dovuto incontrare il marito appena possibile, comportarsi con lui secondo le sue indicazioni e poi se lo riteneva opportuno informarlo per aggiornare il suo archivio degli oroscopi.

La donna, di sua iniziativa, fece un’offerta piuttosto alta rispetto alla normale richiesta economica di Gualter, comprese l’impegno affiancato dall’inclinazione  professionale nel dare suggerimenti disinteressati per mettere a suo agio la donna. 

Non chiese né nome, né telefono, era in definitiva suo compito di informare o meno sulla conclusione di quella predizione.    

 

Ogni tanto e soprattutto dopo un periodo di grosso impegno con i consultanti, Gualter sentiva la necessità di tornare alla sua isola di Madeira, San Vincent in particolare al suo paesino natale da dove poteva osservare una vasta area di campagna con vista sull’oceano. Dalla finestra a sud ammirare il piccolo vigneto con sullo sfondo altre colline che scendevano nella spiaggia proprio alla base di un picco montagnoso. Sentiva la spinta di ritrovare se stesso, lontano dai rumori e grida di quel quartiere di Lagos dove svolgeva la professione di astrologo esoterico nel negozio del suo amico Estefanio. Ricaricare le batterie che alimentavano le energie mentali e corporali. Il vento spesso gelido dell’Atlantico contribuiva a far ritornare l’equilibrio necessario a dare serenità con consigli appropriati a quanti mettevano nelle sue mani le loro preoccupazioni affinchè potesse indicare la via migliore per affrontare e risolvere, almeno nella parte più importante, quella loro storia che sembrava bloccata. Quando cadeva in testa improvvisamente la tegola del destino, che in certi casi, non guarda in faccia a nessuno, non si sapeva dove sbattere la testa e mettersi in contatto con un astrologo che sapeva il fatto suo, era come confidare sulla certezza che si sarebbe trovata una via di uscita.

San Vincent creava quella sicurezza e Gualter ne era consapevole e quando doveva ritornare a Lagos ringraziava gli spiriti che aleggiavano in quella porzione di campagna che custodiva quel piccolo vigneto per il beneficio che aveva immagazzinato nel suo cuore. 

 


 

 

KUTA

un villaggio di Bali

 

 

Tutto era organizzato per l’inizio del 2020, Abdul con la moglie Nui erano pronti spiritualmente e materialmente per trascorrere qualche mese dal fratello di Nui che gestiva un albergo con ristorante a Kuta, a pochi chilometri dall’aeroporto e dal capoluogo Denpasar. Vivevano nella Malesia settentrionale, vicino a Penang, anche loro gestivano un’attività di molteplici indirizzi, dall’artigianato, abbigliamento con annesso snack bar. L’entusiasmo era alle stelle, era la prima volta che uscivano dal loro paese per andare così lontano e poi in aereo che provocava una certa agitazione a Abdul perché non si rendeva ancora conto come potesse un aereo a stare così in alto nel cielo senza cadere.

La data per Bali era fissata per il 10 marzo, i biglietti aerei ben custoditi nella valigia chiusa a chiave. Il timore di qualche animale che potesse entrare soprattutto di notte li spingevano ad usare tutte le cautele. Nei pressi della data di partenza decisero di andare a ringraziare Kuan Yin, la dea della Misericordia perché proteggesse il loro  spirito e  corpo da ogni triste evento e tragica avventura.  

Loro avevano la fortuna di poter vedere la sua statua dalla terrazza della loro casa e quindi era come essere sotto il suo sguardo ma in quell’occasione particolare, preferirono  andarci di persona per respirare quell’aria mistica che soltanto alcuni templi erano in grado di offrire. Rinfrancati dal conforto ottenuto dalla dea, telefonarono al fratello della moglie per tranquillizzarlo che tutto stava procedendo per il meglio.

Nui ebbe un’idea di sentire la loro conoscente che pratica la scienza delle previsioni del futuro secondo la tradizione millenaria indù. Anche Abdul concordò e il giorno dopo andarono a trovarla.

La santona secondo le persone che erano ricorse al suo aiuto di tanto in tanto concedeva il suo messaggio dopo aver consultato con il suo spirito gli dei del popolato cielo dei santi indù.

Attesero un po' fino a quando un addetto li fece entrare al cospetto della vedente. Esposero che stavano per partire per l’isola di Bali e volevano essere tranquilli che tutto sarebbe  andato bene.

Lei si raccolse in silenzio e dopo diversi minuti si rivolse a loro per comunicare il responso degli dei. C’era un impedimento nell’aria che avrebbe potuto bloccare il loro viaggio tanto desiderato, in pratica con tantissima probabilità sarebbero dovuto rimanere  nel loro paese vicino a Penang. Con gli occhi fuori dalle orbite ritennero quella previsione assurda e offrirono la somma richiesta con un gesto di stizza. Come era stato possibile prevedere una situazione simile. Amareggiati, Nui non sapeva se informare o meno suo fratello. Poi decisero di non farlo per non cadere nel ridicolo.

Due giorni prima della partenza, la tv principale dette la notizia che dal giorno dopo tutti i voli sarebbero stati sospesi fino a nuovo ordine causa lo scoppio di una tremenda epidemia con nome “coronavirus – covid 19”, anno in cui vennero scoperti i primi casi in Cina ma sottaciuti da tutti i governi. Oltre alla sospensione di tutti i voli, venivano diramate tutte le attenzioni per evitare il diffondersi del virus, mascherine all’aperto, evitare di frequentare gruppi di persone, anche familiari non del nucleo convivente, preparare in casa l’occorrente per controllare l’espandersi del virus che poteva essere scambiato all’inizio per un’influenza, dati i sintomi a prima vista pressappoco uguali.

A quel punto decisero di informare il parente a Bali e non rimasero sorpresi nell’udire che le stesse cose stavano verificandosi anche nella sua isola. Purtroppo dovevano accantonare il loro desiderio di vedersi dopo tanto tempo e rimandare il volo a quando la compagnia aerea ne avrebbe fissato un altro ma a quando nessuno lo poteva sapere. Abdul pensò che forse trascorsi i primi mesi si sarebbe potuto aprire uno spiraglio per quel viaggio, chissà…

 

L’arrivo improvviso del virus covid-19 anche nell’isola di Bali, fino ad allora ritenuta al riparo da ogni influenza che potesse minare la salute per la sua posizione geografica, in un mare cristallino e nonostante il vulcano dormiente, un’aria leggera da alimentare al meglio bronchi e polmoni. Per non parlare poi dei ventimila templi tra indù, buddisti e islamici e altre religioni meno radicate, gli dei avrebbero dovuto creare una barriera di protezione contro tutto e tutti.

Così non fu.

Il diffondersi rapido del virus stava creando problemi di salute difficili da risolvere causa la difficoltà degli ospedali a recepire malati che ogni giorno raddoppiavano di numero in forma esponenziale. Si incominciava a non portare più i parenti infetti dal virus nei piccoli centri ospedalieri per la indisponibilità dei letti, corsie e l’area del pronto soccorso già saturi. In ogni abitazione dalla più borghese alla più semplice era stato allestito un piccolo altarino, sempre con le candele e lumicini accesi per ottenere la protezione delle divinità cui ogni famiglia fosse devota. A Bali non c’era un fiume sacro dove purificarsi da ogni peccato ma una sorgente sacra quella di Tirta Empul nella parte alta ad est. E fu là che le persone cominciarono ad accedere per implorare la protezione delle divinità.

  i fedeli si recavano per le abluzioni per purificarsi. La vasca che ospita la sorgente sacra non era accessibile; l’acqua però  veniva incanalata verso tanti getti in grosse vasche  dove avevano luogo l rituali. Il rito spingeva a  bagnarsi ad ogni fontana, immergendo il capo tre volte e infine  raccogliere un po’ di acqua nel palmo delle mani per portarla alla bocca per poi sputarla. Ogni fontana aveva un rituale preciso, tuttavia solo due erano sconsigliate perché dedicate ai morti La partecipazione cresceva ogni giorno e pure la fila di fronte ai due zampilli dei morti dove parenti e, amici e conoscenti recitavano una preghiera, in memoria dei primi disgraziati assaliti mortalmente dal covid.

Wayan, il fratello di Nui, che viveva a Kuta stava cominciando a soffrire perdite economiche dalla sua attività, ai turisti internazionali non era più permesso l’ingresso nell’isola, i voli bloccati, forse sporadicamente qualche tratta locale in concomitanza al trasporto di beni di prima necessità.

Più volte al giorno si soffermava, si inginocchiava, recitava una preghiera dopo l’altra a Shiva, a Visnu e soprattutto Brahma. Dopo un mese circa di quelle preghiere decise di concentrarle solo su Sang Hyang Widhi, il dio supremo, Signore di ogni persona, vegetale, animale e minerale. Quando si trattava di avere protezione in senso lato, Wayan non si risparmiava. Lui e la sua famiglia dovevano essere sempre al primo posto e la supplica continua al dio supremo pensava dovesse concedere la super protezione.

Trascorsero molti giorni, la pandemia si stava diffondendo celermente, una buona percentuale non credeva agli effetti di farmaci e poi dei vaccini, erano sicuri di essere protetti da Hyang Widhi il grande dio padrone assoluto della vita.

Una mattina Abdul si recò al suo negozio, nei pressi del parco di divertimenti, notò un certo movimento ma nel silenzio assoluto. Osservò che davanti e sopra il negozio molto vicino al suo, c’erano drappi bianchi, brutto segno pensò subito, si avvicinò e chiese che cosa fosse accaduto ma soprattutto a chi. Con il volto sereno la persona consultata parlò delle bontà del proprietario del negozio, egli rimase era rimasto scettico e sempre incredulo delle minacce del virus covid-19, non lo riteneva estremamente pericoloso anzi, come tanti altri, pensò che fosse stata una invenzione, addirittura con finalità perverse, quelle di condizionare i poveri ignoranti a prendere farmaci e persino i vaccini per essere controllati dai poteri occulti occidentali.

Cadde come un soldato in guerra a difesa delle sue certezze ma vittima del micidiale virus e ora era pronto per lasciare il loro mondo e rinascere in un’altra vita. Per fortuna loro avevano le risorse sufficienti per affrontare le spese notevoli del funerale, non dovevano fare debiti come spesso accadeva oppure in alternativa ricorrere alla cremazione collettiva per suddividersi i costi.

Anche Abdul come gli altri negozianti della via tennero chiusi i negozi e si accodarono agli altri per andare in quella piazzola utilizzata per le cremazioni.

Quando arrivarono, il corpo senza vita del vicino di negozio era già sdraiato sopra una composizione di legno pregiato dove ogni persona lasciava monete, banconote e oggetti cari al defunto per spianargli il passaggio alla vita successiva.

La cerimonia occupò l'intera giornata e arrivò il momento della cremazione affidata al bramino, tenuto conto del ruolo sociale del defunto,  che provvide ad accendere il fuoco sotto la catasta di legno, mentre si elevava il mantra delle donne che avevano la missione di accompagnare l’anima verso la liberazione consentendo il lungo viaggio verso la reincarnazione.

Gli assistenti del bramino consegnarono le ceneri ai familiari che le posero in una urna con sopra scolpito un avvoltoio, simbolo della personalità del loro caro.  Si avviò il corteo verso la spiaggia, una orchestra accompagnata dalla melodia preferita dagli dei con canti e strumenti, accompagnati dalle donne che cantavano la nenia funebre della cerimonia.

Prima di entrare nel mare e affrontare le onde mosse dal vento, la vedova chiese di aprire l’urna, voleva avere un ricordo perenne del caro marito e pose una porzione in un piccolo e prezioso contenitore, l’avrebbe poi consegnata ad un orefice famoso di Bali per creare un diamante.

Poi il corteo entrò nelle acque, il mare non dette tregua e quando furono ad una cinquantina di metri dalla riva, l’urna pur ben chiusa, si rovesciò e lentamente tutto venne accolto nelle acque limpide e cristalline del mare di Bali.

Abdul e sua moglie Nui rimasero molto scossi dalla violenza del virus che aveva colpito il loro conoscente vicino di negozio, non aveva raggiunto i cinquant’anni ma compresero che non bisognare temere della morte, in qualsiasi circostanza, forse la loro preoccupazione doveva essere rivolta alla nascita, quando la vita iniziava di cui era difficile saperne la traiettoria nonostante il luminoso cammino predetto dai numerosi santoni che popolavano l’isola.

Oramai erano coinvolti nella spirale della paura di contagiarsi e quindi decisero di consultare un asceta induista molto famoso che ogni tanto si fermava a Ubud distante circa 35 chilometri. Presero informazioni e il giorno giusto andarono con la propria auto a sollecitare una consulta.

La notte anteriore una bellissima luna piena illuminò per gran parte della notte il mare di Kuta, si svegliarono presto e alle nove erano già a cercare un parcheggio, ogni volta che arrivava il santone c’erano molte persone e anche diversi mezzi tra moto, auto e pick-up. Un solerte giovanotto indicò un angolo dove poter parcheggiare la toyota e al momento di allontanarsi prese per il braccio Abdul per chiedere la giusta ricompensa per il servizio prestato.

Si avvicinarono all’ingresso della pagoda ampiamente arieggiata ma non potettero entrare perché il maestro spirituale stava portando avanti un corso dettagliato di esoterismo, inclusa l’astrologia jyotisha indiana, i cui principi risalivano a seimila anni prima.  Secondo l’assistente del santone il corso stava per terminare ma fece un’eccezione per farli entrare e sedere distanti, in quel modo potettero ascoltare gli ultimi dieci minuti della lezione. Erano arrivati alle ultime due giornate quindi l’argomento che stava trattando era sicuramente di grande interesse visto che i quindici allievi ascoltavano con la massima attenzione.

Il maestro illuminato stava diffondendo le armi della previsione del destino e quindi chiese ancora più attenzione.

Fece consegnare ai presenti delle carte astrali per poter consentire a ciascun allievo di partecipare fattivamente alla lezione. Siccome erano avanzati dei fogli, ne vennero dati anche a Abdul e Nui.

Certo per loro erano argomenti astrusi, mai sentiti tuttavia direttamente si concentrarono sulle parole del santone. 

Venne iniziata concretamente la lezione e tutti si concentrarono sul foglio precedentemente distribuito nel quale era stata stampata la carta astrale di una persona a loro sconosciuta. Il grafico era quadrato secondo l’astrologia indiana jyotisha e nell’interno del grafico c’erano i sette astri oltre ai Nodi Lunari Nord e Sud, Rahu e Ketu. distribuiti nelle dodicesime Case ma la posizione esatta veniva determinata dall’ora, data e luogo di nascita del soggetto. Con quella premessa, l’asceta rimase in silenzio per alcuni secondi mentre l’assistente accendeva tre lumicini.

E cominciò a diffondere ai presenti il suo metodo previsionale frutto di anni di studio e pratica. Chiese agli allievi di osservare bene la posizione degli astri nell’interno del grafico e fece rilevare che non tutti fossero negli stessi gradi delle Case, alcuni nei primi dieci gradi, altri nel mezzo ed infine alcuni verso gli ultimi 10 gradi del Segno zodiacale. Ovviamente tutto quello doveva avere un significato elevato perché le divinità non fecero nulla a caso ed ogni posizione degli astri nelle Case dovevano avere con massima certezza un significato che nel tempo bisognava scoprire ed interpretare attraverso la meditazione, lo studio e soprattutto la pratica perché qualsiasi teoria deve essere messa alla prova e verificata nei fatti, non pochi ma tantissimi per permettere agli studiosi di ogni religione di entrare nel cuore della divinità e prevedere il futuro con la massima attendibilità.

Il santone indicò la Casa I, nell’interno della stessa un Pianeta che era al dodicesimo grado nel Segno di Mesha (nell’Ariete nell’astrologia tropicale)

Che cosa voleva dire quella posizione? Tenuto conto che ogni Casa aveva 30° e quindi anche quella dove era ubicato quel Pianeta bisognava ragionare come e quando la sua ’influenza poteva essere diretta al soggetto preso in esame da quell’oroscopo. La media della durata della vita andava rilevata dagli organi ufficiali dello Stato, probabilmente riferita anche alla classe sociale che, tra quella bassa sui 70 anni e quella alta sui 95 anni ci poteva essere una differenza di 25 anni. Nel caso in esame, si trattava di un artigiano del legno per cui poteva essere inquadrato nella età intermedia, quindi a ottantatre anni di vita. Un primo punto era stato fissato. Bisognava continuare nel procedere per il secondo elemento quello di calcolare quanti gradi – vita doveva avere ciascuna Casa. Studi accurati avevano considerato che dividendo la durata della vita per il numero dei gradi della Casa, il quoziente dava il valore base di riferimento, per cui, nel caso specifico, avevano a disposizione 2,767 di grado. Quest’ultimo dato moltiplicato per dodici gradi dava come risultato 33 anni e 7 giorni, data in cui si verificava l’evento.

Il procedimento costituiva la base per ulteriori previsioni riguardanti la posizione di tutti gli astri ubicati nell’interno della carta oroscopica.

Non sarebbe stato invano sottovalutare la conoscenza dello stato di salute principalmente all’insorgenza di patologie importanti tali da calibrare al meglio la durata della vita di quel soggetto.

La lezione terminò, gli allievi fecero diversi inchini all’asceta professore che confermò la prossima e ultima lezione dopo due settimane.

La pagoda si svuotò e rimasero soltanto Abdul e Nui. L’assistente confabulò qualcosa al santone e dopo pochi istanti fece cenno di avvicinarsi e esporre la loro richiesta. In pratica volevano chiedere all’asceta illuminato se avessero corso il rischio di contrarre il micidiale covid-19, erano rimasti molto agitati dalla scomparsa del loro vicino di negozio, quasi fulminato dalla rapidità di quel virus.

L’assistente accese i tre lumicini e si distanziò. Il santone guardò più volte in alto nell’assoluto silenzio e poi tracciò sulla pergamena il grafico astrale della posizione degli astri in quel momento. Guardò e riguardò il grafico e alla fine concluse che potevano stare tranquilli, il virus sarebbe stato lontano da loro. Un grande sollievo prese possesso dell’anima dei due consultanti, si inchinarono più volte come era prassi per ringraziare e salutare il maestro spirituale quando si avvicinò l’assistente per accompagnarli all’uscita della pagoda. Prima di uscire chiese loro l’offerta per le opere di assistenza gestite dall’asceta. Abdul non ci pensò due volte, l’attività del suo negozio era molto solida, nel 2019  ebbe un ottimo incasso, offrì quarantamila rupie e ottenne un ampio sorriso dall’assistente.

Si diressero verso l’auto, il guardia macchine li stava aspettando, fece il professore nell’indicare la manovra per uscire dal parcheggio (in realtà non erano proprio necessarie le sue indicazioni) e ricevette una bella mancia. Gli dei stavano proteggendo Abdul e la moglie Nui, era quindi giusto essere generosi con gli altri.

In auto mentre tornavano a casa, Nui chiese al marito se avesse memorizzato qualcosa della lezione dell’asceta spirituale, rimase in silenzio per poi affermare “proprio un bel niente”, non capì nulla di quello che disse ai propri allievi. Nui fece una bella risata.

Al ritorno percorsero un’altra strada per recarsi a Ubud, volevano ricordare all’artista pittore naif le loro intenzioni di acquistare una decina di tele già prenotate precedentemente, la consegna era in ritardo. Dopo averle sollecitate ad un responsabile del centro dove molti allievi imparavano e disegnavano scene di foresta e fondi marini, continuarono la strada. Trascorsero una bella giornata, lungo la strada si fermarono in un ottimo ristorante per un bel piatto di pesce e quando giunsero a casa, il sole stava tingendo di rosso l’orizzonte dell’oceano Indiano.

Intanto la pandemia mieteva molte vittime, i piccoli ospedali non erano per niente attrezzati per ricevere così tanti malati, molti venivano lasciati negli spazi antistante il pronto soccorso, altrettanti rimandati ai loro villaggi.

 

Un pomeriggio entrarono nel negozio di Abdul due giovani francesi, da molti mesi in giro per l’Indonesia,  per curiosare tra gli oggetti di artigianato, abbigliamento dell’isola ed altro. La loro attenzione si concentrò sulle tele naif che ritenevano molto interessanti. Uno dei due indicò la tela non molto grande raffigurante la vita di un villaggio di Bali. L’altro invece si innamorò di due tele, una grande raffigurante la vita degli aironi signori della foresta e una relativamente più piccola rappresentante pesci e molluschi nel fondo dell’oceano. Al momento di pagare per l’amico non ci furono difficoltà, aveva euro a sufficienza. Per l’altro invece rimase un attimo interdetto perché il prezzo richiesto da Abdul era fuori dalla portata economica del giovane che propose di integrare la somma disponibile con i suoi jeans di buona fattura. La proposta non era praticabile e dopo lo scambio di parere con la moglie Abdul propose di effettuare il pagamento delle due tele di circa quattrocento euro al suo rientro in Francia e a tal fine prese gli estremi del passaporto e indirizzo di abitazione. In quel momento non volle nemmeno un acconto, si fidava dei due giovani e poi teneva sempre nel suo cuore la previsione dell’asceta spirituale che il virus-19 non avrebbe mai attaccato lui e la moglie. E quello  valeva molto di più della certezza di avere quella somma e di altre cose terrene.

 

Il coronavirus-19 mollò la presa soltanto due anni e sei mesi dopo, Abdul e sua moglie Nui potettero allora prendere il volo per Bali e raggiungere il cognato a Kuta.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CACHOEIRA

 

Non molto distante dalla capitale dello stato di Bahia, facente parte importante dell’immenso territorio del Brasile, la cittadina magica di Cachoeira sotto tutti i punti di vista religiosi riusciva a far convivere senza problemi cattolici, evangelici, cultura africana attraverso il candomblè e l’umbanda, oltre ad altre espressioni mistiche rappresentate da gruppuscoli indigeni e forestieri.

 

 

Airton era cosciente di vivere in quel territorio magico, rendendolo molto orgoglioso. La storia gli riportava la difficoltà di convivenza soprattutto tra cristiani e praticanti il candomblè. Col il tempo e la saggezza di politici illuminati, si arrivò al rispetto reciproco dove molto spesso veniva a crearsi una mescolanza tra i fedeli per cui cristiani frequentavano le manifestazioni africane e viceversa.  In fin dei conti riteneva Airton le speranze di tutti venivano messe nel cuore di quel Dio potente e soprannaturale che accompagnava il percorso terreno di tutti fino alla morte, senza giudizi preventivi e finali.

Si compiaceva dei magnifici “azulejos” piastrelle in maiolica smaltata, che erano conosciuti come eccelso artigianato portoghese ma in realtà la loro origine risaliva all’antica civiltà musulmana, che li introdusse con l’invasione della Spagna nel XII secolo. Dal termine “al zulaicj” a quello “alzulejj”, si voleva definirla come una creazione di terra cotta con il prevalente colore azzurro. Airton sapeva molto bene che la religione mussulmana non ammetteva figure di persone e animali quindi la creatività si concentrava su piante, fiori e disegni geometrici.

Successivamente gli artisti cristiani spagnoli svilupparono temi gotici e rinascimentali, solo verso la fine del XV secolo l’arte degli azulejos si diffondeva in Portogallo ma anche nei Paesi che si affacciavano nel Mediterraneo.

Cachoeira ripresentava e conservava l’allora azulejo artistico portoghese attraverso il lavoro degli artigiani appassionati brasiliani.

Airton rifletteva spesso sulla profonda certezza che Cachoeira mostrava con orgoglio il coloniale portoghese ma nello stesso tempo non mettendo in secondo piano l'eredità africana che dall’introduzione degli schiavi del Centro Africa era fortemente presente nei volti dei suoi abitanti, mescolando  la diversificazione delle loro tradizioni.

Airton era nato nella vicina Santo Amaro che diffuse il suo prestigio economico dalle piantagioni della canna da zucchero e dal lavoro degli schiavi dei secoli addietro fino alla partecipazione alla resistenza avviata da Cachoeira contro la colonizzazione portoghese. Il Baiano Recôncavo conservava nella sua storia quelle lotte per l'indipendenza dello Stato di Bahia e di conseguenza del Brasile.

Spesso Airton amava passeggiare per il mercato locale e tra antiche case coloniali per soffermarsi a visitare l’unica chiesa più importante. Tre settimane addietro, ritornò a visitare le piantagioni di canna da zucchero, manioca e tabacco lungo la strada che conduce a Cachoeira, vanto del Recôncavo e accompagnata dal fiume Paraguaçu.

Cachoeira, tesoro architettonico e culturale, evidenzia le preziose chiese di Carmo e Rosário ma soprattutto la Casa della Confraternita Religiosa di Nostra Signora della Buona Morte, eredità vivente del sincretismo religioso matriarcale che riempie di orgoglio tutti gli abitanti. La ricca storia della resistenza degli abitanti neri a Bahia e in Brasile era parte integrante della tradizione  che si mescolava nelle feste religiose e culturali durante ogni mese di agosto, alimentando quella ricchezza dei clienti interessati agli inserti, ricami e dipinti di artisti anche provenienti da lontano. Airton passeggiava sul ponte antico inglese che attraversava il fiume Paraguaçu, , dando accesso alla città di São Felix verso una “fazenda” situata sulle colline che circondano la cittadina, offrendo un panorama incantevole. Una sosta obbligatoria al ristorante nella vicina campagna per gustare le specialità di San Felix accompagnate da quelle più famose di Salvador.

L’appuntamento immancabile che Airton non perdeva mai era la visita al locale famoso dove con danze e musiche i “pai e mae de santo”  richiamano le divinità del candomblè coinvolti nelle danze di origine africane. 

Dopo tante volte di frequentazione del centro, Airton aveva consolidato il rapporto con il pae de santo Kayke. Era molto famoso in tutta Bahia ma anche al di fuori, addirittura, dicevano i fedeli del candomblè, anche nel nord America ed Europa.  Il suo carisma lo poneva al di sopra delle questioni terrene e la sua vicinanza agli orixas gli dava un’aurea visibile da pochi addetti durante quelle cerimonie. C’erano dei giorni precisi della settimana in cui era disponibile a ricevere i bisognosi di risolvere profondi problemi materiali e psichici. E per i casi più critici, complicati e difficili ricorreva a terapie singolari e ripetitive, tra le altre la segregazione in una cella al buio anche per una settimana.

Il pàe de santo Kayke riscontrava rispettosi ossequi da parte degli abitanti di Cachoeira e San Felix, quelle volte in cui cadevano le ricorrenze delle festività delle divinità africane esaltate dagli orixàs che richiedevano la sua presenza per saldare con loro il rapporto tutte le volte che le calamità di diverse origini cadevano disastrose sulle loro teste e proprietà. La sua presenza era una grande garanzia che tutto sarebbe andato bene e ciò poneva in lui fede e venerazione.

Anche Airton aveva un grande rispetto del pàe de santo e ogni volta che lasciava il centro del candomblè non trascurava di ossequiarlo incrociando le braccia in segno di profonda venerazione.

Nella sua villa di Santo Amaro, Airton conduceva una vita di benessere per gli investimenti immobiliari e terreni ricevuti in eredità dal padre. Era l’unico figlio, laureato all’università di Salvador in Arti visive e Spettacolo, molto lontano dalle pressioni esercitate dal padre di farlo uscire orgoglioso con una laurea in Scienze Naturali per seguire con competenza e utilità economica le estese piantagioni di caffè e cacao. Quelle immobiliari non richiedevano una particolare esperienza, secondo il padre, tutto era nelle mani di uno studio professionale di fiducia.

Durante una visita nella fazenda di caffè, Airton era stato avvicinato da uno dei capi fattori dall’aspetto molto preoccupato perché una sua lavoratrice continuava ad avere la sensazione, quasi la certezza, dell’imminente tragedia che stava colpendo suo marito che apparentemente stava invece molto bene in salute. La moglie di contro era invece certa che lui nascondeva il suo stato per non impensierirla. Si rivolgeva quindi al fattore per conoscere a quale màe de santo potesse rivolgersi per porre fine al suo profondo malessere. Il fattore tranquillizzò la donna e le assicurò che avrebbe risolto la questione in pochi giorni.

La ricerca portò a conversare con il senhor Airton, suo capo. Era noto il suo interesse per il misticismo sia cattolico che candombleseiro  e quindi certamente poteva indirizzare quella donna ad una mistico affidabile. Disse al fattore di volere incontrare quella donna per mettere a fuoco con precisione cosa volesse richiedere alla màe de santo. Voleva approfittare di quella occasione per incontrare invece il suo pàe de santo che riteneva uno spirito eccelso.

Il giorno giusto Airton e la donna lavoratrice nella fazenda del caffè si presentarono di fronte a Kayke. Airton fece una breve presentazione sulla necessità di trovare una tranquillità al suo animo irrequieto che si struggeva al solo suo pensiero di dover perdere con la morte suo marito.

Il messaggero delle divinità e degli orixàs fece avvicinare la donna, le accarezzò il capo e i lunghi capelli, la guardò intensamente negli occhi, si sedettero l’uno di fronte all’altra e nel lungo silenzio diffuse il pensiero illuminato delle divinità: la richiesta richiedeva diversi giorni di pratiche energiche ininterrotte, bisognava incontrare l’orixà che poteva accogliere la volontà della moglie e tradurre in concreto quello che lei avvertiva fortemente negli ultimi mesi. Kayke si rivolse al suo amico Airton per sottolineare che era proprio necessario che la donna si assentasse dal lavoro per sette giorni, si presentasse con i beni richiesti dall’orixà che si sarebbe presentato in visione e che avrebbe poi conferito con Airton per organizzare tutto il procedimento. Effettivamente la risoluzione si era presentata più complessa di quanto si aspettassero ma il divino pàe de santo non poteva essere contraddetto.

Si abbracciarono con un certo distacco e Airton e la donna si congedarono in attesa di ricevere il messaggio che Kayke avrebbe fatto recapitare al suo amico fedele.

Dopo alcuni giorni un adepto del centro di candomblè portò la missiva a Airton sottolineando che il lunedì successivo aspettava la sua protetta per iniziare il ciclo di terapia che doveva esaudire la richiesta ma soprattutto il desiderio occulto che il pàe di santo aveva scavato nella sua psiche.

Comunicò al fattore che la settimana seguente la sua operaia doveva essere esentata dal lavoro per necessità. Nei tre giorni che seguirono comprò i tessuti, alimenti e bevande richieste da Kayke, diversa roba certo, per propiziare gli orixàs e soprattutto Exù che avrebbe dovuto trasmettere alle divinità i desideri della donna, a ciò avrebbe pensato il pàe de santo a veicolare il tutto verso la sincronizzazione del messaggio celeste.

Il lunedì Airton e Dandara, la moglie dell’uomo gravemente malato, ritornarono al Centro. Il pàe di santo offrì una cerimonia per sensibilizzare le divinità ad accettare la richiesta, indipendentemente  se fosse positiva o negativa.

L’ampio salone si circondò di adepti che ad un gesto di una màe di santo cominciò a battere le mani. Entrò e si posizionò al centro un gruppo di guerrieri che iniziarono una danza,  simulando un combattimento al ritmo delle percussioni e dei canti. Velocemente la danza si trasformò in un rituale mistico e profano come tutte le manifestazioni folcloristiche di matrice africana, spesso sconosciute.

Alcuni storici trovarono traccia da una rivolta popolare esplosa nel XVIII secolo nelle piantagioni di canna di zucchero di Santo Amaro della Purificazione, il territorio più povero della grande Bahia de Todos os Santos. Gli schiavi neri nei momenti di pausa dal duro lavoro nelle piantagioni si divertivano nella lotta con piccoli tronchi di canna che potevano simulare armi possibili compreso il “facào” tipo di machete. Chissà…  poteva giungere quel giorno di combattimento contro i padroni e conquistare finalmente la libertà.

La cerimonia terminò, gli adepti e danzatori lasciarono il salone. Airton consegnò al pàe di santo Dandara e uscì dal centro, fiducioso che tutto si sarebbe svolto nel migliore dei modi , non c’erano dubbi di sorta, era stata affidata a Kayke messaggero preferito delle divinità.

La settimana trascorse in fretta, sabato ritornò al centro, incontrò l’amico pàe de santo e dopo qualche minuto Dandara, a priva vista irriconoscibile. Testa completamente rasata, nella parte destra alcuni disegni, al braccio destro un nastro nero che doveva essere portato fino alla sua rottura. Kayke si appartò con Airton vari minuti, non si seppe cosa si avessero detto ma egli ritornò visibilmente turbato, non disse una parola.

Durante il viaggio in auto verso la modesta abitazione, concordò una versione da raccontare al marito, a causa di parassiti propagati nel locale appartato del centro, si rese necessaria la rasatura a zero, per il resto tutto si era svolto nel migliore dei modi.

Inoltre disse a Dandara di stare più vicino al marito perché la sua vita era tristemente in pericolo di vita. Preoccupato da tutta quella storia, Airton non si rese conto che un lampo di gioia era apparso negli occhi di Dandara, contenta che gli orixàs avevano raccolto il malaugurato suo desiderio interiore.

Il tempo passò, una, due, tre settimane, Dandara non vedeva nessun peggioramento di salute del marito, anzi a dire il vero stava sempre meglio, forse più di sempre e la cachaça non gli procurava alcun disturbo. Quando ne beveva troppa e si ubriacava, Dandara era convinta che fosse la volta buona di volare verso gli orixàs. Il mattino dopo puntualmente gli orixàs lo rispedivano sulla terra lasciando ritorta nel mal di fegato la moglie disperata e trafitta dal dispiacere di vederlo sempre davanti.

Dopo un anno Dandara si ritorceva di stomaco, il marito sempre paonazzo per gli effetti della cachaça ma sempre in buona salute.

Sull’orlo dell’esaurimento, riuscì ad incontrare il signor Airton per confidare con lui il suo grande sconforto e soprattutto la immensa delusione nei confronti del pàe di santo. Aveva completamente toppato, la sua fama completamente azzerata per lei ma anche del vicinato che conosceva la sua storia complicata. Airton cercò di andare in soccorso del suo amico pàe di santo Kayke ma Dandara non lo ascoltava anzi gli sfuggì l’ipotesi che anche lui fosse un ingannatore della povera gente.

Dandara non si rese per vinta. Cercò un’alternativa ma non era così semplice trovare un altro mistico che potesse competere con Kayke.

Dopo un po' di tempo incontrò per caso una donna che si era trasferita da Salvador a Santo Amaro della Purificazione. Le parlò di un vidente studioso di astrologia che sicuramente avrebbe potuto aiutarla.

Dandara si organizzò per andare a Salvador e ritenette opportuno portare con sé suo marito che acconsentì mal volentieri. Alcuni giorni dopo, di mattina presto, presero l’autobus per andare in via Almirante Barroso a 150 metri dalla spiaggia della Paciencia, per una consulta con l’astrologo vivente Vaicinho.

Fecero un bel tratto a piedi perché l’autobus non li lasciò vicini alla destinazione e finalmente attraverso il citofono comunicarono il loro arrivo.

La segretaria li fece accomodare nell’ampio salotto, sembrava di essere tornati all’impero portoghese per l’arredamento accurato, addirittura una parete di ceramiche antiche rappresentanti motivi floreali e piccoli animali della foresta dei tempi antichi. Attesero un bel po' e dopo circa mezz’ora la segretaria avvisò che potevano essere ricevuti dal maestro dopo aver corrisposto “l’offerta”.

Dandara e il marito vennero accolti con cordialità da Vaicinho che li mise quindi a loro agio.

La consultante espose la sua richiesta di essere messa al corrente sulla salute del marito che lei riteneva nascondesse problemi gravi fisici e psicologici. L’astrologo – vivente parlò con loro, volle sapere molto di più del loro passato e presente prima di sollecitare un orientamento dagli astri. Raccolte tutte le informazioni necessarie, accese il notebook, inserì alcuni dati e attese la risposta per qualche minuto, notebook attese da internet qualche segnale di risposta. Quel segnale non era proprio al massimo..

Dandara non volle parlare della sua esperienza con il divino Kayke, forse per vergogna e poi per due motivi, il primo che voleva sapere se il marito fosse prossimo alla morte e con la sua presenza non era proprio il caso; poi del trattamento subito in quella settimana di candomblè.

Finalmente, Vaicinho cominciò a parlare. In quel periodo suo marito stava benissimo e quindi non dovevano preoccuparsi del suo stato di salute. Una forte influenza di energia sfavorevole era sulla sua strada di vita e con tutta probabilità avrebbe cominciato a produrre i suoi effetti tra un anno e undici mesi circa, l’organo interessato sarebbe stato il polmone destro. I primi sintomi si sarebbero presentati con la difficoltà respiratoria. Se in quel momento non fossero state effettuate le terapie prescritte dal medico specialista pneumologo, la vita del marito sarebbe durata anche meno.  Stava quindi a loro determinare il destino del marito.

Dandara rimase allibita, pensava che la causa di tutto sarebbero state le frequenti imbriacature di cachaça ma il maestro astrologo la rassicurò, il fegato non avrebbe avuto danni nei prossimi anni.

Vaicinho parlò della influenza di alcuni pianeti già in posizione sofferente al momento della nascita del marito e in particolare di Saturno in Gemelli in aspetto di quadratura a Marte in Vergine ma vedendo che il suo approfondimento non veniva seguito dai consultanti, si convinse di chiudere l’incontro con gradualità.

La segretaria li accompagnò all’uscita salutandoli con cordialità.

Nella strada verso l’avenida Oceanica, Dandara rimase soddisfatta dell’incontro con l’astrologo vivente, la sua sensazione aveva trovato la conferma che il marito fosse in pericolo di vita, non certo subito ma entro tre anni, il suo impegno sarebbe stato incessante e vigile per non fargli superare quel termine. Doveva decidere fin da subito cosa fare, ascoltare il consiglio dell’astrologo oppure non dare seguito a quelle raccomandazioni.

Il marito era contrario prima e a maggior ragione adesso, non credeva alle previsioni di quel maestro mangia soldi, addirittura quattrocento reais per meno di un’ora di chiacchiere.

Tutto quindi sarebbe ricaduto sulle spalle della moglie Dandara.

Tornati a Santo Amaro della Purificazione non parlò con nessuno delle previsioni dell’astrologo della praia della Paciencia di Salvador e in quel modo sarebbe stata solo lei a gestire la vita del marito.

A fine giornata di lavoro, in special modo di giovedì, continuò a vedersi con un certo Cauè, un prestante giovanotto moreno che faceva entusiasmare molte altre donne di Santo Amaro e San Felix ma di quel tipo affascinante non era affatto gelosa, non le importava nulla se fosse andato con una e l’altra, lei era di spirito liberale in fatto di passione, non cercava certo dal moreno statuario l’amore esclusivo e perenne.

 

 

   

              

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Conclusione

 

Il sentiero delle Stelle” con molta probabilità avrà svegliato nell’inconscio quell’attrattiva che lega inconsciamente da sempre all’Universo.

Il ritorno alla realtà terrena è spesso sconvolgente ma in questa occasione il messaggio ricevuto dalla lettura permetterà senza dubbio la ripresa dei contatti con il materiale, in una nuova dimensione.

Lo spirito ci assisterà un po' di più questa volta e ci permetterà di guardare il futuro con un po più di saggezza e rispetto verso le leggi cosmiche, assistendoci nel lungo percorso che ci spinge verso l’evoluzione. 

 

 

 

 

 

 

 

F  I  N  E